bandierismi
Mi accorgo che tra i lettori di questo blog ce ne è qualcuno che ignora il significato dell'espressione bandierista. Si tratta di una delle pagine più dolorose dell'Ebraismo italiano. La nostra bandiera era la rivista di un gruppo di ebrei fascisti e antisionisti, che si trovarono a fronteggiare il periodo delle leggi razziste e gli anni dell'invasione tedesca. Non si trattava di personaggi di secondo piano: occorre ricordare che i dirigenti delle comunità italiane erano in buoni rapporti con il Fascismo -e come avrebbe potuto essere diversamente, in un regime totalitario? Dopo l'emanazione delle leggi razziste, i bandieristi pensarono bene di adottare una linea di consenso. Il loro ragionamento era il seguente: tra le ebraiche fila ci sono dei sionisti (o degli antifascisti); occorre isolarli, così riconquisteremo la fiducia del Regime. Mi pare anche che venne progettata una spedizione squadrista. Come è finita? Per farla molto breve, gran parte di quei signori furono inghiottiti dalla Shoah. A poco valeva aver preso le distanze. Da allora, nel lessico ebraico italiano, bandierista è chiunque voglia isolare altri ebrei, di solito sionisti, accusati di irritare i non ebrei. O di causare antisemitismo, con il loro estremismo, radicalismo o rifiuto del dialogo.
Io trovo che in Italia, nei confronti dei sionisti religiosi, o dei coloni (che poi non sono la stessa cosa), il bandierismo è una tentazione a cui non ci si riesce a sottrarre. Loro si presentano come la somma più coerente degli attributi ebreo e sionista. E si fa l'errore di credergli. Chi vive nella Diaspora, particolarmente in realtà molto minoritarie (e, diciamolo pure, in cui il termine sionista non ha più una buona fama), può rimanere affascinato da questa retorica, da quel rifiuto del compromesso, da quella identità integrale. Il colono diventa così l'ebreo all'ennesima potenza.
Sta di fatto che in Italia (e dopo l'Ottantanove, particolarmente, a sinistra) le identità integrali piacciono giustamente poco, ed il sospetto di portarsene una indosso piace ancora meno. Così viene naturale prendere le distanze. Di più: trasformare quella distanza in un atto di accusa. Questo è esattamente il punto in cui l'analisi, per così dire, sbarella. Il sionismo religioso diventa l'ostacolo alla pace non con i vicini di Israele (che è una posizione insostenibile: piaccia o meno, la pace con l'Egitto non è una vittoria dei laburisti) MA con la sinistra italiana. Come se, dicendo che i coloni sono brutti e cattivi si potesse annullare una storia di incomprensioni che inizia -perlomeno- con la Guerra dei Sei giorni, che comprende la famosa bara vuota lasciata davanti al Tempio Maggiore di Roma una settimana prima della morte di Stefano Taché e che arriva a pericolose commistioni con l'estrema destra - fortunatamente segnalate, forse contenute, mai cancellate.
Solo che i sionisti religiosi se ne strasbattono, sempre per così dire, di quel che pensano di loro quelli che rimangono nella Diaspora. Secondo la loro prospettiva la Diaspora esiste solo per finire, prima o poi. E per cui dargli addosso, dall'Italia, ha politicamente lo stesso senso che ha parlare del costo delle patate durante una conferenza sul volo delle farfalle, basandosi sul noto assioma del battito d'ali a Shangai e del tifone in Marocco. Se poi serva a legittimarsi agli occhi della sinistra che è sempre più affezionata all'antisionismo, questo non lo so, ma anche MMAX non sembra molto ottimista.
