A Tisha beAv, le vie della città vecchia si sono riempite di gente fino a molto tardi, mentre nelle sinagoghe si leggeva Eicha a ciclo continuo. Per il gerosolimitano medio la sera di Tisha beAv è una gigantesca passeggiata intervallata da soste accanto ad uno dei
minyan di lettura per "uscire d'obbligo" (come si dice in Italia) e riprendere poi a girovagare ed incontrare amici - o farsene di nuovi. I gruppetti di destra, la cui propaganda mi aveva infastidito, hanno berciato qualcosa nella completa indifferenza dei passanti.
Tisha beAv, per chi non lo sapesse, commemora le sventure accadute al popolo ebraico; la distruzione del Tempio, la cacciata dalla Spagna, la Prima Guerra Mondiale, la conferenza di Wansee sono accadute intorno a questa data. Parliamo quindi di Shoah.
Stando in contatto con amici italiani, mi hanno informato che Giorgio Bocca ha scritto l'ennesima
cappellata su Israele, cappellata che è abbastanza facile mettere in relazione alle frottole che scriveva durante la Guerra dei Sei Giorni, ai suoi giovanli elogi dell'antisemitismo nazista, al suo rancore contro chi glielo viene a ricordare (rancore colmo di allusioni allo strapotere degli ebrei nei media). Giorgio Bocca non è quindi un bel personaggio, anzi diciamo pure che è piuttosto
rappresentativo degli intellettuali italiani della sua generazione.
Detto tutto questo, sono sobbalzato dalla sedia quando ho letto che c'è chi lo considera un peccatore, anzi uno che ha commesso "
errori non riscattabili".
Secondo la nostra tradizione non si può giudicar qualcuno se non si vive nella stessa situazione. Se l' errore-non-riscattabile di Giorgio Bocca è il famoso (ed infame) trafiletto sui Protocolli, bisognerebbe essere certi che, nelle medesime condizioni, non ci si comporterebbe come lui; che all'epoca era un giovane provinciale che voleva trovare lavoro in un giornale di provincia. Siccome viviamo nel 2000 e rotti, e non in un sistema totalitario come negli anni 30 e 40, è azzardato per chiunque affermare che al posto di Bocca avrebbe scritto cose diverse, e magari più nobili, per poi non vederse pubblcare e trovare il proprio nome nella lista dei nemici di qualche gerarca. Ovviamente sarebbe stato giusto che tutti coloro che hanno contribuito ad alimentare la macchina di odio, fossero chiamati a rispondere delle loro azioni. Così non è stato per i giornalisti, e nemmeno per gli universitari, perché l'Italia aveva una gan voglia di dimenticare. Giudizio che avrebbe dato la possibilità, appunto, di riscattarsi.
Dal momento che questo giudizio non c'è stato, fondamentalmente per assenza di giudici, c'è qualcuno che vuole fare il supplente. Che si improvvisa cioé giudice e decide che esistono errori riscattabili ed errori non riscattabili; è praticamente, la distinzione cattolica tra il peccato venale e quello mortale, che necessita dell'umiliazione della confessione per essere perdonato. In pratica, chi decide che esistono "errori non riscattabili" si mette nientemeno che nei panni di un Dio che non perdona (cioé quello dell'Antico Testamento, per come lo leggono i cattolici).
E veniamo al punto: per una stagione (facciamo fino a tre-quattro anni fa) la presenza pubblica degli ebrei in Italia è venuta legandosi sempre più con il tema della memoria della Shoah. I dirigenti delle organizzazioni ebraiche si sono inventati il ruolo di custodi della memoria, che di per sé è una cosa degnissima e giusta. Ma non può esaurire tutto l'Ebraismo, che difatti ha da dire su una moltitudine di temi (sui
diritti dei gay, per dire). Senonché le posizioni ebraiche sulla predetta moltitudine di temi sono quantomeno varie, e per farvi spazio nel discorso pubblico occorrerebbe rompere il monopolio ortodosso. Impossibilitati a parlare di altro, i dirigenti delle Comunità hanno parlato soprattutto di Memoria, e siccome il mondo dei media è quello che è, il viaggio di Fini in Israele, accompagnato da Amos Luzzatto, ha segnato lo sdoganamento definitivo del già Partito Fascista. Il problema non è per me che questo sdoganamento è stato prematuro, il problema è che quel ruolo di doganiere non dovevano rivestirlo
gli ebrei.
Perché da allora in poi la divisa del doganiere, con annesso elenco dei buoni e dei cattivi, è diventata parte del corredo pubblico di ogni ebreo. O, peggio, di chiunque voglia proclamarsi tale. Il punto è che alla folla che commemora le persecuzioni con queste lunghe (e vitali) passeggiate nelle vie di Gerusalemme, non importa assolutamente nulla di tale proclami. Che rientrano a buon titolo nella categoria dei
goem naches, roba fatta per intrattenere chi ebreo non è. Recitando la parte che il pubblico si aspetta che
gli ebrei recitino. E, a questo punto, sarà il digiuno, mi viene da sbadigliare.