25 aprile 2008
Il 25 aprile per me è sempre stata festa. Da un certo punto in poi divenne anche un impegno. C'ero anche io, infatti, sotto la pioggia scrosciante di Milano, quel 25 aprile successivo alla elezione di Berlusconi, che portava -me incredulo- i missini al governo. Radiopopolare aveva barato, annunciando una giornata di sole. Io -professorale, come sempre- telefonai in redazione per ricordare che in Europa c'era un altro 25 aprile, quello dei portoghesi. Sentii dall'altra parte il calore di un sorriso, come si dice, tra compagni. Anche gli anni successivi telefonai, e qualche volta capitò anche che la radio fece ascoltare Grandola Villa Morena (adesso vedo che la hanno pure inclusa in un loro disco). Sfilai assieme agli amici e compagni del Gruppo Martin Buber, della Hashomer Hatzair, della rediviva Federazione Giovanile Ebraica Italiana. Avevamo fatto il nostro angolo ebraico nel corteo, Moni Ovadia cantava I Morti di Reggio Emilia e ci prendemmo qualche applauso, oltre ad acqua "a secchi rovesci", come diceva un veneziano, che sosteneva di essere mio parente.
Quando scesi dal trenino che mi riportava a casa incontrai un ferroviere comunista, meridionale, che conoscevo da tempo. Era uno dei tanti che, infuriati con le gerarchie sindacali, avevano votato Lega; non capiva cosa ci fosse di male in quel suo voto di protesta, in quei leader politici tutto sommato nuovi che parlavano un linguaggio che lui capiva (sicurezza, innanzitutto; ma anche stipendi al riparo dalla concorrenza extracomunitaria).
Negli anni successivi ho sempre pensato a quella manifestazione come a quella che seguì l'attentato di Piazza Fontana, quando la Milano medaglia d'oro della Resistenza fece capire ai fascisti che non ci sarebbe stato spazio per soluzioni autoritarie. Mi sbagliavo? Forse: il fascismo di oggi non ha bisogno di soluzioni autoritarie e poi la storia si ripete solo come farsa.
Comunque ogni anno mi sono quindi sentito obbligato a partecipare alle manifestazioni per il 25 aprile, anche quando era difficile; e con gli anni, partecipare in quanto ebrei, è diventato sempre più difficile.
Un paio di anni fa mi sono invece trovato ad essere a Gerusalemme. Il 25 aprile coincideva con Yom ha Shoah, quando tutto il Paese si ferma pensando alla catastrofe più grande per il popolo ebraico, che è anche il punto più basso della storia umana - mai prima, e mai poi, la logica dello sterminio ha avuto la meglio sulla logica economica. Mi sono sembrate irrimediabilmente lontane le strumentalizzazioni italiane di quel tornante storico - che è lo stesso da cui Israele è nato. Voglio dire che mentre in Israele si è in contatto con la storia, in Italia si usa la storia per svolgere la conta di chi c'è e di chi non c'è (e se io fossi un amministratore pubblico considererei obbligatorio esserci, anche se rischio i fischi - fischiano me, non la mia carica). E non manca mai il solito deficiente che vede nei palestinesi i continuatori dei partigiani - quando dovrebbe essere chiaro da che parte combatteva il Muftì di Gerusalemme- e che, essendo un deficiente, si sente obbligato a riempire la parte deficitaria della sua identità argomentando con te. E tu fesso che stai al gioco.
Anche quest'anno siamo in Israele per il 25 aprile. Che capita in una settimana in cui tutto il popolo ebraico pensa alla propria libertà. Siccome gli ebrei sono quello che sono, e non sono capaci di pensare a stomaco vuoto, men che meno di mangiare in silenzio, questo pensare alla libertà si traduce in cibi non lievitati, che ricordano i duri anni nel deserto, quando il cibo lievitato era un lusso per i ricchi e gli oppressori. C'è poi il fatto che violenza, oppressione e lievito in ebraico sono parole molto simili, e quando uno va a fare la spesa qui la fa (indovinate) in ebraico e ha una formidabile occasione per pensarci.
