mercoledì, dicembre 06, 2006

nell'occhio di chi guarda

C’erano una volta generazioni di pacifici arabi. Un brutto giorno dopo la Seconda Guerra Mondiale e il bombardamento di Hiroshima arrivarono in Palestina le forze del male. Volevano fondare dei centri commerciali ed espiantare i nativi e, con l’aiuto della potente lobby neocon posero fine con il sangue a secoli di convivenza pacifica con la minoranza ebraica. Nacque così lo Stato di Israele, razzista e colonialista. Fin qui, la favola. (nella foto, una sinagoga di Hebron, 1925)

Tra 1826 e 1906 si recarono in Levante diversi viaggiatori italiani, quasi tutti in pellegrinaggio. Barbara Codacci ne ha censiti i trentasei resoconti, in un bel saggio Italian Travellers in Palestine, pubblicato nel volume collettaneo Travellers in the Levant: Voyagers an Visionaries (Cambridge 2001). Tutti rispettavano profondamente i musulmani: il razzismo anti-islamico è una cosa piuttosto recente tra gli italiani cattolici. Rigoglioso era invece il razzismo antisemita. Per esempio nelle descrizioni degli ebrei di Gerusalemme -eh già, perché di ebrei da quelle parti già ce ne erano, e non pochi, ma erano brutti, sporchi (“la gente più sporca che io abbia mai visto”, Luigi Rossi, Un viaggio in Terra Santa e in Egitto, Vicenza 1890, p. 99) e ovviamente cattivi. D’altronde, ragionavano i viaggiatori, gli ebrei erano una “razza carica d’oro e di odio”, come scriveva il vescovo di Cremona Geremia Bonomelli, probabilmente dietro osservazione diretta (Un autunno in oriente, Milano 1895, p. 230).

Gerusalemme, 1895

Quella gente aveva ucciso Gesù e dalle parti della Polonia si diceva che uccidessero bambini cristiani per berne il sangue: forse c’era anche qualcosa di vero. Anche i letterati sensibili alle istanze sociali, che condannavano le persecuzioni antisemite definiva gli ebrei “razza sordida e vile” (Angelo De Gubernatis, In Terrasanta, Milano, 1899, p. 164). Significativamente, nessun intellettuale italiano dell’epoca si preoccupa di ascoltare le ragioni dei sionisti, nemmeno nell’epoca in cui i pogrom fanno stragi in Europa Orientale, costringendo gli ebrei alla immigrazione, anche in Terra di Israele. Insomma gli ebrei proprio in Palestina non ci dovevano stare, dicevano questi cattolici che adesso piacerebbero tanto a Diliberto. Che tornassero a farsi massacrare in Russia, oppure accettassero la verità del cristianesimo e basta con le loro sordide usure.

Lavoratori ebrei, Gerusalemme, 1895

Per Matilde Serao, scrittrice, giornalista, antifascista (una specie di Rossanda dell'epoca) gli ebrei in Palestina stavano nientemeno che rubando l’aria ai poveri nativi (Nel paese di Gesù, Napoli 1899, pg. 100). Perché gli ebrei non sono nativi di nessun posto, men che meno di Gerusalemme. Quando Pietro Stoppani (Dal Nilo al Giordano, Milano 1905, p. 167) vede che ai primi del Novecento Gerusalemme è purtroppo città a maggioranza ebraica la cosa non gli piace per niente. D’altronde noi sappiamo che non era vero, che da quelle parti c’erano arabi e cristiani che andavano d’amore e d’accordo finché non sono arrivati gli americani e poi lo sanno tutti che Pietro Stoppani scriveva per informazionecorretta.

(le foto sono tratte da http://www.eretzyisroel.org/ )