mercoledì, aprile 25, 2007

25 aprile

Vabbé allora facciamo che ci troviamo al solito posto, ma ci si nota di più se dico che non vengo oppure se vengo, oppure se facciamo un saluto e poi ci spostiamo di là che ci sono gli anarchici i rifondaroli (azz quanti), il partito comunista internazionalista quelli di Falce e martello e i verdi trotzkisti dell'altra domenica, vabbé stiamo da una parte, così almeno non facciamo fare come nel novantavattelapesca che pioveva e ho tenuto io lo striscione dei due popoli due stati. Quello che regge lo striscione è tizio figlio di caio cugino della sorella mentre l'altro capo dello striscione non c'entra niente, ha lo stesso cognome di quello piccolo davanti no non con la barba quell'altro, ma loro sono di Livorno infatti mia zia. Quell'altra. E' sempre così che fai il giro dei saluti e poi ti trovi in mano stoazzo di striscione, per cui come ti dico stiamo da parte che almeno c'è ombra quando zzo si parte. Quandazzo si muove quandazzo si parte, stiamo fermi da ore e dice che c'è casino davanti dove ? davanti. Ah ecco allora ci si muove finalmente. E reggi tu lo striscione, no guarda vado a prendere l'Unità. Certo che 'sta storia del partito democratico è una ciofeca, per me ti dico davvero è il suicidio ma chedico suicidio la fine dei DS ma che dico DS della sinistra vabbè vedremo. Sì siamo parenti, ma non per via di quelli di Venezia, per via di Firenze, che poi erano, mi pare, pure un po' tunisini. Guarda ci applaudono. Son cose. Fammi leggere l'Unità.
Ancora fermi ma allora che sta succedendo. Siamo fermi. Guarda sono pure sbucati i socialisti. Incredibile socialisti con la falce e il martello. Ma lo sai che piuttosto che il partito della Binetti io vado con Boselli. E De Michelis. Sì l'avanzo di balera. Ma se si è tagliato i capelli. Azz siamo fermi. E' una metafora della sinistra. Sarà, guarda c'è pure la margherita, cioé i democristiani. Ma non ci si può spostare. Eh, siamo fermi. Vabbé non più. Aumentare il passo, siamo in Sanbabila. Ah bel posto. Anfatti. Non applaudono. Urlano. Urlano sono ossessionati. Bandiere palestinesi. Ah bella roba, la stessa nazionalità del famoso mufti, amico di Hitler. 'zzo quanto urlano. Pare che vogliano far risorgere Nasser, Arafat, ora glielo dico siete nazisti siete. Beh, suvvia siamo a piazza san babila i nazi ci si trovano, no? D'altronde sono infoiati perché adesso nemmeno Bertinotti li considera. Sai che faccio io li applaudo. Frii palestain frii palestain, beh siamo in San Babila si parla inglese, no? Tu la sai l'Internazionale in ebraico? Aspetta che gliela canto. Che dice lui? Dice Muf-tì, Muf-tì. Ah, avevo capito Mussi. Miii e guarda quello che faccia. Quello chi. Quello che urla, con la kefia al collo pure con 'sto caldo. Lo chiamo, ehi tu. Non sente Gli faccio un fischio: mi guarda. E gli dico: BUUUM! Oh, si è inc...queitato.

(25 aprile 2007, Milano)

stimatissimo dr. Finkelstein (non ancora professore...)

Norman Finkesltein è un allievo di Noam Chomsky, personaggio di non eccellenti frequentazioni -negazionisti, per esempio- e di pessimo carattere, come si vede da questo scambio epistolare con il sociologo Werner Cohn. Finkelstein è autore di un (come si dice) controverso volume intitolato L'industria dell'Olocausto e di altri (come si dice) controversi interventi sulla pericolosità degli ebrei in politica; ora si è convinto che una cospirazione sionista, guidata da Alan Dershowitz, gli stia sbarrando la strada verso la sospirata tenure, la cattedra universitaria.
La questione è raccontata in lingua italiana qui e, con toni forse un po' provocatori, da Christian Rocca [qui] a cui piace lo scontro, anzi la guerra, tra un ebreo che non gli piace affatto e uno che sta simpatico a lui. Finora, dico: perché è prevedibile che i toni si alzeranno ulteriormente dall'altra parte dell'Atlantico e anche qui non mancheranno resoconti da parte degli affezionati all'epica saga dell'ebreo che sacrifica i legami con la sua tribù in nome di alti ideali di giustizia universale, e diventa quindi perseguitato dalla terribile lobby.
Ma prima di questa ubriacatura, conviene conoscere un po' meglio il Finkelstein, che ambisce - come dicevo- alla tenure. Perché sarà forse bravo per riempire la casellina dei cultural studies, ovvero a spiegarci che se si parla della Shoah è perché gli ebrei sono razzisti e convinti di essere il popolo eletto e quindi Israele sta massacrando i palestinesi e ci sono troppi ebrei sopravvissuti perché glielo ha detto la sua mamma. A raccontare tutte queste storie Finkelstein è bravissimo, ed infatti ha un suo pubblico di affezionati, anche in Italia. Ma quanto a conoscenza dell'ebraico, e dell'arabo, il dottor Finkelstein è un po' scarsino. Lo spiega magistralmente uno che lo ha incontrato.

