martedì, febbraio 27, 2007
imminente traduzione
Ne parla, diffusamente, un recente libro di Michael Stanislawski, A Murder in Lemberg: Politics, Religion, and Violence in Modern Jewish History, Princeton Univeristy Press, 2007.
La notizia della imminente traduzione in italiano del controverso libro è stata accolta da una autorevole autorità religiosa con la seguente illuminante dichiarazione
"Non è mai esistita nella tradizione ebraica alcuna prescrizione né alcuna consuetudine che consenta l'omicidio. Questo uso liberal è anzi considerato con orrore. E' assolutamente improprio usare delle dichiarazioni estorte sotto tortura secoli fa per costruire tesi storiche tanto originali quanto aberranti. L'unico sangue versato in queste storie è quello di tanti innocenti ebrei ortodossi massacrati per accuse ingiuste e infamanti. Per non parlare di chi realmente morì di colera, dopo i contatti con la famiglia Kohn" (fonte).
A tale autorevole presa di posizione si è aggiunta la voce del professor Berto De Proto con la seguente dichiarazione: "Date le imponderabili aberrazioni della natura umana, non si può tassativamente escludere, come non si può seriamente ipotizzare, che ci possa essere stato qualche caso di omicidio commesso da ebrei ortodossi. Ma avrebbe richiamato l’attenzione di autorevoli rabbini, sdegnati della trasgressione e preoccupati delle conseguenze gravanti sulle comunità ebraiche. Si sarebbe emesso, per fermarlo, un herem, che sarebbe servito a dissociarsi dal crimine, di fronte all’Europa liberale. Correnti o suggestioni oscurantiste, caratterizzate cioé dal rispetto dei precetti di una religione fortemente normativa, non sono mancate nell’Ebraismo, ma sono state combattute dalle autorità ortodosse rappresentative della maggioranza" (fonte).
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lunedì, febbraio 26, 2007
appartenenze virtuali
Toaff evidentemente ci ha provato: con pessimi risultati, dicono. Peccato che lo si dica fuori dal luogo dovuto, ovvero le riviste storiche in cui il libro avrebbe potuto essere smontato e confutato in maniera più approfondita. Sarebbe per esempio stato interessante un confronto con il recente lavoro di Elliott Horowitz, nella cui scia -pare- vuole collocarsi lo stesso Toaff. Il lavoro di Horowitz ha ricevuto mirabolanti recensioni e c'è da augurarsi venga presto tradotto in italiano, arricchendo così la bibliografia su Purim (ho in mente un bel volume di Ioly Zorattini sui Purim locali in Italia).
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sabato, febbraio 24, 2007
non sono le pasque di sangue
Sta di fatto che il libro ha ricevuto entusiastiche recensioni, non solo sulla stampa quotidiana, da parte di intellettuali ebrei non ortodossi, come Marc Saperstein, storico di vaglia e attuale rettore del Leo Baek College (Reform) o Daniel Boyarin, raffinato studioso di area masorti.
Magari si potrebbe chiedere una opinione al papà del prof. Horowitz, come fanno gli ebrei veri. In ogni caso, giacché si tratterebbe di una edizione in italiano, c'è da immaginare che sarebbero graditi interventi sulla stampa cattolica.
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mercoledì, febbraio 14, 2007
we want mashiach now
Cioé il Rebbe era Dio. Anzi G-d . C'è pure un blog che lo spiega.
C'ha i google ads sulla barra laterale che spiegano a chi rivolgersi per convertirsi all'Ebraismo.
Diceva Marx: la storia si ripete una prima volta come tragedia e una seconda volta come farsa.
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martedì, febbraio 13, 2007
vite noiose
Anche prima di Ariel Toaff si è fatta storia degli ebrei, ed in maniera eccellente. Ma con Ariel Toaff la storia degli ebrei italiani è diventata storia sociale. Storia non di personaggi e di persecuzioni (in altri casi si direbbe: di personaggi e di battaglie), ma storia di persone inserite in un proprio tempo e con una propria mentalità. Ebrei ed ebree in carne ed ossa, non epifenomeni dell'Ebreo eterno. Ovviamente, è possibile anche per Ariel Toaff scrivere delle fesserie. Non lo so, non mi pronuncio; il libro, proprio come Mangiare alla giudia prima edizione, non si trova. Trovo però piuttosto divertente il tentativo di stroncare un libro senza neanche averlo letto, e con frasi come questa:
"Quale storico può pensare di scrivere un libro di quattrocento pagine sul fatto che alcune streghe erano streghe davvero, o che la tal strega aveva commesso tal crimine?"
