tradizione vuole che
In qualche modo speculare alla tomba di Shimon bar Yochai è la spiaggia di Tel Aviv.
Ora vi confesserò un segreto: il posto di Tel Aviv che mi piace di più è la stazione dell'autobus, perché serve per andarsene. Tel Aviv è una città mediterranea come Barcellona o Atene, con la stessa musica, gli stessi colori, lo stesso traffico e le stesse vetrine (che, francamente, sono ben cosa se paragonate a Londra o anche solo a Milano) solo che è tutto in ebraico, il che per una mezza giornata produce un certo straniamento. Poi basta. Ovviamente quando avevo qualche anno di meno le cose mi sembravano molto diverse e una festa sulla spiaggia di Tel Aviv era la cosa più bella del mondo, ho scoperto in questo modo Cheb Khaled e Noa, scusate se è poco, e un signore mi spiegava che Tel Aviv è il posto più bello del mondo.
"Yerushalaiim? Tu fumi? Betakh che fumi. Alla tua età tutti fumano. Ma non fumi ventiquattro ore al giorno, vero? Una sigaretta alla volta. Tu mangi? Barur, certo che mangi. Ma non mangi tutto il giorno, mangi a certe ore, segui un menu, il primo il secondo e tutto il resto. Uguale che preghi. A Yerushalaim preghi preghi e preghi. Tutto il giorno. Nella vita per ogni cosa c'è il suo tempo. Quindi io amo Tel Aviv, concludeva il signore i cui genitori erano nati in Russia e guarda come sono vissuto bene a Tel Aviv, i miei sono arrivati qui quando io ancora non c'ero e adesso ho più di ottant'anni. Dovunque ti volti ci sono ebrei. E' un posto unico al mondo" Io per un attimo ho pensato ai pogrom e alla Shoah e a Stalin e a tutte quello che ha significato per un ebreo russo nascere a Tel Aviv quando iniziava il ventesimo secolo. Quel signore mi ha fornito una convincente lezione di sionismo.
Da queste parti si usa pensare alla spiaggia di Tel Aviv, sempre affollata (anche di Shabbat, anche a Kippur) e con la skyline sullo sfondo, come ad un esito del sionismo socialista, quel movimento intellettuale e politico che voleva creare l'ebreo nuovo, che ovviamente non è uscito proprio come lo prevedevano i padri fondatori. Nel senso che per la gente che vive a Tel Aviv la religione ha ancora la sua importanza e sarebbe impossibile non celebrare il bar o bat mitzwa dei propri figlio. Beit Daniel, sinagoga progressiva, è da anni la sinagoga più popolare di Tel Aviv (notizia mai riportata dai media ebraici italiani), e il successo si deve proprio alla domanda di Ebraismo degli abitanti della città più secolarizzata di Israele, che mal digeriscono i rigori di una ortodossia sempre più medievale. (Per i lettori italiani: ho l'impressione che dalle vostre parti non ve la stiate passando benissimo).
A prima vista la tomba di Simon bar Yochai, lassù a Meron, e la spiaggia di Tel Aviv, sulla sponda del Mediterraneo, sembrano separati da una distanza siderale. Ci sarà ovviamente chi da questa distanza deduce che gli ebrei non hanno nulla in comune - ovvero non esistono o non dovrebbero esistere (non è che i goim sono tutti antisemiti, ci sono anche quelli che fanno fatica capire gli ebrei). E ci sarà chi si compiace della varietà dell'esperienza ebraica contemporanea . che è un bel modo per non prendere posizione nei conflitti che sono attualmente in atto. In realtà c'è molto di comune tra la tradizione sefardita primordiale, e quella identità ashkenazi, che ti porta dalla scuola (dove ovviamente hai studiato Bibbia) alla spiaggia durante Kippur. Ed è che in ambedue i casi il retroterra è di tipo tradizionale. In cui l'autorità si legittima non in base al consenso, ma in base alla tradizione.
Chi è cresciuto nel contesto sefardita orientale non ha conosciuto una vita ebraica caratterizzata dalla democrazia. Anche per chi è immigrato dall'Europa dell'Est l'alya era essenzialmente una ribellione nei confronti della società (ebraica e no) tradizionale. L'Ebraismo è un prendere o lasciare, in cui la decisione finale è demandata alle autorità tradizionali, sia per chi va a Meron a portare i bimbi per il taglio di capelli (e prende), sia per chi va sulla spiaggia di Tel Aviv anche a Kippur (e lascia - o prenderà quando sarà più grande). E, soprattutto, questo Ebraismo è un Ebraismo sponsorizzato dallo Stato, che con concordati e intese con le autorità politiche ne rafforza le strutture (leggi: clero) più retrive e conservatrici. Perché sia a società ebraica tradizionale sefardita che quella ashkenazita non hanno conosciuto l'Emancipazione - e le rispettive autorità religiose ortodosse attuali fanno di tutto per metterla tra parentesi e fingere che non sia mai accaduta - immaginandosi una continuità artificiosa con l'epoca in cui i rabbini avevano davvero potere giudiziario ed esecutivo.
Diverse sono le cose per noi, il movimento più numeroso della Diaspora, il cui libro di preghiera non insiste particolarmente (eufemiiiiismo) sulla recitazione della seconda parte dello Shemah (la preghiera fondamentale dell'Ebraismo), perché democraticamente è stato deciso che non andava d'accordo con i nostri princìpi, perché confligge con la nostra esperienza ebraica e persino con le nostre speranze. Mishkhan Tefillah è uno straordinario esempio di democrazia e di coinvolgimento di uomini e donne ebrei a qualsiasi livello. Purtroppo, dove l'Ebraismo è mantenuto in vita dallo Stato, manca questa esperienza di coinvolgimento dal basso e in sinagoga si va principalmente per ascoltare il rabbino che ti dice di no.
Io, personalmente, sono ottimista. Per quel che vedo, le nuove generazioni di israeliani non hanno molto entusiasmo per una religione fatta di divieti e sentono un bisogno di coerenza intellettuale - che non vedono molto né nei sionisti socialisti, né nel rabbinato ortodosso, la cui presa sulla società israeliana è sempre più in crisi.