domenica, settembre 30, 2007
sabato, settembre 29, 2007
il confine del nord
Il confine tra Libano e Israele, più a sud prosegue e diventa il famoso muro dell'apartheid - un mio amico lo dice con un sorriso amaro, e mi spiega: "Io sono cresciuto in Sudafrica, so cosa era l'apartheid. Il muro non c'era, non serviva".
Il confine del Nord è piuttosto importante, perché al di là di esso c'è il Libano, quindi i soldati siriani - per intenderci, lo stesso esercito che protesse criminali nazisti come Alois Brunner. Quindi può capitare di incontrare dei soldati dell'esercito di Israele.
Questi, ad esempio, sono ufficiali, come si capisce dalle divise perfettamente stirate.
E sono ebrei, come si capisce dall'evidente senso di ordine e disciplina. Stanno osservando al di là del confine con il Libano (e della zona pattugliata da forze ONU, che nella fattispecie sono soldati italiani). A me non sembrano affatto quei mostri assetati di sangue, ma persone perfettamente normali, che nella vita fanno un altro mestiere. E danno il loro contributo a proteggere Israele e il popolo ebraico dal bestiale odio antisemita.
Al di là del confine, mi ha spiegato l'amico nato in Sudafrica e che è venuto a vivere qui, poco è cambiato rispetto a prima della guerra. Solo che le bandiere di Hezbollah non ci sono più.
E' abbastanza semplice distiguere la frontiera tra Israele e Libano: dove ci sono campi coltivati è Israele, dove è deserto è Libano. Perché la vera questione non è chi ha l'acqua e chi non la ha. E' come la si usa.
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venerdì, settembre 28, 2007
sukkot
Organizzazioni di destra portano i turisti a visitare Hebron; nella stessa direzione partono gli autobus delle organizzazioni di sinistra, sponsorizzate dalla Ford (sì, l'azienda di Henry, l'editore della traduzione inglese dei Protocolli dei Savi di Sion) e dall'Unione europea, che però portano la gente da qualche parte nei pressi del muro di sicurezza. Si prevede l'arrivo di migliaia di cristiani evangelici per la loro annuale parata di solidarietà verso Israele e si sono infuriati i rabbini ortodossi, che evidentemente sono all'oscuro del complotto neocons-evangelico-sionista e a cui importa poco dei dieci milioni di dollari che arriveranno agli albergatori di questa città.
A Sukkot si portano in sinagoga (puntuali, ovviamente) gli arba minim che sono l'ethrog -una specie di cedro- e il lulav -cioé un mazzo di mirto, salice e palma, che rappresentano diverse varietà di ebrei. Quello che porta molti frutti ma non ha profumo (cioé compie le mitzwot ma non ha fede), tipo la palma; quello che non ha mitzwot/frutti né fede/profumo (il salice), quello che ha fede ma pochi frutti (il mirto) e quello che ha tutto quanto, che sarebbe l'ethrog. Il principiò è che prendi l'ethrog e lo devi unire al lulav e poi "dimenare", come sta scritto nel Siddur della prima metà del Novecento che ci siamo portati dall'Italia. Cioé agitare in tutte le direzioni (davanti - Est, dietro - Ovest, sopra, sotto, sud, nord ecc. ecc.). Ma l'eccellenza nei frutti e nel profumo valgono solo se sono uniti agli altri ebrei, e questo è un insegnamento molto importante della nostra tradizione. Importante soprattutto per uno studente rabbino.
L'ethrog ha una punta e un picciolo. Come in ogni festa c'è da dire una benedizione, e la si dice prima di unire l'ethrog al lulav. Nel momento in cui si dice la benedizione sull'ethrog, questo ha la punta verso l'alto. Cioé è in posizione contraria rispetto al momento in cui si trova sull'albero. Poi lo si riporta in posizione naturale (col picciolo in su) e lo si unisce al lulav. La benedizione sull'ethrog cioé è il momento in cui la cultura interviene maggiormente sulla natura. E io trovo questo molto, molto tedesco.
