venerdì, giugno 27, 2008

quando la kippah cade a terra

La kippah è un copricapo di forma rotonda, dalla forma e spesso dal colore simile a quello delle presine per le pentole in uso nelle famiglie borghesi.
[Qui ci va ritaglio di inserzione pubblicitaria di periodico yddish, raffigurante una pentola]
Usualmente è di dimensioni troppo ridotte per proteggere il capo di alcuno. Ha quindi una funzione religiosa, come il copricapo degli ulema della Transcaucasia e quello di piume di uccello dei sacerdoti del Quatzelcoal. Ma provate ad immaginare cosa succederebbe se vi presentaste in banca a chiedere un mutuo con il capo coperto dal copricapo di piume di uccello dei sacerdoti del Quatzelcoal.
[Qui ci va la foto della testa di un capo indiano dopo la decapitazione. In bianco e nero.]
Portare in testa la kippah significa, nella dimensione dell'immaginario, stare dalla parte dei dominatori che hanno il potere di concedere o negare i mutui all'interno del sistema di valore e potere del turbocapitalismo in cui viviamo tutti.
Ora consideriamo questa notizia: c'è il capo di uno Stato europeo, che nella sua campagna elettorale ha fatto sapere di avere origini ebraiche e ha vinto le elezioni. Io sono di origine indo-messicana-anglosassone-laziale di Velletri, ma non mi posso candidare alle elezioni francesi, questi argomenti genetici sono utili solo per il mio blog e i pochi lettori.
Il capo di Stato, che ha la fortuna di poter essere mediatico ed interessante, si è recato in visita nella capitale occupata da una specie di Stato straniero. Il capo di questo altro pseudo Stato, popolato da immigrati padrono e indigeni servi, in cui si parla una lingua artificiale che è una specie di esperanto e da cui viene la parola kippah, non si è recato nella capitale francese facendo sapere di essere straniero o francese. Mentre invece il capo di Stato di origine ebraica è andato nella capitale dei dominatori, è entrato nel loro finto Parlamento, che si trova nel posto dove secoli fa una tribù beduina venne derubata delle sue pecore, e si è così inchinato (a pecora, appunto) alla legge dei dominatori.
Nella capitale che lui aveva abbandonato succedeva intanto quel che succede ogni volta che dei giovani maschi si trovano senza donne e privi della appartenenza a una comunità tribale e primordiale, cioé tradizionale. Si sono scazzottati.
[foto di manifesto del Betar che pubblicizza corsi di thai-boxe affiancata a foto di musulmani disarmati e scalzi in preghiera].
Un episodio del tutto normale, si direbbe. Ma nel corso della scazzottata è caduta per terra, appunto, una kippah. Sappiamo poco di chi ha fatto cadere quella kippah. Possiamo immaginare la solita storia di famiglie tradizionali, contadini o pastori, religiosamente musulmani per millenni e triturati dal sistema di credito usurario. Possiamo immaginare il più giovane, il più forte e magari anche il più sconsiderato, insomma quello che proprio non ce la fa a imbottirsi di esplosivo (anche perché non ci sono sionisti intorno) e decide quindi di imbarcarsi per arrivare alle periferie della metropoli, in mezzo ai dominatori. Vita grama, con pochi soldi per le pentole, quasi niente da mettervi dentro e certo non le presine. Gli è stato detto che è un Paese democratico, che chiunque può essere eletto in posizioni di repsonsabilità. Che anche il sovrano dei dominatori è straniero. Ma è uno straniero dalla parte giusta
[foto di Sarkozy che canta l'inno francese. Sullo sfondo bandiera di Israele]
Ora ha gettato a terra la kippah. Nell'immaginario prodotto dai dominatori si è già trovato definito come antisemita. Possiamo immaginare il suo destino. I dominatori non tollerano questi affronti.
Mentre sei milioni di bambini palestinesi muoiono ogni giorno, la stampa d'Europa dedica i titoli ad un juif che è vivo. In caso vi chiedeste che fisionomia hanno i dominatori.

[La notizia credo la abbiate sentita tutti: è questa. Ma ho provato a immaginare come la avrebbe scritta uno del Campo Antimperialista che c'ha un blog famoso. Però adesso ha chiuso i commenti e non c'è modo di informarlo. Se lo vedete voi, fatemi la cortesia di farglielo sapere, grazie]

