quelli che l'avevano fatta grossa
Ciò detto, Cancellare le tracce è un libro davvero interessante; necessario per l’apparato di note in cui vengono messi in luce, con i dovuti rimandi bibliografici, i cedimenti nei confronti del regime fascista, per esempio, dei Norberto Bobbio e dei Pietro Ingrao - due che ebbero almeno la decenza di vergognarsene, seppure con un certo ritardo. E una lettura interessante sono anche le opere giovanili di coloro, ben più numerosi, che nel dopoguerra rimossero accuratamente quegli anni dalla propria bibliografia. Prendiamo ad esempio i liquami che il giovane Luigi Firpo rovesciava nel 1938 sugli ebrei, di cui lo disgustava “il sogno vasto e ardito” di costituire “sulle rive mediterranee, sopra le rovine del tempio incendiato, uno Stato nuovo e potente”. O le invettive di Gabriele De Rosa, futuro decano degli storici cattolici, contro il sionismo, reo di voler costituire un “focolare ebraico” proprio nei luoghi in cui gli ebrei avevano crocefisso Gesù. De Rosa scrisse queste infamie nel 1939, mentre era in corso la persecuzione antisemita. Letture interessanti, dicevo, perché illuminano sull’atteggiamento degli intellettuali italiani verso il sionismo, e da sole spiegano quanto sia artificiosa la distinzione tra antisionismo ed antisemitismo.
Tra le caratteristiche di lungo periodo della classe intellettuale italiana che questo libro mette in luce c’è, oltre all’ostilità verso il sionismo –o, quando va bene, l’assoluta indifferenza nei confronti della cultura ebraica- anche una certa mentalità complottarda. De Rosa solo nel 2000 ammise di “averla fatta un po’ grossa”, beninteso prendendosela con l’anonimo che aveva “resuscitato il libercolo in occasione di un concorso universitario”, per fare le scarpe a lui, poverino. Fantasmi cospiratori che animano le pagine di Giorgio Bocca, quando lamenta di essere stato perseguitato da una certa “signora Ravenna del Centro di documentazione ebraico”; questa aveva riesumato suoi articoli giovanili in lode dei Protocolli dei Savi di Sion vendicandosi così di alcune corrispondenze ostili ad Israele. È indispensabile, che finalmente qualcuno (come fa Battista) scriva di quelli come Bocca:
Come risulta da documenti pubblicati solo nel 2002 (A. Capristo, L’espulsione degli ebrei dalle accademie italiane, Zamorani 2002) è assai cospicuo l’elenco degli intellettuali italiani che nel 1938 risposero solleciti alla richiesta di “arianizzazione” dell’accademia, segnalando i nomi dei loro colleghi ebrei da espellere e/o professando la propria devota arianità e/o appartenenza salvifica alla religione cattolica. E si vedono così le non belle prove giovanili di Luigi Einaudi, Ugo Ojetti, Roberto Longhi, Ranuccio Bianchi Bandinelli, Nicola Abbagnano, Guido Manacorda, Natalino Sapegno, Galvano Della Volpe, Arturo Carlo Jemolo, Antonio Banfi.
la tomba di Giorgio Bassani
E quanto agli ebrei stessi, l’atmosfera all’indomani della catastrofe era quella descritta in alcuni racconti di Giorgio Bassani. Cattolici impegnati a difendere le posizioni conquistate grazie al regime, intellettuali comunisti che dichiaravano che “si stava esagerando con le provvigioni a favore degli ebrei”, economisti liberali che invitavano a fare tesoro dell’esperienza delle leggi razziste e non indulgere nel vizio israelita dell’aiuto reciproco.
Tenendo presente questa atmosfera si capiscono meglio vicende come quella di Tullio Terni, biologo fascista estromesso perché ebreo dall’Accademia dei Lincei, reintegrato dopo la guerra, poi epurato e poi espulso perché fascista. E morto suicida nel 1946. Altri, fascisti come il Terni, si ritrovarono negli stessi anni ripuliti dalle compromissioni fasciste. Battista spiega che l’epurazione del dopoguerra venne condotta all’insegna dell’arbitrio. Ora ci vorrebbe qualcuno che, partendo da questo libro utile e necessario, si chieda perché tra i favoriti da questo arbitrio non vi sia alcun ebreo, proprio negli anni in cui nasceva lo Stato di Israele.
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