martedì, ottobre 02, 2007

le misteriose vie del pluralismo

La shemittah è una questione -tanto per cambiare- complicata, che nasce dalla prescrizione biblica di lasciar riposare la terra di Israele ogni sette anni. Le librerie di questa città sono piene di libri sulle implicazioni di questo divieto (cioé, come e quanto gli ebrei in Terra di Israele lo abbiano osservato prima e dopo il sorgere dello Stato di Israele) e le librerie datì hanno anche un sacco di testi su come applicare queste norme al giardinaggio -che è una roba (il giardinaggio, dico) che a me faceva girare le scatole quando ero sedicenne e mio babbo mi informava che c'era da tagliare il giardino - oh, l'ellittico lessico familiare.... Insomma, chiedo venia, ma sono allergico a questo particolare settore della halakha. Però devo dire che mi piace la sensibilità ecologica che pervade la nostra tradizione, e viene anche riscoperta anche da noi progressivi - io ho spesso trovato imbarazzante il secondo paragrafo dello Shemah, con le idee di ricompensa e punizione, eppure in tempi di riscaldamento globale si rimane colpiti da quelle parole: "se seguirete le Mie vie darò la pioggia a suo tempo".
Con il ritorno della sovranità ebraica sulla Terra di Israele, queste questioni sono uscite dall'ambito teorico ed è diventato famoso lo heter mechirah, la vendita fittizia e temporanea della terra a un vicino non ebreo, che si presta a fingere di fare l'acquirente e ovviamente viene pagato. Se ci si pensa bene è un buon modo di costruire un futuro di pace, l'agricoltura non ama la guerra, particolarmente se distrugge il raccolto tuo, o la possibilità per te di ricevere una parte dei profitti del raccolto - che è poi quello che i non ebrei hanno da guadagnarci in questa faccenda. L'espediente venne inventato da rav Avraham Kook in occasione della carestia del 1910. Ah, lo sapevate che gli ebrei erano tanti da queste parti già prima del 1948? No che non lo sapete, per cui prima o poi lo spiegherò. Comunque nel 1910 c'erano molti agicoltori ebrei, gli ebrei erano maggioranza in diversi posti, l'Impero ottomano cadeva a pezzi, le vie di comunicazione erano inagibili e vi era per molti il serio rischio di morire di fame.
A una parte crescente del mondo ortodosso lo heter mechirah non va più bene, o meglio non vedono l'agricoltura israeliana allo stesso modo in cui la vedeva rav Kook. E mica gli puoi dare torto, in condizioni di crescita economica. Al tempo stesso l'industria alimentare non è esattamente felice di perdere il certificato di kasherut rilasciato dal rabbinato centrale. L'occasione è stata subito colta dai sionisti religiosi, che dall'espulsione da Gaza sono in una crisi ideologica e politica piuttosto grave, acuita anche dalla recente scomparsa del loro leader Avraham Shapira. Qualcuno prevede che la questione della shemittah sarà l'occasione per far nascere un terzo sistema di certificati di kasherut - accanto a quello Badaz, cioé ultra-ortodosso- e a quello legato al rabbinato centrale. In termini di mercato, la domanda di questo certificato, c'è. E c'è anche la dovuta offerta di manodopera qualificata per fornirla.
Come osserva il Jerusalem Post di ieri, in un articolo non firmato, quindi attribuibile al direttore, si aprono prospettive interessanti per il pluralismo religioso. Scrive l'articolo che è tempo di lasciare ai rabbini la libertà intellettuale di decidere da soli (=senza il ricatto del rabbinato centrale e della perdita del posto di lavoro) a quale filone della halacha fare riferimento e che una analoga libertà va garantita a tutti gli ebrei che desiderano rimanere dentro la tradizione anche per quanto riguarda il divorzio - e l'articolo si riverisce alla questione delle agunot, le donne cui il marito non vuole concedere il divorzio e al cui proposito i rabbini ortodossi dimostrano una stolidità senza uguali - un altro segno della crescente influenza degli ultraortodossi sul rabbinato centrale. E' interessante il riferimento a Paesi in cui gli ortodossi hanno il monopolio della vita religiosa, loro riconosciuto dallo Stato - come, per esempio l'Italia. Dice l'articolo che è tempo di imparare dagli USA, dove il pluralismo arricchisce l'intera vita ebraica.
Ci sono, quindi, ottime ragioni per solidarizzare con i sionisti religiosi e il loro nascente sistema di kasherut. Per quanto paradossale, molte delle loro esigenze sono anche nostre. Non me ne voglia MMAX, ma trovo la sua opinione veramente troppo affrettata: noi progressivi abbiamo molto da guadagnare nel consolidarsi dei sionisti religiosi. E poi, per quanto antipatici quelli di Mafdal possano essere -e assicuro che a me stanno davvero antipatici- è infantile pensare che tutto un universo politico sia derivato dalla fantasia fanatica di un cattivo maestro. Il sionismo religioso si sarebbe sviluppato anche senza personalità come quella di Shapira - che assicuro, mi stava davvero antipatico. Se non si tiene presente questo fatto ci si riduce alla caccia al capro espiatorio, da mostrare poi al mondo non ebraico per presentare sé stessi come gli ebrei buoni che non hanno nulla a che fare con gli altri ebrei, quelli settari, particolaristici e cattivi. In Italia questa roba si chiamava bandierismo. Siamo sicuri che sia una buona idea?

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