Soprattutto, mi pare che la sua risposta non colga il punto essenziale dell'articolo del Jerusalem post che ho citato. Che è questo: in Israele (e anche in Italia) gli ortodossi sono privilegiati dallo Stato, che li considera i rappresentanti ufficiali dell'ebraismo, per una serie di questioni che vanno dallo stato civile alla kasherut. Non esiste una legge che decreta questo stato di cose, ma una serie di decisioni, di valore (più o meno) costituzionale, che pertanto possono essere modificate con strumenti giuridici e politici - e difatti, lo sono. Di questo stato di cose i sionisti religiosi, che sono tutti ortodossi, si sono giovati, e da questo nasce quella impressione di "benedizione" rabbinica nei confronti degli insediamenti. Poi è successo lo sgombero da Gaza e prima ancora si sono affermati nel rabbinato centrale posizioni antisioniste, rifiutano legittimità allo Stato di Israele. L'esistenza di un rabbinato centrale, di un diritto di rappresentanza per tutto l'Ebraismo, riconosciuto dallo Stato a una entità che ne rappresenta solo una parte, è il problema più grave che riguarda Israele oggi, e che ha non poche conseguenze anche nella Diaspora. L'Italia non vive una situazione molto diversa; ed è una situazione da cambiare al più presto, se non si vuole che la storia degli ebrei italiani venga stritolata dal binomio Memoria (i c.d. laici, per i quali il passato è tutto) - Religione (gli ortodossi, che si sono arrogati il compito di controllare il futuro). O che finisca del tutto.
Un'altra volta spiegherò perché, secondo me, qui in Israele i laburisti non hanno mai voluto affrontare il problema, nemmeno quando era al massimo dei consensi e la costruzione dell'ebreo nuovo sembrava quasi completata. Per essere poi interrotta dalla guerra del Kippur, vinta perché si è saputo dove trovare i soldati, ovvero in sinagoga. E' una storia ben nota. Ma restiamo al presente. Cogliendo l'occasione della shemittah, i sionisti religiosi organizzano, pare, un proprio sistema di kasherut, per prodotti che evidentemente hanno un mercato. Siccome quel mercato serve a mantenere i rabbini, è del tuto prevedibile (ragiona così l'articolo del Jerusalem Post) che questi rabbini costituiranno i propri Batei Din per questioni tipo i divorzi, le conversioni ecc. Allo stato attuale delle cose il rabbinato centrale non può contrastare questo sviluppo. Ciascun israeliano potrà quindi scegliere non solo tra diversi marchi di kasherut, ma anche il rito matrimoniale che sente più consono, che magari comprenda condizioni più egalitarie per quel che attiene al divorzio.
Stando così le cose, va incoraggiata ogni sfida al monopolio del rabbinato centrale, e a questa bizzarra ibridazione tra religione e politica, che porta alla creazione di un clero ebraico - una bella contraddizione in termini, per una religione che si vanta di essere egalitaria e di non conoscere mediazioni tra uomo e Dio. Un clero ebraico che per di più è pure legittimato dallo Stato - e quando la religione si mischia con lo Stato, abbiamo quel fenomeno noto come adorazione dello Stato, ovvero Fascismo. Casualmente, anche in Italia l'istituzione di una Unione delle Comunità Israelitiche, con poteri ben definiti nelle mani dei soli rabbini ortodossi è proprio una idea dei fascisti. E perché la sinistra in Italia non abbia posto tanto impegno per porvi rimedio è una questione che magari spiegherò un'altra volta. Ma è una questione urgente.
Io trovo che in Italia, nei confronti dei sionisti religiosi, o dei coloni (che poi non sono la stessa cosa), il bandierismo è una tentazione a cui non ci si riesce a sottrarre. Loro si presentano come la somma più coerente degli attributi ebreo e sionista. E si fa l'errore di credergli. Chi vive nella Diaspora, particolarmente in realtà molto minoritarie (e, diciamolo pure, in cui il termine sionista non ha più una buona fama), può rimanere affascinato da questa retorica, da quel rifiuto del compromesso, da quella identità integrale. Il colono diventa così l'ebreo all'ennesima potenza.