"(...) I approached you afterwards and offered my advice that if you were to learn Arabic and Hebrew your chances for tenure would dramatically increase (...) I offered this advice because during my time in academia I discovered that experts on the Middle East read things written in those languages.
(...) I also offered my own services to teach you Hebrew, which you politely declined, saying you “were too old for that.” Then I asked you about Arabic, offering a few kind words in colloquial Jerusalem Arabic, that I was sure you understood, from your intense dealings on the whole Arab-Israeli conflict. I did not mean to embarrass you of course, but you also told me you don’t speak Arabic. I have sadly forgotten much of the Arabic I learned as a student at Hebrew University (That is only that name of the University- I took classes there in English and Hebrew.)
(...) It is never too late. Heck, Rabbi Akiva didn’t really start learning anything till age 40. Lots of people take Hebrew during Elderhostel programs at universities. New Israeli immigrants as old as 90 even study Hebrew. I am sure that a man of your intellectual integrity and discipline will have no trouble. You can even now learn Hebrew on-line if you prefer that way of learning.
As far as Arabic is concerned - there are TONS of places and online ways to study Arabic. Or you can do a summer session in Riyahd or Cairo. Oh, well, maybe only Cairo, since you are Jewish you cannot study in Saudi Arabia. (Did you ever wonder why American Jewish students can never go on exchange programs to Saudi Arabian Universities, but tens of thousands of Saudi students study here in America? Did that ever bother you and strike you as racist?)
(...) Since your field of expertise, according to your website and your dissertation is “the theory of Zionism,” I believe that learning Hebrew, both in written and spoken form, will inform your scholarship, teaching, and service to the DePaul community and the academic field you have chosen. In fact, you might even be able to uncover some more fascinating information on this theory of Zionism that is rarely translated into English!
For example: Jews have prayed in Hebrew for nearly 2000 years to return to their homeland Israel, for and in-gathering of the exiles, for the rebuilding of the Temple, and the restoration of Jewish sovereignty in the Land of Israel. Cool, eh?
(...) Wishing you a Chag Sameach, a Happy Independence Day— the day where we celebrate a tiny country that if it had existed before 1939, would have most likely averted the Holocaust.