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ancora sui Classical Reform
All'epoca di Sulzer e Lewandowski gli ebrei tedeschi non erano sionisti - il sionismo, anzi, era di là da venire. Ma già negli anni Trenta, in America, c'era Wise e i suoi allievi volevano introdurre la Hatikvah nel Siddur, e questo anche se da più parti si metteva in dubbio la lealtà verso il governo americano da parte degli ebrei, immigrati o di prima generazione - l'affermazione degli ideali sionisti all'interno del movimento progressivo si è scontrata, principalmente, con questo genere di timori. Ma la nascita dello Stato di Israele, il suo riconoscimento da parte dell'ONU e l'affermarsi di una cultura popolare israeliana -con proprie musiche, che sono poi entrate anche nelle sinagoghe progressive- hanno portato tutto il movimento progressivo su posizioni favorevoli al sionismo.
Si dice spesso che il mondo ebraico di oggi è un cerchio con due centri, Israele e la Diaspora. Due centri perché potenzialmente in competizione, ma un unico cerchio perché la competizione non è distruttiva. Israele non è contro la Diaspora, anche se è il sionismo è nato per annullare la Diaspora e trasformare gli ebrei in cittadini di Israele. E anche i patetici tentativi di delegittimare Israele, amplificando l'elogio della Diaspora, sono piuttosto velleitari. Tra le due realtà c'è un arricchimento reciproco come mostrano -per esempio- i motivi popolari israeliani entrati nella musica sinagogale.
Che accanto a Lewadowski fanno la loro figura.
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mercoledì, settembre 26, 2007
artisti anni Settanta
Ci spiace molto deluderla.
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venerdì, settembre 21, 2007
kippur
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giovedì, settembre 20, 2007
figli del sole
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lunedì, settembre 17, 2007
מחיה הכל
Lo stesso discorso vale per la famosa seconda benedizione della Amidah (la serie di suppliche che sono il cuore del culto ebraico), quella che per gli ortodossi si conclude con מחיה המתים e che suona così in traduzione: Benedetto sei Tu o Signore dell'Universo, che fai (ri)vivere i morti.
Ci sono ottime ragioni per obiettare a questa formulazione. Prima di tutto è poco ebraica. E' vero che alcune correnti mistiche (diffuse soprattutto nel Sei-Settecento in Italia) afferma(va)no la reincarnazione, ma in linea di massima l'Ebraismo non si interessa granché del destino dell'anima dopo la morte. Anche perché non è certo con la minaccia dell'inferno che si ottiene l'adesione ai valori morali espressa dall'insieme delle mitzwot. Il modello di adesione alle mitzwot è Abramo, che se arriva al punto di legare suo figlio sull'altare, non è certo perché Dio minaccia di mandare la sua anima all'inferno. Inoltre, la minaccia dei castighi dopo la morte è una caratteristica delle credenze religiose che si fanno ideologia, ovvero sistema di potere, gerarchia, repressione. Qualcosa che ha poco a che fare con l'Ebraismo. I Siddurim del movimento progressivo concludono questa berakha con la formulazione מחיה הכל, Benedetto sei Tu o Signore dell'Universo, che dai vita a tutte le cose - che è un bel modo di presentare l'unità dell'Universo.
C'è però il comprensibile desiderio di immaginare che le persone care siano ancora da qualche parte e che le si possa prima o poi ri-incontrare. Qualche Siddur progrssivo presenta così anche la formula ortodossa sul (ri)vivere i morti, come una sorta di opzione secondaria (di solito tra parentesi), attinente più ai desideri intimi e personali che alla sfera delle credenze proclamate in pubblico. Mi sembra una esemplare integrità intellettuale.
Le cose stanno in maniera diversa per i conservative e gli ortodossi, che cercano di mantenere una finzione di continuità con il sistema di valori rappresentato dalla halakhà medievale. Mi piacerebbe però poter chiedere a questi sostenitori della tradizione e delle radici, se veramente sono convinti che per poter officiare un funerale ci voglia un minimo di dieci maschi adulti, che assieme farebbero una specie di muraglia contro gli spiriti e che questi spiriti nascerebbero dalle polluzioni notturne del defunto. E se questa è la convinzione -che certo è tradizionale, tradizionalissima, basta leggere Scholem per scoprirlo- sarebbe interessante una opinione a proposito di ricerca e di cellule staminali.
