E' un segno di crisi. Se una scuola decide di allargare il proprio bacino di utenza è perché il bacino tradizionale non basta più. Ma la crisi dei
Massorti non è solo una crisi di numeri. E' una crisi ideologica. Il movimento ama presentarsi come la via di mezzo tra il rigore tradizionalista degli ortodossi e l'autonomia individuale che caratterizza i progressivi. E per un po' ha funzionato: negli anni 60 e 70 la maggioranza degli ebrei americani erano figli e nipoti di ortodossi immigrati dall'Europa. Provavano ad accendere l'auto di Shabbat o ad assaggiare cibo non
kasher e si rendevano conto che non accadeva alcuna catastrofe. Emerse così l'idea di conciliare
Halakhà e modernità, di rimanere nel solco dell'osservanza (ortodossa) cercando di far progredire la normativa
halakhika. Ma proprio negli stessi decenni i rabbini ortodossi sono andati radicalizzando le loro posizioni e, a partire dagli anni 80, i
Massorti si sono trovati sul banco degli imputati, con gli ortodossi che li accusavano di non seguire la
vera Halakhà, ponendosi cioé al di fuori dell'Ebraismo. E qui è iniziata la crisi. Per alcuni giovani si è fatto sentire il richiamo della tradizione, per altri (la maggioranza) non ha più molto senso l'accento sulla continuità della
Halakhà.
In questi ultimi mesi il movimento ha dovuto
decidere se ammettere gli studenti gay alle scuole rabbiniche e se celebrare matrimoni tra persone dello stesso sesso. In pratica la massima istanza
halakhika ha deciso di non decidere.
Gli
attivisti che si battono per la piena inclusione nella vita ebraica non possono dire di aver ottenuto un grande risultato: il matrimonio resta comunque vietato nelle sinagoghe
Massorti. Per poter approvare le due posizioni che lo permettevano è stato richiesto un
quorum alto di votanti favorevoli (in termini tecnici: sono state trasformate in
takanot). Per la cronaca:
una, presentata da Gordon Tucker sosteneva il dovere etico di includere i gay nella vita ebraica, mentre Myron Geller ed altri
proponevano di sospendere la proibizione dell'omosessualità perché formulata in epoca antica. Ambedue le proposte sono state respinte. Tra le posizioni approvate ve ne è
una che considera l'omosessualità un disturbo della personalità, curabile con apposita terapia ed incoraggia i rabbini a trasformarsi in
counselors (beninteso se il paziente è consenziente - troppa grazia, professor Levy).
La possibilità per studenti gay di essere accettati nelle scuole del movimento non è un diritto acquisito (notare che tutte le
teshuvot chiedono la fine dell'emarginazione dei gay: quando si dice predicare bene...) ma una semplice possibilità - le varie istituzioni decideranno caso per caso. In altre parole i rabbini
Massorti, anziché tenere fede al loro ruolo di guide spirituali del movimento, hanno lasciato ad altri il compito di decidere. E' facile prevedere che si formeranno sinagoghe
gay-friendly, che ci saranno scuole che assumono insegnanti gay ed altre che non li vogliono affatto, oltre a sinagoghe in cui, esplicitamente o meno, l'omosessualità è considerata abominio. Difficile immaginare come tutte queste realtà potranno convivere all'interno dello stesso movimento.
Ma il lato più deprimente è la divisione tra attività lecite e illecite all'interno delle relazioni omosessuali. L'ebraismo non è una religione monastica, il celibato è per noi ebrei sinonimo di imperfezione, non è bene che l'uomo sia solo. Premesso tutto questo, ci si aspetta che la via del matrimonio sia aperta a chiunque. Anche a coloro che sono attratti da persone del loro stesso sesso. Invece no. Nella teshuvah
proposta da Dorff, Nevins e Reisner -e approvata- fa bella mostra di sé la proibizione del sesso anale, come se la spiritualità ebraica si esprimesse essenzialmente nei divieti. E' la stessa logica che porta i
kabalisti a prescrivere come permessa solo la c.d. posizione del missionario (ah, il sesso anale è impuro perché il segno del Patto, la circoncisione, viene così a contatto con le klippot più forti; e i figli concepiti di giorno nasceranno deficienti)
Questa idea secondo la quale l'etica ebraica consiste in una strada per diventare santi facendo tanti piccoli fioretti e rinunce è caratteristica dell'ortodossia. Difatti nella teshuvah approvata, a pag. 37, si afferma che
"Among Orthodox gay men there is a documented trend to avoid anal intercourse because of the explicit biblical ban while maintaining an otherwise gay lifestyle"
Questi rabbini riconoscono, tanto per cambiare, che gli ortodossi sono i Veri Ebrei, che l' ortodossia è il vero Ebraismo, e che per formulare un modello di comportamento cui si devono poi rifare tutti gli altri ebrei, occorre guardare agli ortodossi. Se non ci aggradano i loro testi (ed è difficile che aggradino) allora guarderemo al loro vissuto. Perché se un ebreo ortodosso è un frustrato, allora la sua è una frustrazione ebraica, di conseguenza possiamo considerarla uno standard di comportamento alla portata di tutti gli ebrei. I quali, si immagina, accorreranno a schiere alle sinagoghe
Massorti, certi di trovarvi una vera Tradizione ebraica, che divide tra il puro e l'impuro.
Riconoscere all'ortodossia una sorta di primato morale è il fallimento del compromesso tra
Halakhà e modernità, su cui si sono retti i
Massorti finora. Probabilmente anche nell'Ebraismo è finita l'epoca delle vie di mezzo tra ortodossi e liberali. Su questo punto dovrebbero riflettere quegli ebrei italiani affezionati alla
Halakhà, che cercano di introdurre posizioni
conservative all'interno del movimento progressivo e pretendono di allargare il numero degli aderenti sperando nella forza di attrazione della Tradizione. Chi confonde spiritualità e repressione si rivolge di solito agli ortodossi, e ci si trova pure bene. Gli altri, in Italia e altrove, sono gli ebrei progressivi, il movimento maggioritario nella Diaspora.