Sta di fatto che adesso sappiamo che le streghe erano streghe. Che il loro crimine era il "maleficio", vale a dire una maledizione lanciata contro qualcuno, e che se quel qualcuno moriva (e succedeva con una certa frequenza, viste le condizioni igieniche ed altro) l'inquisitore, e spesso non solo l'inquisitore, era convinto che fosse stata la strega ad ucciderlo, con la forza delle sue parole. E ne era convinta anche la strega, e per questo negava di aver maledetto qualcuno. E sì, negava anche sotto tortura. Non è detto che sotto tortura si dicano solo cose false: questo pure tocca ripetere.
Tutte queste cose le sappiamo perché ci si sono scritti dei libri, anche di più di quattrocento pagine. Libri che rendono piuttosto problematico continuare a sostenere che gli inquisitori, presi da furore maschilista, si erano inventati tutto. Il furore maschilista, beninteso c'era. Ma c'era anche un mondo popolare molto complesso, sicuramente più complesso di come se lo immaginavano gli inquisitori. E il crimine dell'inquisizione sta nel semplificare, classificare, (im)porre un ordine in questo mondo che noi adesso proviamo a decifrare. A volte con eccellenti risultati, come ne I benandanti di Carlo Ginzburg (Einaudi 1966), uno dei tanti libri che spiega cosa trovarono gli inquisitori. E come. Libri che dovrebbero essere entrati nella conoscenza comune, come il bellissimo Storia notturna (Einaudi 1989), sempre di Ginzburg, perché aiutano a comprendere non solo cosa ci siamo lasciati alle spalle ma anche il come. Quali elementi della nostra cultura sono, appunti culturali, mentre l'ideologia corrente ce li fa ritenere naturali: tipo la famiglia fondata sul matrimonio, per intenderci - costruzione ideologica (e storica) quant'altre mai. O l'amore per l'infanzia: qui tutti sembrano aver dimenticato che all'epoca del presunto massacro di Simonino i bambini morivano con una certa facilità. Che, come scrive Toaff ne Il vino e la carne, il sangue scorreva per le strade ed era del tutto normale che un bimbetto di sette anni facesse il macellaio. A noi, adesso, il massacro di un bambino fa orrore. Ma è la storia della nostra cultura che ci detta quell'orrore. Non la natura umana. A cosa servirebbe lo studio della storia, se non a misurarsi con la complessità di epoche, spazi, quadri mentali lontani dal nostro?
Invece no. Scopro, con una certa amarezza, che c'è ancora chi è affezionato alla divisione del campo in buoni (di solito: buonE) e cattivi. E indovina in quale campo devono essere collocati gli ebrei - anzi la manifestazione concreta, in una data circostanza storia, della Idea immutabile dell'Ebreo sofferente e sempre innocente. Certezze che possono sembrare invidiabili ma che rendono la vita così prevedibile, da diventare noiosa. Persino più noiosa di un libro di storia.
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il blog del ponghedino
Scopro che un blog ebraico liberale sta collezionando tutti gli articoli che i quotidiani hanno pubblicato contro il nuovo libro di Ariel Toaff. Ma non se ne sente affatto il bisogno, dal momento che ci sta pensando Morasha, con una veste grafica accattivante.
Orthodox does it better, isn't it ?
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giovedì, febbraio 08, 2007
dove è la notizia ?
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martedì, febbraio 06, 2007
ragioni per essere sionisti
My father hid behind a small public lavatory, painted green. His mother stood behind him, pushed him into the lavatory, and said to him, “Act like you’re going to the bathroom.” He did as he was told, and the column continued on without them.
Six hours later, the entire column was dead – except for my father and my grandmother. They stood in the street, free, without the yellow patch, because my father had removed it from his clothes. And they could go anywhere.
There were thousands of uninhabited miles in the American Midwest; the Australian Bush was emptier than the Budapest ghetto; London was free; Paris was about to be liberated; and Mussolini had already been hanged in Italy. But my 13-year-old father had nowhere to go. [...]
Many years later, I went to Budapest with my father. We walked down the street together, and then he stopped and began to cry. He pointed to a small public lavatory, painted green, and started talking. “This is the place where I was saved,” he explained. “This is the place where in essence you were born. This is the place where my Zionism was born. Because it was here that I realized that I need to have a place to go to.”