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che succede laggiù
E proprio quella anziana signora mi è passata davanti, barcollando con il suo deambulatore. Sono passati tanti anni dalla Guerra del Golfo, io sono cambiato non poco, ma quella signora non è cambiata affatto, porta ancora lo stesso foulard attorno alla testa, come fanno le russe in provincia. Ho pensato che quella signora ha rischiato per due volte di morire per colpa del gas avvelenato. La prima volta per gas nazista, la seconda volta per gas irakeno. Saranno pure due ragioni diverse (la famosa differenza tra antisionismo ed antisemitismo, che sarebbe così: l'antisionista desidera che gli ebrei rimangano senza difese, l'antisemita anche). Però sempre gas è; gas che uccide.
Ora mi chiedo come si possa sostenere che l'antisemitismo arabo terminerà quando qui si costruirà uno Stato binazionale: perché questa è la fesseria che mi capitava di sentire in Italia. Che da parte araba non c'è odio (ma no, figuriamoci), solo il legittimo desiderio di far tornare me e quella anziana signora parte di una minoranza, alla mercé del prossimo capopolo in cerca di capri espiatori. Davvero, vorrei che qualcuno dei sostenitori di questa strampalata ipotesi potesse visitare quella casa di riposo, da cui l'Italia cattodemocratica del 2007 sembra lontana quanto quella fascista del 1938.
E capisco, in Italia succedono tante brutte cose - l'ultima porcata di Calderoli e del maiale, per quel che ne capisco da qui, fa davvero rabbrividire. Una visita in una casa di riposo israeliana non è esattamente all'ordine del giorno, perché ci sono tante altre realtà tristi di cui occuparsi e su cui intervenire. Ragioni per parlare, ad alta voce; per far sentire la propria posizione. Peccato che ci sia così poca gente che vuole ascoltare. O guardare delle fotografie appese ai muri. Peccato, davvero.
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sabato, settembre 15, 2007
the lobby
I due rispettabili studiosi vogliono far credere che la lobby israelo-americana è peggio delle altre lobby e che i cittadini americani vivono in un mondo in cui "Abraham Foxman gives the signal, Pat Robertson describes his apocalyptic rapture, Charles Krauthammer pumps out a column, Bernard Lewis delivers a lecture—and the President of the United States invades another country. Dick Cheney, Donald Rumsfeld, and Exxon-Mobil barely exist."
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martedì, settembre 11, 2007
elogio dei Classical Reform
In Italia non ci sono molti libri che spiegano questo concetto - perché agli italiani gli ebrei piacciono esotici, lontani nel tempo, impossibili da imitare e soprattutto perdenti. Mentre le sinagoghe Classical Reform non sono una faccenda di modeste proporzioni. Sono una faccenda iniziata quando gli ebrei tedeschi, poi immigrati in USA nell'Ottocento, hanno preso a distingere tra la parte profetica della Bibbia, gli alti insegnamenti di Amos e Isaia, e la ritualità esteriore, perceputa come caduca e condizionata da elementi non autenticamente ebraici. Sono notevoli le conseguenze di questa operazione intellettuale, che nell'ebraismo non sono una cosa così insolita, una distinzione di questo tipo è operata anche dal chassidismo - che è posteriore al movimento Reform, anche se adesso si presenta con le vesti dell'immutabilità. Gli ebrei tedeschi, a seguito di decisioni della maggioranza dei rabbini dell'epoca hanno potuto tagliarsi la barba, accettare la giurisdizione dello Stato (anziché quella delle corti rabbiniche) e accendere la luce di Sabato. Con una formula: hanno potuto incontrare la modernità.
Da qui vengono generazioni di rabbini e predicatori capaci di prendere posizione contro la schiavitù, di schierarsi a fianco dei minatori in lotta, di presentare il socialismo come orizzonte di emancipazione (nell'America del darwinismo economico...). I miei compagni di studio vengono da questo ambiente, che ovviamente è evoluto a partire dai primi del Novecento -che nei manuali è considerata l'epoca d'oro dei Classical Reform- ma che ha mantenuto intatta l'identificazione dei princìpi dell'Ebraismo con la giustizia sociale.
