sganassoni che accelerano
Il signor Moshe Friedman non è rabbino. Rabbino lo si diventa dopo un regolare corso di studi di livello universitario. Nell'ambiente ultraortodosso, però, si usa attribuire il titolo di "Rav" più o meno come nel Lazio si gratifica chiunque del titolo di Dottore, o dottò. Per cortesia, né più né meno. In altri ambienti ebraici equivale a fregiarsi del titolo di dentista quando invece si è al massimo odontotecnico, e c'è un laureato in medicina che è socio dello studio dentistico. Succede, per ragioni fiscali.
Nato a Brooklyn in una famiglia di chassid Satmar, Friedman si è trasferito a Anversa, città della moglie. Tra gli ultraortodossi la dote della moglie costituisce un vero e proprio capitale, la donna provvede al bilancio familiare e spesso è la moglie che decide dove andrà a vivere la coppia (lo spiego per coloro che mi hanno chiesto: ma in cosa consiste questa civiltà ebraica di cui hai parlato ieri?). Nella vecchia Europa un ebreo ultraortodosso nato a Brooklyn può trovare lavoro come rabbino, sfruttando il fatto di provenire da un ambiente molto pio (frum). E questo è precisamente ciò che Friedman ha tentato di fare, trasferendosi a Vienna, dove si è subito scontrato con il Consiglio della Comunità ebraica ortodossa (che in Austria è una istituzione concordataria, quindi riceve contributi dal governo) pretendendo di avere una sinagoga tutta per sé. Ne è nata una causa legale della durata di quattro anni. Roba lunga, e spesso costosa. C'è da chiedersi che cosa ne è successo del capitale familiare.
Beninteso, nel corso di tutta questa causa, Friedman ha continuato a tenersi per sé la sinagoga che aveva iniziato a frequentare come semplice (e devoto) membro, subito incaricato di una delle decine di incombenze che richiede il culto ebraico. Ma mentre la causa contro la Comunità ebraica proseguiva, Friedman ci si è trovato sempre più solo. Finché ha avuto una grande pensata: gettare in pasto ai media l'antisionismo del suo background Satmar. Trasformare un aspetto della teologia dei Satmar in un tratto essenziale e identitario. Si è così cercato come avvocato un esponente del partito di Haider, che già aveva difeso un prete cattolico che diffondeva stampa antisemita (un devoto di Simonino di Trento), ha dichiarato alla stampa che nella sua sinagoga si pregava per la distruzione di Israele. Che la sua, dove c'era solo lui e i suoi figli maschi, era la Comunità ebraica (azz, sono rimasti davvero in pochi, gli ebrei a Vienna) mentre l'altra, quella che ha una intesa con lo Stato austriaco, era la Comunità sionista.
Nel bell'ambientino austriaco di antisemiti, anzi antisionisti, Friedman si è fatto un certo nome ed alcuni amici di pubblico rilievo. Ovviamente, i media ci si sono gettati a pesce: non capita tutti i giorni di vedere estremisti di destra, di quelli che negano che nel Terzo Reich ci fossero camere a gas, invitati ad un bar mitzwah. Eppure a Vienna è successo, il bar mitzwah era quello di un figlio di Friedman e ne hanno parlato persino i quotidiani asiatici.
Coerentemente con queste premesse Friedman si è fatto vedere nei paraggi dall'ospedale ove era ricoverato Arafat e ha poi incontrato i leader di organizzazioni che chiamano alla battaglia contro gli ebrei (qui trovate lo statuto di una di esse, Hamas). Sempre affezionato alla popolarità, si è fatto fotografare mentre abbracciava Ahmadinedjaad. Ha poi dichiarato che Dio vuole che gli ebrei rimangano second class citizen fino alla venuta del Messia, analisi con la quale il presidente iraniano chissà se concorda.
Come forse saprete, mentre si trovava a visitare Auschwitz, il signor Friedman ha preso un paio di sganassoni da parte di un altro ebreo ultraortodosso, proveniente dal medesimo ambiente, poco abituato al confronto critico. Siccome nella complessa teologia del signor Friedman le vittime ebree sono colpevoli più o meno quanto i carnefici, ci aspettiamo che si conduca di conseguenza: che ringrazi cioé quel fratello ebreo (ultraortodosso, con cui ha così tanto in comune). Questi ha cercato di ricondurlo fisicamente allo stato di second class citizen e di avvicinare in questo modo l'avvento dell'era messianica, che sola può liberare gli ebrei dalle sofferenze dell'esilio.