Sta di fatto che in Italia (e dopo l'Ottantanove, particolarmente, a sinistra) le identità integrali piacciono giustamente poco, ed il sospetto di portarsene una indosso piace ancora meno. Così viene naturale prendere le distanze. Di più: trasformare quella distanza in un atto di accusa. Questo è esattamente il punto in cui l'analisi, per così dire, sbarella. Il sionismo religioso diventa l'ostacolo alla pace non con i vicini di Israele (che è una posizione insostenibile: piaccia o meno, la pace con l'Egitto non è una vittoria dei laburisti) MA con la sinistra italiana. Come se, dicendo che i coloni sono brutti e cattivi si potesse annullare una storia di incomprensioni che inizia -perlomeno- con la Guerra dei Sei giorni, che comprende la famosa bara vuota lasciata davanti al Tempio Maggiore di Roma una settimana prima della morte di Stefano Taché e che arriva a pericolose commistioni con l'estrema destra - fortunatamente segnalate, forse contenute, mai cancellate.
Solo che i sionisti religiosi se ne strasbattono, sempre per così dire, di quel che pensano di loro quelli che rimangono nella Diaspora. Secondo la loro prospettiva la Diaspora esiste solo per finire, prima o poi. E per cui dargli addosso, dall'Italia, ha politicamente lo stesso senso che ha parlare del costo delle patate durante una conferenza sul volo delle farfalle, basandosi sul noto assioma del battito d'ali a Shangai e del tifone in Marocco. Se poi serva a legittimarsi agli occhi della sinistra che è sempre più affezionata all'antisionismo, questo non lo so, ma anche MMAX non sembra molto ottimista.
Soprattutto, mi pare che la sua risposta non colga il punto essenziale dell'articolo del Jerusalem post che ho citato. Che è questo: in Israele (e anche in Italia) gli ortodossi sono privilegiati dallo Stato, che li considera i rappresentanti ufficiali dell'ebraismo, per una serie di questioni che vanno dallo stato civile alla kasherut. Non esiste una legge che decreta questo stato di cose, ma una serie di decisioni, di valore (più o meno) costituzionale, che pertanto possono essere modificate con strumenti giuridici e politici - e difatti, lo sono. Di questo stato di cose i sionisti religiosi, che sono tutti ortodossi, si sono giovati, e da questo nasce quella impressione di "benedizione" rabbinica nei confronti degli insediamenti. Poi è successo lo sgombero da Gaza e prima ancora si sono affermati nel rabbinato centrale posizioni antisioniste, rifiutano legittimità allo Stato di Israele. L'esistenza di un rabbinato centrale, di un diritto di rappresentanza per tutto l'Ebraismo, riconosciuto dallo Stato a una entità che ne rappresenta solo una parte, è il problema più grave che riguarda Israele oggi, e che ha non poche conseguenze anche nella Diaspora. L'Italia non vive una situazione molto diversa; ed è una situazione da cambiare al più presto, se non si vuole che la storia degli ebrei italiani venga stritolata dal binomio Memoria (i c.d. laici, per i quali il passato è tutto) - Religione (gli ortodossi, che si sono arrogati il compito di controllare il futuro). O che finisca del tutto.
Un'altra volta spiegherò perché, secondo me, qui in Israele i laburisti non hanno mai voluto affrontare il problema, nemmeno quando era al massimo dei consensi e la costruzione dell'ebreo nuovo sembrava quasi completata. Per essere poi interrotta dalla guerra del Kippur, vinta perché si è saputo dove trovare i soldati, ovvero in sinagoga. E' una storia ben nota. Ma restiamo al presente. Cogliendo l'occasione della shemittah, i sionisti religiosi organizzano, pare, un proprio sistema di kasherut, per prodotti che evidentemente hanno un mercato. Siccome quel mercato serve a mantenere i rabbini, è del tuto prevedibile (ragiona così l'articolo del Jerusalem Post) che questi rabbini costituiranno i propri Batei Din per questioni tipo i divorzi, le conversioni ecc. Allo stato attuale delle cose il rabbinato centrale non può contrastare questo sviluppo. Ciascun israeliano potrà quindi scegliere non solo tra diversi marchi di kasherut, ma anche il rito matrimoniale che sente più consono, che magari comprenda condizioni più egalitarie per quel che attiene al divorzio.