Tutto il dibattito sulle mitzwot si colloca dentro questo orizzonte. E' infatti ridicolo sostenere che le mitzwot si compiono perché lo ha decretato Dio: sappiamo che la Torah non è il dittafono di Dio, dove l'Onnipotente ha registrato il messaggio per i secoli avvenire. Né ha molto appeal, in America (dove la religione di maggioranza ha un dogma che si chiama predestinazione), predicare che chi fa il cattivo finisce all'inferno e allora nel mondo presente devi fare tanti fioretti che poi andrai in Paradiso. La forza dell'Ebraismo non sono i precetti, ma gli alti ideali etici: non opprimere lo straniero, l'orfano e il figlio della vedova. Che per i Classical Reform sono il filtro attraverso cui far passare la Tradizione, per decidere cosa merita di essere trasmesso alla generazione successiva. E anche questa idea della Tradizione, che vive solo se la si fa passare e la si reinterpreta, è qualcosa di profondamente ebraico e, di nuovo, è parte della cultura (più spesso inconsapevole) dell'Ebraismo americano.
Noi italiani ci arriviamo invece con procedimenti più intellettuali, quando ci arriviamo. Perché di solito tocca inciampare nel prevedibile imbecille che, fresco della lettura di Scholem, sostiene che l'ebraismo americano sarebbe assimilazionista, dal momento che è privo di caffettani neri e yddish (anche se la seconda privazione sarebbe un po' tutta da dimostrare). Che questo imbecille si autodefinisca di sinistra la dice lunga sulla sinistra italiana: da noi si amano gli ebrei quando sono "originari", quando sono pochi e quando sono sconfitti. Se non dai nazisti, perlomeno da Berlusconi. Oppure dal logorio della vita moderna.
Mi spiego. Proviamo a immaginare un confronto tra un ebreo ortodosso e un Classical Reform. Il primo è convinto che occorre seguire tutte le mitzwot perché così ha deciso Dio. E che aborre qualsiasi tentativo di distinguere, p. es. tra gli insegnamenti eterni e le disposizioni transitorie, dovute alle coordinate culturali dell'epoca (di cui comunque fanno parte anche gli ebrei) o a influenze esterne al mondo ebraico. Perché se si comincia a distinguere si finisce a ragionare come i cristiani, che distingendo tra materia e spirito della Legge hanno fondato qualcosa di esterno all'Ebraismo. In realtà la vita pratica dell'ebreo ortodosso è una serie di compromessi tra quel che non si dovrebbe fare e quello che purtroppo si è costretti a fare. Non si usa l'auto di Shabbat, significa: si va al tempio in auto e si parcheggia l'auto a distanza conveniente per non essere notati. Gli ortodossi più liberali sanno che le cose vanno così e allora parlano di gradi diversi di osservanza, in uno sforzo, a volte eroico, di ricondurre l'universo mondo dell'agire umano nelle categorie della halakha'. L'approccio Reform, è che gli esseri umani hanno sempre operato delle scelte tra quali mitzwot seguire e quali no. Peculiarità del Classical Reform è che il criterio in base al quale decidere sono i valori dell'insegnamento dei Profeti: in breve, la giustizia sociale. Spero sia chiaro perché gli ebrei americani hanno sostenuto in massa il movimento per i diritti civili e perché, ancora adesso, sono piuttosto diffidenti verso la amministrazione Bush.
Le sinagoghe Classical Reform non hanno il mikwe non perché si sono dovute prendere determinate decisioni finanziarie, e il mikwe costa troppo, e allora lo costruiremo un'altra volta. Non funziona così. Per i Classical Reform il mikwe è un esempio di stravolgimento dei valori dell'Ebraismo, perché collega l'impurità al corpo femminile, e in questo modo viene legittimata, anzi santificata, l'oppressione della donne. Non sto dicendo che sono d'accordo: in effetti, ci devo pensare. Sto solo facendo un esempio. E sono esempi che si potrebbero moltiplicare. E' questo approccio che ha fatto la grandezza dell'Ebraismo americano - il più riuscito esempio di integrazione di nuovi immigrati in una altra società. Viene da chiedersi perché non lo si potrebbe proporre ai musulmani che giungono in Europa, ma questo non è il punto. E' solo una riflessione sull'undici settembre, visto da qui.