Invece no. In rete è tutta una cagnara anti-imperialista ed il mite israeliano, antisionista pure lui, che svolge una preziosa opera di soccorso alle vittime degli attentati, si è trovato ad essere ritratto come una specie di kapò, di aguzzino, mentre ha solo collaborato al piano divino. Io sono certo che al signor Friedman non piace affatto questa mancanza di rispetto per la millenaria tradizione ebraica di sopportazione delle sofferenze e per la sua trepidante attesa messianica. Non è rabbino, ma è pur sempre un mite uomo di fede.
Nato a Brooklyn in una famiglia di chassid Satmar, Friedman si è trasferito a Anversa, città della moglie. Tra gli ultraortodossi la dote della moglie costituisce un vero e proprio capitale, la donna provvede al bilancio familiare e spesso è la moglie che decide dove andrà a vivere la coppia (lo spiego per coloro che mi hanno chiesto: ma in cosa consiste questa civiltà ebraica di cui hai parlato ieri?). Nella vecchia Europa un ebreo ultraortodosso nato a Brooklyn può trovare lavoro come rabbino, sfruttando il fatto di provenire da un ambiente molto pio (frum). E questo è precisamente ciò che Friedman ha tentato di fare, trasferendosi a Vienna, dove si è subito scontrato con il Consiglio della Comunità ebraica ortodossa (che in Austria è una istituzione concordataria, quindi riceve contributi dal governo) pretendendo di avere una sinagoga tutta per sé. Ne è nata una causa legale della durata di quattro anni. Roba lunga, e spesso costosa. C'è da chiedersi che cosa ne è successo del capitale familiare.
Beninteso, nel corso di tutta questa causa, Friedman ha continuato a tenersi per sé la sinagoga che aveva iniziato a frequentare come semplice (e devoto) membro, subito incaricato di una delle decine di incombenze che richiede il culto ebraico. Ma mentre la causa contro la Comunità ebraica proseguiva, Friedman ci si è trovato sempre più solo. Finché ha avuto una grande pensata: gettare in pasto ai media l'antisionismo del suo background Satmar. Trasformare un aspetto della teologia dei Satmar in un tratto essenziale e identitario. Si è così cercato come avvocato un esponente del partito di Haider, che già aveva difeso un prete cattolico che diffondeva stampa antisemita (un devoto di Simonino di Trento), ha dichiarato alla stampa che nella sua sinagoga si pregava per la distruzione di Israele. Che la sua, dove c'era solo lui e i suoi figli maschi, era la Comunità ebraica (azz, sono rimasti davvero in pochi, gli ebrei a Vienna) mentre l'altra, quella che ha una intesa con lo Stato austriaco, era la Comunità sionista.
Nel bell'ambientino austriaco di antisemiti, anzi antisionisti, Friedman si è fatto un certo nome ed alcuni amici di pubblico rilievo. Ovviamente, i media ci si sono gettati a pesce: non capita tutti i giorni di vedere estremisti di destra, di quelli che negano che nel Terzo Reich ci fossero camere a gas, invitati ad un bar mitzwah. Eppure a Vienna è successo, il bar mitzwah era quello di un figlio di Friedman e ne hanno parlato persino i quotidiani asiatici.
Coerentemente con queste premesse Friedman si è fatto vedere nei paraggi dall'ospedale ove era ricoverato Arafat e ha poi incontrato i leader di organizzazioni che chiamano alla battaglia contro gli ebrei (qui trovate lo statuto di una di esse, Hamas). Sempre affezionato alla popolarità, si è fatto fotografare mentre abbracciava Ahmadinedjaad. Ha poi dichiarato che Dio vuole che gli ebrei rimangano second class citizen fino alla venuta del Messia, analisi con la quale il presidente iraniano chissà se concorda.
Come forse saprete, mentre si trovava a visitare Auschwitz, il signor Friedman ha preso un paio di sganassoni da parte di un altro ebreo ultraortodosso, proveniente dal medesimo ambiente, poco abituato al confronto critico. Siccome nella complessa teologia del signor Friedman le vittime ebree sono colpevoli più o meno quanto i carnefici, ci aspettiamo che si conduca di conseguenza: che ringrazi cioé quel fratello ebreo (ultraortodosso, con cui ha così tanto in comune). Questi ha cercato di ricondurlo fisicamente allo stato di second class citizen e di avvicinare in questo modo l'avvento dell'era messianica, che sola può liberare gli ebrei dalle sofferenze dell'esilio.
Invece no. In rete è tutta una cagnara anti-imperialista ed il mite israeliano, antisionista pure lui, che svolge una preziosa opera di soccorso alle vittime degli attentati, si è trovato ad essere ritratto come una specie di kapò, di aguzzino, mentre ha solo collaborato al piano divino. Io sono certo che al signor Friedman non piace affatto questa mancanza di rispetto per la millenaria tradizione ebraica di sopportazione delle sofferenze e per la sua trepidante attesa messianica. Non è rabbino, ma è pur sempre un mite uomo di fede.
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