Non penso più che la libertà del popolo italiano sia a rischio, con il governo che si sono scelti. Mi piacerebbe dire che la sinistra li ha costretti a sceglierselo così, ma non è vero. Ci sono, e forse sono la maggioranza, italiani che sono indifferenti alla sinistra e che rimarrebbero tali, o addirittura ostili, anche nella ormai remota possibilità che la sinistra si presenti unita, capace di governare, esperta nella mediazione, e che il suo governo renda l'Italia un Paese più equo e più giusto. Esiste tutto un settore di italiani che questa roba la cerca altrove e che si sente (spesso a ragione) demonizzata dagli eredi dei partigiani, ovvero da noi. Bisognerebbe capire meglio, perché sospetto che il consenso di questi ceti sia cruciale per vincere i prossimi confronti elettorali, sui quali non riesco ad essere ottimista. Ma preferisco evitare pensieri deprimenti perché oggi è un giorno di festa. Anche se alle manifestazioni per il 25 aprile non ci sarò, questa data continua ad essere un giorno speciale per me e la mia famiglia. Dovunque ci troviamo.
Auguri a tutti.
Quando scesi dal trenino che mi riportava a casa incontrai un ferroviere comunista, meridionale, che conoscevo da tempo. Era uno dei tanti che, infuriati con le gerarchie sindacali, avevano votato Lega; non capiva cosa ci fosse di male in quel suo voto di protesta, in quei leader politici tutto sommato nuovi che parlavano un linguaggio che lui capiva (sicurezza, innanzitutto; ma anche stipendi al riparo dalla concorrenza extracomunitaria).
Negli anni successivi ho sempre pensato a quella manifestazione come a quella che seguì l'attentato di Piazza Fontana, quando la Milano medaglia d'oro della Resistenza fece capire ai fascisti che non ci sarebbe stato spazio per soluzioni autoritarie. Mi sbagliavo? Forse: il fascismo di oggi non ha bisogno di soluzioni autoritarie e poi la storia si ripete solo come farsa.
Comunque ogni anno mi sono quindi sentito obbligato a partecipare alle manifestazioni per il 25 aprile, anche quando era difficile; e con gli anni, partecipare in quanto ebrei, è diventato sempre più difficile.
Un paio di anni fa mi sono invece trovato ad essere a Gerusalemme. Il 25 aprile coincideva con Yom ha Shoah, quando tutto il Paese si ferma pensando alla catastrofe più grande per il popolo ebraico, che è anche il punto più basso della storia umana - mai prima, e mai poi, la logica dello sterminio ha avuto la meglio sulla logica economica. Mi sono sembrate irrimediabilmente lontane le strumentalizzazioni italiane di quel tornante storico - che è lo stesso da cui Israele è nato. Voglio dire che mentre in Israele si è in contatto con la storia, in Italia si usa la storia per svolgere la conta di chi c'è e di chi non c'è (e se io fossi un amministratore pubblico considererei obbligatorio esserci, anche se rischio i fischi - fischiano me, non la mia carica). E non manca mai il solito deficiente che vede nei palestinesi i continuatori dei partigiani - quando dovrebbe essere chiaro da che parte combatteva il Muftì di Gerusalemme- e che, essendo un deficiente, si sente obbligato a riempire la parte deficitaria della sua identità argomentando con te. E tu fesso che stai al gioco.
Anche quest'anno siamo in Israele per il 25 aprile. Che capita in una settimana in cui tutto il popolo ebraico pensa alla propria libertà. Siccome gli ebrei sono quello che sono, e non sono capaci di pensare a stomaco vuoto, men che meno di mangiare in silenzio, questo pensare alla libertà si traduce in cibi non lievitati, che ricordano i duri anni nel deserto, quando il cibo lievitato era un lusso per i ricchi e gli oppressori. C'è poi il fatto che violenza, oppressione e lievito in ebraico sono parole molto simili, e quando uno va a fare la spesa qui la fa (indovinate) in ebraico e ha una formidabile occasione per pensarci.
Non penso più che la libertà del popolo italiano sia a rischio, con il governo che si sono scelti. Mi piacerebbe dire che la sinistra li ha costretti a sceglierselo così, ma non è vero. Ci sono, e forse sono la maggioranza, italiani che sono indifferenti alla sinistra e che rimarrebbero tali, o addirittura ostili, anche nella ormai remota possibilità che la sinistra si presenti unita, capace di governare, esperta nella mediazione, e che il suo governo renda l'Italia un Paese più equo e più giusto. Esiste tutto un settore di italiani che questa roba la cerca altrove e che si sente (spesso a ragione) demonizzata dagli eredi dei partigiani, ovvero da noi. Bisognerebbe capire meglio, perché sospetto che il consenso di questi ceti sia cruciale per vincere i prossimi confronti elettorali, sui quali non riesco ad essere ottimista. Ma preferisco evitare pensieri deprimenti perché oggi è un giorno di festa. Anche se alle manifestazioni per il 25 aprile non ci sarò, questa data continua ad essere un giorno speciale per me e la mia famiglia. Dovunque ci troviamo.
Auguri a tutti.
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