testo completo qui. E grazie a Rabbi Yonah di Blogshul

martedì, aprile 24, 2007

intervista a Dov Baer

Personalmente trovo il blog di Dov Baer uno dei più interessanti, anche se la sua ortodossia è abbastanza lontana dalle mie posizioni. Nei confronti che ha con esponenti della maggioranza ebraica americana (che non è ortodossa, quanto è fastidioso doverlo sempre ripetere), si dimostra sempre un interlocutore rispettoso e fiducioso nella possibilità di trovare un terreno comune.
Che, beninteso, è una cosa completamente diversa dalla fissazione unitaristica che pervade gran parte del mondo ebraico italiano. Qui espressioni come "badiamo a costruire e non cerchiamo scontri" significano spesso: ti creo condizioni così umilianti che sarai costretto ad andartene. "Cerchiamo di mantenere unità e concordia" significa invece: ora te ne stai zitto. E "pluralismo" significa convivenza forzata. Che è una cosa molto diversa dal terreno comune.
Il terreno comune è simile a una scacchiera in cui due giocatori, che sono ben consapevoli di non essere un unico soggetto (perché hanno gusti e obiettivi diversi), seguono le stesse regole. La convivenza forzata invece significa che i due giocatori stanno dallo stesso lato, si illudono di avere uno stesso obiettivo, anzi: di essere un medesimo soggetto. Tutte le realtà che vivono una situazione di convivenza forzata prima o poi si cercano (o si inventano) un nemico, e cercano di rafforzare la propria unità sulla base del fatto che sono in competizione con questo avversario. In realtà, poi, non c'è nessuna unità: ed i due soggetti, che credono di essere uno, se le danno di santa ragione perché ciascuno pretende di parlare a nome di tutti (cioé dell'altro). La convivenza forzata, infatti, è l'anticamera della crisi. Perché queste battaglie interiori accorciano la vista.
Dov Baer viene intervistato qui da Harry Maryles, un altro bloggatore abbastanza popolare. Sulla attuale fase del movimento Chabad è straordinariamente lucido:
"From the time of the Alter Rebbe, Hasidut has been trying to integrate itself into the Torah world, and they've had very good success, of course.They'll either complete this intergaration or go the route of the Karriaites. We'll know in 200 years or so. I think messianic Lubavitch, unfortunately, is exactly where the Church was at the time of the kerygma (ie in the 40-80 years between the death of Jesus and the publication of the gospels). The similarities are numerous."
Dov Baer non è impegnato a salvare alcun tipo di unità e quindi può permettersi di pensare in termini, addirittura, di secoli. Ed è impossibile avere uno sguardo così lucido se si è imprigionati dalle beghe e dalle catene di ripicche che porta con sé la ricerca dell'unità a tutti i costi (con chi ti dice che il Messia è già arrivato, per esempio).
Essere intervistato è piaciuto molto a Dov Baer, che ha postato suo suo blog degli addenda alla predetta intervista. E proprio qui io trovo un esempio di terreno comune. Da ortodosso, Dov Baer sostiene di non poter utilizzare il titolo di Rabbi quando si parla di un rabbino Reform. Ma se loro desiderano essere così chiamati, argomenta, bisognerebbe trovare un modo. La soluzione è che si utilizzi almeno una volta l'espressione Reform Rabbi. E autorizza così per reciprocità, anche l'impiego dell'appellativo Orthodox Rabbi. Se si marcano le differenze si guadagna rispetto e considerazione.
A proposito di Chabad io sono perfettamente d'accordo con Dov Baer: tra un paio di secoli saranno un'altra religione rispetto all'Ebraismo. Nessun ebreo italiano (fatti salvi coloro che hanno sostenuto e diffuso il libro di David Berger) si è mai posto il seguente problema: cosa succederà entro, appunto, un paio di secoli? Certo, siamo troppo occupati a sopravvivere, vediamo gli anziani scomparire, sentiamo sul collo il fiato dell'assimilazione, ci attanaglia il rischio di vedere le sinagoghe chiuse o trasfromate in musei. Ma soprattutto il fervore di Chabad, che danno per imminente l'arrivo del Messia, ci ha travolti: illudendoci di essere un unico soggetto, accettiamo che stabiliscano il calendario e gli argomenti di conversazione.

manuale di conversazione ebraica

Capitolo 1 - Definizione e origine
1.1. Definizione storica
1.2. Definizione di mia cugina
1.3. Contro-definizione di mia madre
1.4. La refutazione Feldmann (mia suocera)
1.5. Il principio assiomatico dello Schnorrer

Capitolo 2 - Obiettivi
(In seguito a lunga e approfondita riflessione e dopo innumerevoli tentativi, ho deciso di sopprimere completamente questo capitolo, per essere giunto alla seguente storica conclusione: la conversazione ebraica, ricchissima in ogni suo aspetto, manca completamente di obiettivi)

Capitolo 3 - Circostanze
3.1. Nelle quali accade la conversazione ebraica
3.2. Nelle quali dovrebbe accadere la conversazione ebraica
3.3. Nelle quali non dovrebbe mai accadere la conversazione ebraica
3.4. Nelle quali, nonostante tutto, accade la conversazione ebraica
3.5. Nelle quali, che cosa avete ancora da dire ?