Nota a margine: cattolici e ebrei, ambedue minoranze, hanno una lunga storia di intese e battaglie comuni, Oltreoceano. Ma c'è un significativo punto di distacco, ed è del 1926, nel pieno della affermazione dei Classical Reform. Le organizzazioni cattoliche iniziarono una battaglia contro la pubblicità di preservativi, che stava per essere legalizzata. Si aspettavano di trovare solidarietà tra gli ebrei, preoccupati come loro di questa degenerazione dei costumi. Ma la Conferenza dei Rabbini Americani rispose che il centro della morale familiare ebraica era la fedeltà reciproca e che il controllo delle nascite poteva essere un metodo per affrontare il problema della povertà. E così, nel 1929, gli ebrei furono la prima religione in America a favorire la contraccezione. Le chiese protestanti liberali avrebbero, poi, seguito il loro esempio.
Ma, ovviamente, qui parliamo solo di storia.
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il mio undici settembre
Ogni mattina, prima dell'inizio delle lezioni, noi studenti ci troviamo per dire la tefillah. Sì, lo fanno anche i Reform. Io è un po' che manco, perché sono impegnato con le selichot, e mezz'ora di sonno è comunque preziosa. Però stamattina volevo esserci. Come ho già scritto, siamo un gruppo di studenti, che sono in larga parte americani, tra i quali però i newyorkesi non sono la maggioranza. Questo è curioso, perché un terzo degli ebrei del Pianeta Terra vive a New York.
Così dopo la Amidah c'è stato, per loro, il tempo per raccontare il proprio undici settembre. Quello del 1997, quello del 2001, quello del 2005. Raccontare come era prima, e come è dopo. C'è chi è tornata a casa da scuola solo per scoprire che la casa non c'era più. C'è qualcuna giovane che, a partire da quel giorno si è resa conto che si poteva criticare il governo - ogni generazione ha la propria piazza Fontana, mi veniva da pensare (per la mia è stato l'omicidio Moro). C'è chi ogni volta che passa davanti a una scuola piange perché vede che le mamme non possono più accompagnare i bambini al di là dei cancelli. C'è chi riesce solo a dire ci stiamo tutti muovendo nella direzione sbagliata. O anche: i diritti si sono ridotti, non sono persona che deve parlare di politica ma è chiaro che (libera traduzione da espressioni americane che significano compagni il problema è politico).
Insomma, se non si è capito, non sono finito in mezzo a sostenitori dell'amministrazione Bush: da questo punto di vista i miei compagni di studio sono un campione statisticamente significativo dell'Ebraismo americano.
Io ho pensato a come è andato il mio undici settembre. Ero in biblioteca e ho sentito degli studenti parlare di aerei, torri e espressioni tipo: gli è andato contro, e poi è caduto tutto. Nel giro di dieci minuti l'università si è svuotata e io ho chiamato un amico giornalista, che mi ha raccontato di due aerei contro le Torri Gemelle, cazzo. Ho incontrato un collega e gli ho spiegato cosa era successo. Fino a questo punto la sensazione prevalente era l'essere attoniti. Avevo più o meno finito quel che dovevo fare e allora mi sono mosso verso la metropolitana, ho incontrato un gruppo di turisti americani che stavano in silenzio davanti a un negozio di televisori, era una bella giornata, c'era il sole che faceva riflessi nelle vetrine e quindi non si vedeva bene nella televisione di là della vetrina, sicché è toccato a me dare la notizia, e ho detto così: Do you remember Twin Towers? Non dimenticherò mai gli occhi di quel signore. Non li dimenticherò mai perché, ripeto, erano gli stessi occhi dei miei colleghi, degli studenti, dei miei amici - fino a quel momento.
E' stato il giorno dopo che le cose hanno cominciato a cambiare. Sempre più gente diceva, a me, che siccome c'era stato quell'attentato a New York era venuta ora di affrontare e risolvere la questione palestinese. Poi è venuta la leggenda dei cinquemila ebrei che non si erano presentati al lavoro la mattina dell'undici settembre - raccontata e diffusa anche dalla emittente radiofonica di sinistra di cui ero economicamente sostenitore. Poi la vignetta su Cuore (curiosa circoncidenza) così simile a tante altre vignette che i nostri nonni hanno dovuto sopportare. E, contemporanente, la storia di quello che aveva passeggiato per le strade di Firenze con indosso una bandiera palestinese e altro che quello che rischiano gli ebrei con i loro simboli, i veri perseguitati sono altri e i persecutori indovina chi sono.