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lunedì, febbraio 05, 2007
vengo anch'io, no tu no
-La paperotta nel ruolo di Popeye
-Il pavone nel ruolo del presidente
-Il presidente che prova a fare il pavone
-Pochi paperi
TRAMA - Popeye è una paperotta dai robusti bicipiti, laureata all'Università Cattolica convinta di essere perseguitata da un tale con il pizzetto, che secondo lei è Brutus. Il Numero Uno decreta la rivoluzione permanente nel corso di una assemblea che si conclude con il sacrificio di un papero con le frange. Un pavone osserva da lontano, molto, molto preoccupato. Come finirà ? La storia appassionante di come la banda del buco cercò di trasformarsi in una comunità. Ebraica, per chi ci crede.
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strana la vita
Poi lui era uscito da quel mucchio di cadaveri e si era trovato su una nave e poi si era trovato in Francia. Ho imparato che in Italia, come in Francia, come in Turchia, come in Armenia, un armeno è un armeno. Oltre ad essere, se del caso, italiano, turco o francese come Charles Aznavour. Che si chiama Varinag Aznavourijan, perché gli armeni hanno il cognome chie finisce per -ian e che ogni tanto se lo tagliano. Come gli ebrei quando vanno in America. Tanto per chiarire, io ho appreso dell'esistenza di Charles Aznavour da questa trasmissione televisiva. Quando avevo tredici anni ascoltavo i Deep Purple e i Bee Gees, mica Aznavour. Insomma, dal mio compagno armeno, che portava traccia della vita del nonno in un difetto che adesso si sarebbe definito dislessia, ho appreso che Diaspora è una parola che non riguarda solo gli ebrei.
Sono sovranamente indifferente ai tentativi di paragonare la Shoah con l'eccidio degli armeni (uno dei passatempi favoriti dagli antisemiti) fin da quando avevo tredici anni. Età nella quale ho imparato anche a rollare. Ma la Shoah c'è stata.
C'è stata quando erano giovani i signori che se ne stanno andando e che popolano la camera dell'ospedale dove mi capita di passare delle ore. I parenti si incrociano. Raccontano. Le donne sorridono. Siamo in ospedale, c'è qualcuno che se ne sta andando e qualcuno che sorride. Deve essere un modo di farsi coraggio tipico delle donne. La città, dovete sapere, è piccola. I nonni si conoscevano. Si conoscevano non nel senso che si frequentavano, ma sapevano chi erano. Proprio negli anni della Shoah, voglio dire. Uno era nella città, anzi nei paraggi. Gli altri no.
Uno finì in Australia. Nel senso che ce lo portarono gli inglesi; e tornò in Italia "dopo sei anni". Credo voglia dire sei anni dopo l'armistizio firmato da Badoglio. E un altro era al Nord perché era un repubblichino. Ah: e il terzo, quello che si muoveva nei paraggi della città era, avete indovinato, un partigiano comunista. Che sapeva che un altro, quello che non c'è più, si era sposato. Si sta parlando di una conoscenza comune, nel senso che era rimasto parente di uno dei parenti che si muovono in questa stanza d'ospedale che sembra il set di un film neorealista.
Ora qualcuno si chiederà se qualcuno dei tre ha fatto politica, dopo la guerra che li ha visti su fronti diversi e contrapposti. Se per fare politica si intende militare in un partito, la risposta è no; nessuno dei tre ha mai avuto una tessera; nemmeno dell'ANPI, nemmeno della Associazione Combattenti e Reduci. Se si intende votare per il partito che veniva, a torto a ragione, considerato erede della parte politica che si era finito per scegliere negli anni della guerra, allora la risposta è sì. Si potrebbe aggiungere che i tre anziani signori non hanno condiviso la lettura dello stesso quotidiano. Dopo la guerra che hanno combattuto si sono sposati, hanno fatto dei figli e hanno dei nipoti. Tra i nipoti c'è anche chi si è sposato. Hanno la fortuna di avere sempre qualcuno accanto ai loro letti. Una volta un tizio che conosco ha cercato di mettere in piedi una associazione di volontariato per accompagnare la gente negli ospedali. Diceva che a Milano non ci sono famiglie sufficientemente allargate e solide. Invece in questa città piccola ci sono.
Ovviamente questo secolo di guerre ne ha regalate altre, dopo quella che per questi signori è la guerra per definizione. Una di queste guerre è scoppiata, come tuttti sanno, questa estate. Probabilmente le guerre che vediamo noi sono molto più crudeli con la natura, con gli alberi, di quanto lo sia stata quella che ha diviso questi anziani signori che stanno lasciando questo mondo con la stessa dignità con cui hanno vissuto. E dopo le guerre occorre piantare degli alberi. Piantare tanti alberi. Con quello che si dice sul clima, un'altra guerra di cui non si sapeva si doveva combattere.