Capitolo 4 - Pretesti per iniziare una conversazione ebraica
4.1. Con interesse commerciale (vd: Guadagni, cap. 18)
4.2. Con interesse affettivo (idem)
4.3. Con interesse sociale (ibidem)
4.4. Senza alcun interesse (vd cap. 2)

Capitolo 5 - Modalità per interrompere una conversazione ebraica
5.1. Squalifica dell'argomento di conversazione
5.2 Tecniche
5.2.a Tecnica del colpo sul tavolo
5.2.b Tecnica del colpo sulla scacchiera (metodo polacco)
5.2.c Tecnica del colpo sulla tavola da shesh-besh (metodo israeliano)
5.2.d Senza tavola né pedine (metodo sefardita)
5.3 Strategie
5.3.a La ripetizione lapidaria di Cohen (e allora lo so come va a finire) [ripetere fino allo svenimento dell'interlocutore]
5.3.b L'uso del sospiro e sue conseguenze. Excursus sul senso di colpa
5.4 Arti marziali
5.4.a Tae-kwon-do
5.4.b Karate
5.4.c Colpi vietati
5.4.d Uso dei tefillim
5.5. Tecniche manuali con il telefono
5.5.a "Non si sente, ti richiamo io, tu non chiamare"
5.5.b Il cellulare e le sue risorse

Capitolo 6 - Modalità per introdursi in una conversazione ebraica
6.1. Con interesse per l'argomento di conversazione
6.2. Con proposito di fornire informazioni essenziali
6.3. Con assoluta ignoranza dell'argomento di conversazione
6.4. Senza alcuna presentazione
6.4.a Scusi, ma IO credo che...
6.4.b. Mi scusi, proprio Lei che è ebreo dice questo?
6.4.c. Eh no, questa barzelletta finisce in un altro modo!

Capitolo 7 - Svolgimento della conversazione ebraica
7.1. Le relazioni interpersonali all'interno della conversazione ebraica
7.2. L'impiego di lingue conosciute
7.3. L'mpiego di lingue sconosciute agli interlocutori
7.4. I diversi modi per cui d'altra parte è vero anche il contrario
7.5. Di come conversare dormendo
7.6. L'astuzia nel presentarsi umile
7.7. Di come trasformare una conversazione ebraica casuale in una permanente
7.8. Viceversa

Capitolo 8 - Logistica della conversazione ebraica
8.1. I due interlocutori discutono del medesimo argomento
8.2. Ciascuno dei due interlocutori parla del proprio argomento
8.3. La costante rotazione degli argomenti
8.4. L'assenza dell'argomento

Capitolo 9 - Impiego delle mani
9.1. Scuola lituana (ambedue le mani sopra il capo)
9.2. Scuola polacca (ambedue le mani sopra il capo dell'interlocutore)
9.3. Scuola sefardita (ambedue le mani contro l'interlocutore)
9.4. Dizionario gestuale partenopeo-ebraico

Capitolo 10- Terminologia standard
10.1. Oy!
10.2. Barminnan!
10.3. Vey!
10.4. Ach! (vd cap. 24 - Der Deutschjuden Specht)
10.5. Pfui!
10.6. Nu?
10.7. Nu!
10.8. Nu?????
10.9. Nu, nu, nu
10.10. NU?
10.11. Oy vey!

Capitolo 11 - Etica della conversazione ebraica
11.1. Del vero
11.2. Del falso
11.3. Della sapiente combinazione di vero e falso
11.4. Come guadagnare denaro partecipando ad una conversazione con il minimo sforzo (vd. cap.30- La psicoanalisi)

Capitolo 12 - Esercizi di conversazione. Argomenti
12.1. Meteorologia e antisemitismo
12.2. Israele
12.3. La vita (oy!)
12.4. La morte (barminnan!)
12.5. I figli (oy vey!)
12.6. Gli affari (Pfui!)
12.7. La politica (NU?)

Capitolo XIII - Miscellanea
13.1. Dell'impiego del tempo nelle conversazioni a distanza
13.2. Tecnica del finestrino
13.3. Conversazione inter-religiosa, nel caso che uno degli interlocutori sia un vigile urbano e l'altro abbia tentato di passare con il rosso.
13.4. Introduzione allo sbraitare
13.5. Il sottile uso del Lei
13.6. Di come fingere di ascoltare mentre in realtà si sta parlando
13.7. Il raro dialogo ebraico tra muti
13.8. Il frequente dialogo ebraico tra sordi
13.9. Come conversare con la bocca piena, senza sputare
13.10. Come conversare con la bocca vuota sputando in faccia all'interlocutore

Cap 14 - Conclusione
14.1. Taci un attimo e stammi a sentire SOLO PER UN MOMENTO !

(Jorge Schussenheim)

jbawards - the winner is...