Come si è reagito da parte ebraica, lo sappiamo bene. Ricordo un articolo su Ha Kehillah che diceva per favore teniamo fuori gli ebrei da questa storia, ma era l'autrice la prima a non crederci. Si poteva regaire diversamente? E chi lo sa. Fatto sta che proprio a partire da quel giorno di settembre si è dovuto investire di più sulla sicurezza. Anche perché le telefonate minatorie che ricevevamo si sono, improvvisamente, moltiplicate.
Diciamolo qui: io non credo che siamo dentro uno scontro di civiltà. Credo che all'interno di tutte le religioni, ma soprattutto nell'Islam, sia in corso uno scontro tra fondamentalisti e modernità. I fondamentalisti sanno che perderanno, e quindi conducono la battaglia in maniera sempre più criminale. E mi chiedo come mai i miei compagni di studio non si sono fatti trascinare in questa logica. Perché reagiscono alla perdita della casa leggendo Rumore bianco di Don De Lillo, o scoprendo la possibilità di criticare il loro governo, proprio mentre è impegnato in guerra. E nello stesso tempo, non si fanno prendere dalla auto-fustigazione stile: Il male del mondo è tutto colpa nostra, che vedo così comune tra gli orfani del comunismo (e che Uriel descrive qui in maniera magistrale). Una risposta, più o meno, ce la ho.
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sabato, settembre 08, 2007
un po' di numeri
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mercoledì, settembre 05, 2007
orsi
Uno dei luoghi di Gerusalemme che mi piace di più è Kikar Safra, la piazza davanti al Municipio. Con le sue linee dritte e gli edifici squadrati, potrebbe assomigliare ad un quadro di De Chirico. Però ci sono gli orsi.
Tutt'intorno alla piazza ci sono questi statuotti di orsi sorridenti.
Un orso per ogni Paese del mondo; una bella idea per una città che due religioni su tre considerano il centro del mondo. Il concetto guida dell'opera -che ha un effetto meno deprimente dei molti monumenti ai caduti che adornano le piazze italiane- è il principio ebraico della responsabilità umana verso la natura, come principio guida nelle relazioni tra i popoli. La nostra religione, infatti, non obbliga gli uomini a credere in qualcosa, ma li spinge a stipulare accordi e a rispettarli.
In sintesi: evitiamo di farci la guerra, che è poco ecologico e poi si sprecano un sacco di energie. Cerchiamo piuttosto di stabilire dei patti tra di noi. Per stabilire un patto -che è un altro concetto base della civiltà ebraica- occorre prima di tutto riconoscersi. E anche questo riconoscimento della soggettività dell'Altro è un gran bell'insegnamento della nostra tradizione, per la qual il rapporto tra Dio e l'uomo ha la forma, appunto, di un patto.
Ah, a proposito: questo orso rappresenta la Palestina.
Ripeto per chi non se ne fosse accorto: nel centro di Gerusalemme ci sono statue dall'aria simpatica che rappresentano tutti i Paesi del mondo. Tra i quali, appunto, anche la Palestina. Perché, sapete, Israele riconosce il diritto dei palestinesi ad uno Stato. Il contrario, purtroppo, non è sempre vero.
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andralamoussia
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lunedì, settembre 03, 2007
c'era posta per me
Qualcuno dei miei compagni di studio è stato in Europa e ha visitato Auschwitz. Uno di questi è PJ (che un blog ce l'ha e che devo linkarlo), che a Birkenau ha dei parenti seppeliti e che mi ha fatto venire i brividi quando ha scritto che la sensazione più forte è stata uscire da quel posto.
Ora devo aggiungere che c'è qualcuno dall'Italia che si diverte a spedirmi periodicamente nella casella postale una raccolta di articoli intitolati "Il resto del siclo", messa insieme da negazionisti, antisemiti ed antimperialisti di varia risma, e che vane sono state le segnalazioni all'antispam. Tra l'immondizia dei vari Blondet, Martinez e Mauro Manno ci finiscono dentro anche articoli di autori seri - non mi stupirei collazionata a insaputa degli autori stessi- purché l'argomento sia la menzogna di Auschwitz e quel che ci gira intorno. Parlate male (dei negazionisti) ma parlatene, che fa pubblicità: questo sembra il motto dei coraggiosi, ed anonimi, spedizioneri della monnezza succitata.