Facciamo che non vi dico chi dei tre (un ex repubblichino, un ex partigiano comunista, un ex internato militare) ha deciso di donare dei soldi al KKL. Fatelo anche voi, per rispetto per la parte d'Italia e di umanità con cui condividete di più. La vostra donazione si sommerà alla sua. E buon Tu bi'Shvat a tutti. Che sia capodanno di un secolo migliore.
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assimilazioni
Pochi mesi fa, come è noto, un gruppo di integralisti ebrei si sono presentati al convegno negazionista di Teheran. E la blog-palla antimperialista è andata in sollucchero: ecco i rabbini pacifisti, gli ebrei autentici, quelli vicini all'ebraismo delle origini e lontani dalla barbarie sionista-imperialista - che, ovviamente, li perseguita. E' paccottiglia antisemita come se ne vede molta - e dai risvolti psicanalitici fin troppo evidenti. I Neturei Karta proclamano di vivere un ebraismo fatto di divieti, che vieta addirittura l'autodifesa, e pertanto piacciono moltissimo a chi detesta gli ebrei, perché vi vede l'origine di tutti i divieti, le censure e le proibizioni. In una parola: perché identifica gli ebrei con il Potere (siamo o non siamo la religione della Legge contrapposta a quella dell'Amore?).
Se i Neture Karta piacciono molto agli antisemiti, a molti altri piacciono molto i haredim, gli integralisti ebrei. Non mi riferisco solo ai Chabad. Personalmente io apprezzo molto le loro opere di bene. Avvicinano all'Ebraismo gente che ne è finita lontana, svolgono un ammirevole opera di assistenza... Il problema per me è la concezione della storia ebraica che tutti gli haredim condividono. Secondo loro alle spalle di ogni ebreo c'è, giusto due o tre generazioni prima, una famiglia che era uscita dal ghetto ma continuava ad osservare tutto il sistema di mitzwot, la rete di divieti che regolava ogni aspetto della vita dell'ebreo osservante. Il compito di una comunità ebraica è supportare quegli ebrei che desiderano tornare allo stile di vita ebraico originario. E gli haredim, Chabad per primi, lo fanno in maniera eccellente.
Ma le cose non sono diverse tra gli ortodossi, perlomeno in quelle comunità strutturate secondo il modelllo dei cerchi concentrici. In questo modello al centro c'è un nucleo che osserva tutte le mitzwot, e che coincide, guarda caso, con il rabbino e altri addetti al culto o all'insegnamento. Immediatamente attorno a questo nucleo c'è la cerchio di chi frequenta la sinagoga e non osserva tutte le mitzwot. E poi la cerchia ancora più esterna di chi osserva niente o quasi niente, ma paga le quote di iscrizione, vale a dire lo stipendio del rabbino. Et voilà, abbiamo inventato il clero ebraico, che vive delle offerte dei fedeli e che, di fatto, fa da intermediario tra i fedeli e il Sacro. Né più né meno come il clero cattolico.
Chabad hanno le loro ragioni, e una buona dose di risorse, per proporre a tutti gli ebrei la pratica delle mitzwot. Gli ortodossi no, almeno in Italia. Ma in comune le due correnti hanno questa raffigurazione immaginaria di uno stile di vita autenticamente ebraico -uno ed uno solo- accaduto da qualche parte nel passato -inutile chiedere date- il quale rischia di andare perduto in seguito all'Emancipazione ma si può salvare con gli stessi strumenti con cui si salva ogni Tradizione.
Tutti dovremmo sapere che la Torà inizia con la lettera Bet perché ispirarsi a quello che sta prima, come a quello che sta sopra o a quello che sta sotto, può a volte essere una buona idea ma in ambito ebraico va maneggiata con cura. E magari nei prossimi giorni tornerò sulle trappole in cui cade chi coltiva questa fantasia di un tempo in cui gli ebrei erano tutti pietà, devozione ed osservanza. Per ora notiamo che Chabad, ortodossi ed antisemiti condividono la stessa nostalgia e, probabilmente, anche i sentimenti di ammirazione, per degli ebrei che piace immaginare incontaminati e, guardacaso, sconfitti. E se non è assimilazione questa...
Pubblicato da נחום alle 3:02 PM 0 commenti