E' in corso la terza edizione del referendum tra giudeobloggatori noto come jbawards

Non scrivo per chi ho votato - anche perché devo ancora decidere. Però invito a dare una occhiata, navigando tra le varie categorie. Giusto per sapere, come si dice, che aria tira dall'altra parte dell'Oceano, dove la piattaforma di Pittsburgh la hanno scritta e anche commentata (per dire, eh).

lunedì, aprile 23, 2007

cartoni animati

Due pensieri per Yom haAtzmaut, in forma di cartoons





se invece volete le fotografie, ecco qua.

sabato, aprile 21, 2007

Kurt Vonnegut

Qualche giorno fa Kurt Vonnegut ha imboccato la galleria verde che conduce al pianeta Tralfamadore - come si dice, così mi pare, in Galapagos. Da altre parti scrive Hic!
Ho divorato tutti i libri di Vonnegut in una tarda primavera, prima e soprattutto dopo un piccolo intervento. La casa risuonava delle mie risate.
Ne ho tratto anche la forza per scrivere una tesi di laurea sull'Inquisizione. Devo molto ai libri di Kurt Vonnegut: mi è difficile parlare di lui, ora che non c'è più. E trovo sia meglio lasciare la parola ad altri. Per esempio, qui

venerdì, aprile 20, 2007

quel che ne resta

Sfogliando Jewcy.com ho trovato un dibattito tra Daniel Bronstein, rabbino Reform di terza generazione (sì, ci sono ebrei Reform che hanno dei nipoti ebrei, come ci sono ebrei ortodossi i cui nipoti sono assimilati) e Arthur Waskow, uno dei fondatori del Jewish Renewal.
Alcune delle idee di Waskow sono interessanti - non sta scritto da nessuna partte che non si possa celebrare un Seder di Tu-bi-shvat stando nei pressi di un bosco, per evitare che venga tagliato: unire così la celebrazione all'impegno per l'ambiente. Ma, in linea di massima, mi convince poco l'idea di fondo del Jewish Renewal: la visione della storia ebraica come serie di paradigmi e l'avvento, dagli anni Sessanta in poi, di un paradigma nuovo centrato sul Sé. Mi sembra una New Age ebraica, un narcisismo di massa adatto alla società post-industriale e foderato di buoni propositi.
Qualche anno fa qualcuno pensò di importare anche in Italia questo tipo di ebraismo e vennero organizzate un paio di date con la presenza di Michael Lerner - prima dei recenti rovesci editoriali della sua rivista. Ovviamente c'era il programma, anzi la vision, c'era una mission da implementare (il fascino che il gergo dei consulenti aziendali esercita nel mondo delle religioni è un fenomeno ben noto: inizia con Scientology). Peccato che in rete non li si trovi più: sarebbe interessante sapere che fine ha fatto chi aveva firmato baldanzosamente l'ennesimo appello alla sinistra, stavolta "per recuperare la propria spiritualità", nientemeno.
Provo a riflettere su quel fallimento: per noi ebrei italiani la ritualità religiosa è un tempo ebraico (ciclo della vita, ciclo dell'anno) che si sovrappone al tempo familiare e pubblico. Traiamo dalla religiosità risposte, sempre parziali e sussurrate, a domande sulla nostra identità (chi siamo? che ci facciamo qui?). Il Jewish Renewal vuole trasformare la religione in una ragione di impegno sociale o una forma di volontariato da gridare a squarciagola. Ma per avere questo, in Italia, è sempre bastata la politica.

giovedì, aprile 19, 2007

world domination we are planning

Rav Shmuel - Protocols

mercoledì, aprile 18, 2007

a proposito di memoria


E' saltato fuori un vecchio videotape - l'amico ha registrato il nonno, che gli raccontava. trascrivo il racconto. Voi immaginatevi l'accento toscano.

