domenica, marzo 09, 2008

appartenenze

Non lo nascondo: la yeshivat Mercaz ha Rav è sideralmente lontana dalla mia concezione di Ebraismo, per una serie innumerevole di ragioni. Ma non nascondo nemmeno che ho degli amici che studiano lì. Che ci sono persone che mi sono vicine che hanno il cuore pesante, perché qualcuno dei loro cari è in pericolo di vita - o anche non c'è più.
Come può succedere una cosa del genere, legami tanto profondi tra persone tanto diverse? Succede che le famiglie ebraiche che vivono a Gerusalemme sono molto ramificate, e i rami attraversano anche le enclaves sociali di cui è composta la società israeliana. Che è una società in cui i sefarditi frequentano prevalentemente sefarditi, i secolari (hilonim) frequentano i loro simili, i sionisti religiosi pure. Però i legami familiari fanno sì che almeno una volta alla settimana (di solito di venerdì sera) ci si segga, letteralmente, attorno allo stesso tavolo. E da queste occasioni nascono amicizie e legami. Oppure capita di studiare/lavorare assieme, e anche da queste frequentazioni escono legami. Questa, piaccia o meno, è una società ebraica e pluralista e i due aggettivi sono sempre andati insieme, da che mondo è mondo.
Lo so che è difficile da capire. Il sogno di molti "pacifisti" è di rompere questi legami, di aggravare i conflitti, di tirare su barriere, fatte anche di boicottaggi dei prodotti che provengono da certe aree geografiche - di solito questi pacifisti sono gente che non è quasi mai uscita da Manhattan e sinceramente non capiscono per quale diavolo di ragione un ebreo nato in Marocco abbia lasciato la meravigliosa convivenza di laggiù per venire a vivere qui.
Lasciatemi dire che non ci credo. Che credo alla forza del pluralismo e dello scambio, alla capacità della parola e del dialogo, alla disponibilità a cambiare idea. Tutte cose che sono possibili se questi legami vengono mantenuti.
Con i miei amici per i quali sono preoccupato ho passato lunghe serate a discutere di Torah e di ebraismo. Uno di loro divide in maniera netta tra ebraismo e umanesimo, e ovviamente io per lui sono un seguace del secondo, pretendo di misurare l'ebraismo con un metro che gli è estraneo. Io invece ritengo che quel metro venga proprio dalla nostra tradizione, la quale conosce momenti in cui una mitzwa, o addirittura un princìpio, ne annulla un'altra. Abbiamo discusso di matrimonio. Di matrimoni gay, materia su cui dissentiamo in toto; e di matrimoni tra ebrei e non ebrei; dissentiamo anche su questo, ma eravamo sul punto di trovare un compromesso, per poi buttare all'aria tutto e ricominciare daccapo. Dissentiamo su tutto. L'ebraismo progredisce (dico io) o si mantiene in vita (direbbe lui) per questo genere di discussioni. Sarebbe una tragedia se dovessimo finire.
Quello di cui mi sto rendendo conto, abitando qui, è quel sottile legame che mi unisce a persone diversissime da me, che rende impossibile superare i "test" così comuni in Italia: ti senti più ebreo o più italiano? Ma come, sei di sinistra e non prendi le distanze dal cugino della moglie di uno che ha un fratello che è un colono? La prima risposta è che prendo le distanze e voglio il diritto di dirlo al colono senza coivolgere suo fratello e il resto della famiglia e voglio anche concedere al colono il diritto di cambiare idea e progetto di vita e magari anche lo spazio per essere ascoltato. La seconda risposta è che si tratta di una roba tra ebrei e tra persone che condividono l'appartenenza allo stesso movimento politico, il sionismo. E che mi risulta sempre più difficile capire come mai persone che non sono ebrei e manco sionisti, fremano dal desiderio di prendere parte in un dibattito interno a un movimento di cui non condividono gli obiettivi.

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