Stando così le cose, va incoraggiata ogni sfida al monopolio del rabbinato centrale, e a questa bizzarra ibridazione tra religione e politica, che porta alla creazione di un clero ebraico - una bella contraddizione in termini, per una religione che si vanta di essere egalitaria e di non conoscere mediazioni tra uomo e Dio. Un clero ebraico che per di più è pure legittimato dallo Stato - e quando la religione si mischia con lo Stato, abbiamo quel fenomeno noto come adorazione dello Stato, ovvero Fascismo. Casualmente, anche in Italia l'istituzione di una Unione delle Comunità Israelitiche, con poteri ben definiti nelle mani dei soli rabbini ortodossi è proprio una idea dei fascisti. E perché la sinistra in Italia non abbia posto tanto impegno per porvi rimedio è una questione che magari spiegherò un'altra volta. Ma è una questione urgente.
7 commenti:
Mi sa che tu stia dando troppo peso a fenomeni di interazione tra il mondo para-ebraico (diciamo perlomeno borderline) di uno stravagante ebraismo "politico", e un'entita' morente e ormai ridotta ad un contenitore vuoto, quale la sinistra e'.
Certo, i para-ebrei si considerano spesso "alla ricerca di un'identita'", come se fosse un ente di tipo epistemologico e non ontologico. Allo stesso modo, la "nuova" sinistra dira' di essere "un contenitore da riempire" anziche' un contenitore vuoto.
Ma i giri di parole sono sempre serviti a poco, e tu secondo me ti occupi troppo di infinitesimi di ordine inferiore. Trascurabili, sia nella misura che negli effetti.
Uriel
La stagione del legame quasi automatico tra ebrei e sinistra in Italia è definitivamente alle spalle - e non è stato nemmeno questo granché. Ancora mi chiedo come mai si siano coltivate quelle grandi illusioni, all'epoca in cui ci si proclamava custodi assoluti della Memoria. Quando si parla di ebrei in Italia i numeri sono sempre infinitesimali - anche se va detto che, sul totale degli ebrei italiani, a sinistra stanno comunque numeri e voci autorevoli. Ma sono divagazioni, su cui tornerò quando mi deciderò ad affrontare il pianeta dei laburisti e della loro ideologia. Per ora mi importa soprattutto il problema del rapporto con lo Stato, e la via che in Israele si sta prendendo riguardo a questa faccenda. Mi sembrano cose importanti, anche se se ne accorgono in pochi. Soprattutto, sai che novità, a sinistra.
Attendo con impazienza le tue idee sui laburisti e sul "perché non hanno mai voluto affrontare il problema".
Posta presto.
ciao
Ale
peccato che non tu non riesca a sollevare il problema centrale, ovvero il problema dello stato in se'.
ma forse e' una mia tendenza all'anarchicmo che mi fa ritenere lo stato un male o una sorta di mostro che inghiotte qualsiasi entita' gli si avvicini.
sulle parole e non è stato nemmeno questo granché avrei alcuni dubbi: stai tentando di sminuire circa 200 anni di storia, non e' giusto ne' corretto, mi sa di "uso politico della storia".
tra i nomi dei fondatori di quasi tutte le correnti della sinistra in italia, passata e presente, ci sono sempre persone di ascendenza o di apparteneza ebraica e non sono mai figure di secondo piano.
gli ebrei a sinistra ci sono e ci sono stati, personalemente spero che ci continuino ad essere; poi si potra' discutere su cosa sia "la sinistra" e su cosa sia l'ebraismo, magari, soprattutto guardando al futuro. ma il passato e' quel che e', mica possiamo cambiarlo a piacere.
per laurentij
200 anni? io parlavo degli anni 90 nella sola Italia (e neanche tutti). Figurati se è possibile negare che a sinistra ci sono molti ebrei. Il sionismo E' un movimento di sinistra - il problema è che la sinistra italiana non riesce a capirlo.
per Ale
OK, posto presto, ma prima voglio pensarci bene :-))
saluti
Molto lieta di fare la tua conoscenza :)
http://liberaliperisraele.ilcannocchiale.it/
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