S'era lì, c'erano le leggi, quelle del trentotto. Ma s'andava a giocare a carte, tutte le sere, o anche dopo pranzo. s'andava un po' tutti, e si mettevano i soldi per una cena. Chi perdeva metteva i soldi per la cena. S'andava tutti, anche socialisti, comunisti... Finché viene la data per la cena, s'andò alla cena e eravamo in pochi. Ma pochi. Sicché si fece la cena, ma in pochi; e mi si disse, lo sai che il Lodolotti [nome fittizio], uno di quelli che doveva venire alla cena, che aveva messo i soldi, insomma uno di quelli che perdeva è andato al Fascio e gli ha detto: quelli fanno una cena, comunisti socialisti, repubblicani, insieme agli ebrei per parlare male del duce?
E la mattina dopo mi vennero a chiamare. Cardoso [nome fittizio] c'è l'Arduinazzi [nome fittizio], il federale, ti deve parlare, sei convocato all'ora tale alla casa del fascio. La mi' moglie la diceva: "quel mamzer!" Io vado, alla casa del fascio che stava lì, dove adesso c'è [...] E l'ufficio dell'Arduinazzi stava 'n cima alle scale. E io faccio le scale e ti vedo tutti i fascisti, con le braghe nere e lamano alzata e per ogni scalino ce ne erano due uno d'un canto e l'altro all'altro canto. E io pensavo, adesso me picchiano. E invece niente. Entro nell'ufficio dell'Arduinazzi, che appena mi vede, dice: "Allora Cardoso, che hai fatto ieri sera?"
E io dissi: "Arduinazzi, voi mi conoscete, voi sapete che persona sono. Se ho qualcosa da dire, io La vengo a cercare".
Lui mi guardò, mi diede una mano sulla spalla e mi disse.: "Vai, Cardozo, vai". E io feci di nuovo le scale, che di novo con la paura che me picchiavano, questi fascisti, un paro per ogni gradino, tutti co 'i braccio alzato. E invece niente.
Passata la guerra, dopo la Liberazione, io una mattina ti vedo il Lodolotti. Eravamo al bar, quello che c'è giù [...]. "O Cardoso, come va ? come è andata ?" Ci ho messo la mano sulla spalla, e poi l'altra mano sull'altra spalla, ce lo ho sollevato e ci ho picchiato forte, forte, che ci hanno dovuto dividere. E il Lodolotti scappò, la, per la via che c'è la farmacia. E io dietro, e lo presi e ci diedi ancora, e venne il farmacista a dividerci, e lui di nuovo a correre, che ormai era pure un poco cionco, ma io a prenderlo di nuovo e ci diedi di novo.
La mattina dopo, sono lì che sto aprendo il banco e ti vedo un bimbetto che piange. E piange.
Oh chi l'è? E l'è il figlio del Lodolotti, il lodolottino. E lo porto a un bar, e gli faccio avere una cioccolata, e gli dico "I che c'hai?" "E' il mi babbo che è in letto, più morto che vivo, e ha già le valigie pronte e vole andare via. E lei non sa, anche il Lodolotti ha famiglia, ci doveva dare da mangiare".
"Figliolo -gli dico- ma no che il tu babbo non deve andare via. Solo -e ci dissi chiaro, che sentissero all'intorno- il tu babbo quando mi vede deve cambiare strada. Miha deve andare via. Ma solo cambiare strada quando mi vede".
Ma poi il Lodolotti cambiò paese. Fece le valigie. Se n'andò. Io 'un ci diedi più.

ci risiamo

In occasione di Yom haShoah il gran rabbino sefardita Mordechai Eliahu ha riaffermato la sua fede in quella visione teologica ortodossa della storia ebraica secondo cui la Shoah è stata responsabilità dei Reform. Niente di nuovo, e soprattutto niente di ultra, ma pura e semplice ortodossia. Io ho smesso di frequentare una sinagoga ortodossa quando il rabbino ha cercato di spiegare la Shoah in questo modo: "anche il padre più amorevole ogni tanto deve punire i suoi figli". E' un uomo che passa per essere aperto al dialogo: si vede che il dialogo con i non ebrei riesce facile a chi ha questo genere di vissuto paterno.
Mordechai Eliahu (scusate, non riesco proprio a premettere il titolo di rav), è una personalità politica, impegnato a conquistare il consenso degli ultra-ortodossi, che si sentono eredi di quei rabbini antisionisti che si sono fidati delle promesse di "ricollocamento", condannando gli ebrei europei allo sterminio.
Da buon bloggatore, io ritengo che ogni opinione, per quanto mostruosa essa sia, ha il diritto di venire espressa; ma le opinioni di un leader politico non sono solo opinioni personali. Quindi supporto la American Reform Zionist Association che vuol portare Eliahu in tribunale.
Le opinioni di Eliahu sono libere e legittime (quando non sono insultanti) proprio perché c'è la libertà di parola. Allora siamo sicuri che anche questa volta la sinistra ebraica italiana interverrà con fermezza, come avvenne qualche anno fa quando il predecessore di Eliahu, Ovadia Yossef si disse convinto che le vittime della Shoah se la erano voluta, se non nella loro vita, perlomeno in quella precedente. In attesa dell'immancabile comunicato stampa di Ha Keillah, di Amos Luzzatto o di chi altro, io proporrei questo brano di Subliminal, l'Eminem sefardita. Perché un minuto di silenzio non è abbastanza.