E così sono stato informato che Moffa ed i suoi proseguono la loro cagnara con toni sempre più triti, ovvero la solita denuncia del potere sionista nei media e dello studio della Shoah come legittimazione dello sterminio dei palestinesi. Eccoli inalberare trionfanti l'elenco degli accademici che NON hanno firmato la petizione promossa da Mantelli. E tra i firmatari riconosco i nomi di un paio di colleghi, autori anche di articoli (finiti nella monnezza interentdiffusa) in cui tirano in ballo la libertà di parola e il diritto, anche di Moffa e di Faurisson, di dire (o peggio, insegnare) che non è proprio vero che ad Auschwitz si moriva e che chi sostiene questa roba è un sionista assassino di bambini irakeni.
Eseguo un rapido conteggio dei colleghi ebrei che magari non sono esattamente entusiasti di lavorare accanto a chi invoca la libertà di parola per fare questa porcata, e scopro (sarà un caso) che nei dipartimenti in cui lavorano quei giovani, di ebrei proprio non ce ne sono. Uhm... Sapete, non è che l'accademia italiana abbia dato prova di grande coraggio, quando si presenta la possibilità di fare le scarpe a un collega, caduto improvvisamente in disgrazia perché sionista (o ebreo, qualche decennio fa) o "cattivo maestro" attorno al Settantasette. E sarebbe interessante incrociare l'elenco dei nomi dei firmatari in favore della libertà di parola di Faurisson con gli elenchi di chi chiede il boicottaggio accademico di Israele. Si scoprirebbe una concezione, diciamo così peculiare, della libertà di parola, e si potrebbe farne una geografia della diffusione nelle Università italiane, magari ricostruendo cordate e scuole indietro, fino, diciamo, al 1938. O alla (parziale) reintegrazione dei docenti ebrei dopo la Shoah. Sapete come vanno le cose in Italia.
Combinazione vuole che io abbia scoperto di aver ricevuto l'ultimo numero di questa rivista parapornografica mentre controllavo la E mail in biblioteca e che me ne stessi ambulando per i corridoi del College piuttosto amareggiato con persone che stimavo ed ecco che ti incontro PJ. Dico: lui è americano, è appena stato ad Auschwitz, avrà una sua idea della libertà di parola, che magari mi fa riconciliare con qualcosa - perché questi sono i momenti in cui far parte del popolo ebraico sembra essere in conflitto con il far parte della comunità degli intellettuali, o della Repubblica delle Lettere. Così gli ho chiesto se sarebbe in favore di una conferenza di negazionisti in una Università, sempre in nome della libertà di parola o di ricerca. Riporto qui quello che mi ha detto, perché è da un paio di ore che ci sto pensando.
"Probabilmente, quando sarò rabbino, mi troverò ad avere a che fare più di una volta con gente iscritta alla mia sinagoga, che sceglie di litigare con me per urlare che Dio non esiste. Quello che posso fare è mostrare a quella persona che io lo rispetto perché per me è fatto ad immagine di Dio. Forse non dargli la parola in sinagoga - perché non è il suo ruolo- ma durante la discussione della parasha, o durante il Talmud Torah. Allo stesso modo sì, io darei la parola a un negazionista, per quanto assurde siano le sue fesserie; lo farei non perché rispetto le sue posizioni, ma perché ho rispetto di lui. Ho quello che lui non ha. Forse mi fido troppo dell'intelligenza dei suoi interlocutori. Forse sarebbe una buona idea che non fosse solo. Comunque è una buona domanda. La libertà di parola non c'entra, è chiaro che è un pretesto. Il problema è come ti comporti, da ebreo, con chi nega i valori dell'Ebraismo, l'Ebraismo intero e vorrebbe eliminare tutti gli ebrei - con l'ecezione di pochi lunatici masochisti".
Ho dei compagni di scuola molto intelligenti. E ho sempre meno fiducia nell'efficacia di petizioni e mobilitazioni. Oltre che nell'accademia italica, sia chiaro.
Pubblicato da נחום alle 1:22 PM 1 commenti
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