martedì, aprile 17, 2007

invenzioni

Questo signore è nato nel 1883 a Konin (Russia, allora), con il nome di Israel Fromm. Immigrò in Germania con tutta la sua famiglia e cambiò il nome in Julius Fromm. All'indomani della prima guerra mondiale avviò una impresa, diventata fiorente grazie a una di quelle invenzioni che hanno cambiato la storia. Una invenzione che ha creato connessioni e relazioni spesso confortevoli e gratificanti, sempre sicure.
No, Fromm non ha proposto un "minimo denominatore halakhiko"; a dire il vero la sua invenzione sta poco simpatica agli ebrei ortodossi e, sai che novità, anche alla Chiesa cattolica - che ci si lancia contro con vere e proprie crociate.
Ma i fondamentalisti di ogni risma non possono nascondere che l'invenzione di Julius Fromm ha salvato e salva tuttora milioni di vite umane ed aiuta milioni di uomini e donne a vivere in maniera più gratificante. Wikipedia vi spiega quale è questa invenzione, nella scheda dedicata a Julius Fromm. Se poi siete interessati, in Germania hanno appena pubblicato un libro.
(grazie a conservative apikoros per la segnalazione)

lunedì, aprile 16, 2007

postproduzioni

In questi giorni capita di chiedersi: che me ne faccio di queste matzot avanzate?

martedì, aprile 10, 2007

quelli che l'avevano fatta grossa

La tesi di Cancellare le tracce, il libro di Pierluigi Battista (Rizzoli, 2007) è questa: gli intellettuali italiani hanno aderito massicciamente al fascismo (il che è vero) e la Resistenza è stata un fenomeno minoritario (vero anche questo). Per rifarsi una verginità dopo un ventennio di collaborazioni e compromissioni, la classe intellettuale e politica si è sentita in obbligo di demonizzare il fascismo ben oltre il dovuto. E qui dissento, perché non avverto alcuna necessità morale di porre dei limiti a questa supposta demonizzazione dei fascisti.
Ciò detto, Cancellare le tracce è un libro davvero interessante; necessario per l’apparato di note in cui vengono messi in luce, con i dovuti rimandi bibliografici, i cedimenti nei confronti del regime fascista, per esempio, dei Norberto Bobbio e dei Pietro Ingrao - due che ebbero almeno la decenza di vergognarsene, seppure con un certo ritardo. E una lettura interessante sono anche le opere giovanili di coloro, ben più numerosi, che nel dopoguerra rimossero accuratamente quegli anni dalla propria bibliografia. Prendiamo ad esempio i liquami che il giovane Luigi Firpo rovesciava nel 1938 sugli ebrei, di cui lo disgustava “il sogno vasto e ardito” di costituire “sulle rive mediterranee, sopra le rovine del tempio incendiato, uno Stato nuovo e potente”. O le invettive di Gabriele De Rosa, futuro decano degli storici cattolici, contro il sionismo, reo di voler costituire un “focolare ebraico” proprio nei luoghi in cui gli ebrei avevano crocefisso Gesù. De Rosa scrisse queste infamie nel 1939, mentre era in corso la persecuzione antisemita. Letture interessanti, dicevo, perché illuminano sull’atteggiamento degli intellettuali italiani verso il sionismo, e da sole spiegano quanto sia artificiosa la distinzione tra antisionismo ed antisemitismo.
Tra le caratteristiche di lungo periodo della classe intellettuale italiana che questo libro mette in luce c’è, oltre all’ostilità verso il sionismo –o, quando va bene, l’assoluta indifferenza nei confronti della cultura ebraica- anche una certa mentalità complottarda. De Rosa solo nel 2000 ammise di “averla fatta un po’ grossa”, beninteso prendendosela con l’anonimo che aveva “resuscitato il libercolo in occasione di un concorso universitario”, per fare le scarpe a lui, poverino. Fantasmi cospiratori che animano le pagine di Giorgio Bocca, quando lamenta di essere stato perseguitato da una certa “signora Ravenna del Centro di documentazione ebraico”; questa aveva riesumato suoi articoli giovanili in lode dei Protocolli dei Savi di Sion vendicandosi così di alcune corrispondenze ostili ad Israele. È indispensabile, che finalmente qualcuno (come fa Battista) scriva di quelli come Bocca:
non sembra pentito delle invettive contro gli ebrei scritte qualche decennio prima. Se la prende invece con gli ebrei che gliele rinfacciano. Come se fosse oltraggioso riaprire una pagina dolorosa del passato, non le parole dettate nel cuore della persecuzione antiebraica” (pag. 59)
Un vero peccato è che questo libro lo abbia scritto un giornalista e non uno storico. Perché qualcuno interno all’accademia avrebbe potuto discendere i rami degli alberi genealogici accademici e familiari, ricostruire parentele e insegnamenti. E seguire come e in che modo una certa idea degli ebrei e di Israele si è mantenuta e diffusa nella cultura italiana. Sarebbe infatti interessante scoprire se e quali dei personaggi citati abbiano fatto almeno un viaggio in Israele; sospetto che il comunista Ingrao o il cattolico De Rosa abbiano avuto le loro ragioni per non prendere mai un aereo per quella Sionne da loro esecrata in gioventù: nei loro cuori stava, come sappiamo, la Palestina. Sappiamo cosa andava a fare in Israele Giorgio Bocca - e quali corrispondenze scriveva. Ancora, sarebbe davvero interessante scoprire se e quali allievi e discendenti dei Firpo o dei De Rosa abbiano mai avuto legami con il mondo accademico israeliano.
Come risulta da documenti pubblicati solo nel 2002 (A. Capristo, L’espulsione degli ebrei dalle accademie italiane, Zamorani 2002) è assai cospicuo l’elenco degli intellettuali italiani che nel 1938 risposero solleciti alla richiesta di “arianizzazione” dell’accademia, segnalando i nomi dei loro colleghi ebrei da espellere e/o professando la propria devota arianità e/o appartenenza salvifica alla religione cattolica. E si vedono così le non belle prove giovanili di Luigi Einaudi, Ugo Ojetti, Roberto Longhi, Ranuccio Bianchi Bandinelli, Nicola Abbagnano, Guido Manacorda, Natalino Sapegno, Galvano Della Volpe, Arturo Carlo Jemolo, Antonio Banfi.
Non manca proprio nessuna delle correnti politiche dell’epoca: cattolici, liberali (con la lodevole eccezione di Benedetto Croce) socialisti e, sissignori!, pure comunisti (dicevate, a proposito di moralità?). Tutti determinati a sfruttare le occasioni di avanzamento di cariera che la legislazione razziale offriva a loro, prima della guerra. E, dopo la guerra, tutti uniti dalla comune volontà di nascondere pagine non esattamente gloriose. Certo, Togliatti seppe accogliere nel Partito Comunista una intera generazione di trasfughi intellettuali, cresciuti negli anni del totalitarismo fascista. Ma non considerò mai un particolare demerito aver partecipato alla macchina propagandistica antisemita, essersi giovati di cattedre rimaste vuote perché occupate da ebrei.

la tomba di Giorgio Bassani

E quanto agli ebrei stessi, l’atmosfera all’indomani della catastrofe era quella descritta in alcuni racconti di Giorgio Bassani. Cattolici impegnati a difendere le posizioni conquistate grazie al regime, intellettuali comunisti che dichiaravano che “si stava esagerando con le provvigioni a favore degli ebrei”, economisti liberali che invitavano a fare tesoro dell’esperienza delle leggi razziste e non indulgere nel vizio israelita dell’aiuto reciproco.
Tenendo presente questa atmosfera si capiscono meglio vicende come quella di Tullio Terni, biologo fascista estromesso perché ebreo dall’Accademia dei Lincei, reintegrato dopo la guerra, poi epurato e poi espulso perché fascista. E morto suicida nel 1946. Altri, fascisti come il Terni, si ritrovarono negli stessi anni ripuliti dalle compromissioni fasciste. Battista spiega che l’epurazione del dopoguerra venne condotta all’insegna dell’arbitrio. Ora ci vorrebbe qualcuno che, partendo da questo libro utile e necessario, si chieda perché tra i favoriti da questo arbitrio non vi sia alcun ebreo, proprio negli anni in cui nasceva lo Stato di Israele.