lunedì, giugno 23, 2008

archetipi due - la vendetta

Anche stavolta non metto nessun link, perché sto per copincollarvi un paciugo di frasi e sentenze e luoghi comuni che non potete attribuire precisamente a qualcuno o qualcun altro, ma che avrete senz'altro già sentito. Se avessi un cazzato-metro sono certo che avrei potuto certificare un aumento della produzione di questi discorsi mano a mano che si avvicinava la celebrazione dei sessanta anni di indipendenza di Israele, una democrazia che è rimasta tale nonostante uno stato di guerra continuo, in una zona del mondo in cui di democrazie ce ne sono poche e la cui economia mostra un tasso di crescita sorprendente. E di cui stormi di avvoltoi prevedono la fine. Giusto di queste strampalate previsioni vorrei parlare, perché secondo me sono molto simili all'archetipo degli ebrei decaduti, o della splendida Israele che non è più quella di una volta.
Gli avvoltoi rilevano con soddisfazione ogni diminuzione dello zero virgola del PIL di Israele, sottolineano come anche gli arabi facciano figli (ma và?), e che di ebrei non ne immigrano più. Lo scopo è dimostrare, con precisione matematica, che Israele è finito. Che dovrebbe trasformarsi in uno Stato per tutti i cittadini, il che significa, se Israele fosse l'Italia, che Roma dovrebbe essere ceduta interamente allo Stato della Chiesa, e che lo Stato della Chiesa andrebbe ricostituito, garantendo cittadinanza a tutti coloro che si dichiarino discendenti di ex abitanti dello Stato della Chiesa e che non siano italiani. Una fesseria? Ovvio che è una fesseria. Ma secondo il solito branco di avvoltoi, che sono convinti di volteggiare intorno a un cadavere, sarebbe l'unico modo per fare giustizia.
E proprio su questo strampalato concetto di giustizia vorrei soffermarmi: sottintende l'idea che prima che arrivassero i sionisti metropolitani cattivi ed invasori, qui era tutta campagna idillio bucolico in cui i contadini pascolavano le loro capre, fedeli alle loro tradizioni ed in cui persino gli ebrei se ne stavano buonini ed in pace col mondo. Insomma, qui i mulini erano bianchi. Ma questo strampalato concetto di giustizia, secondo cui si può fare giustizia solo radendo al suolo uno Stato (che non ne vuole sapere di essere raso al suolo, come attesta la sua vitalità culturale ed economica) sottintende un altro curioso archetipo: che è quello che Israele sarebbe uno Stato artificiale, creato da invasori che hanno cacciato, o soggiogato i naturali abitatori di questa terra. A me questa distinzione tra abitante naturale e abitante artificiale fa sempre un po' ridere, come tutto il parlare di radici, che tratta gli esseri umani come se fossero carote.
E badate bene che io non ho nessuna intenzione di negare che una ampia massa di immigrati è arrivata qui dall'Europa (e anche da un posto molto lontano, che si chiama Medio Oriente), solo che non capisco perché vada definita come ingiusta. A meno che il discrime tra giusto ed ingiusto non venga tracciato in base a quel genere di archetipi secondo cui tra uomo e terra esisterebbe un legame ancestrale, magari fatto di sangue. Quel genere di archetipi che resistono alla prova dei dati di fatto e che spingono a esultare per uno spostamento di qualche zero virgola in una qualsiasi statistica: lo avete visto, lo Stato artificiale sta crollando da solo, presto giustizia sarà ristabilita.

domenica, giugno 22, 2008

anche gli arabi vestono di lana

Gli abitanti di Gerusalemme tendono a portare vestiti pesanti tutto l'anno; d'inverno, da queste parti, nevica e poche case sono riscaldate. D'estate il sole è a sbrocco, ma il clima è secco e la sera spesso tira vento. Ciò non toglie che quando vi passa vicino qualcuno coperto da cima a piedi sotto il sole di agosto l'effetto olfattivo non è dei più piacevoli. Detto questo, io vorrei davvero sapere perché è solo il vestito degli ebrei ultraortodossi (quelli vestiti di nero) che solleva la curiosità dei turisti, la quale si esprime con la seguente domanda: ma non hanno caldo? Hanno caldo, vien da dire, come preti, frati e suore e/o come quegli arabi a proposito dei quali la domanda climatica non sorge.
Io me la sono fatta una idea del come mai questa domanda climatica sorge solo per gli ebrei; e che è questa. Per il turista italiano gli arabi sono più o meno indigeni, le cui usanze locali non si mettono in discussione, vuoi per paternalismo ("hanno sempre fatto così, non conoscono niente di diverso, sono più poveri di noi e non possono viaggiare"), vuoi per quella forma di buonismo multiculturale che fa accettare anche l'infibulazione "perché chi siamo noi per imporre le nostre leggi". Gli ultraortodossi non sono reputati indigeni perché sono ebrei e gli ebrei sono più o meno dappertutto, mentre gli indigeni stanno nel loro villaggio, legati al loro territorio - come, nella immaginazione dei turisti italiani, sarebbero gli arabi, o palestinesi.
Agli arabi nessuno rivolge questa osservazione, perché sono reputati i padroni di casa; e nessuno litiga col padrone di casa. Degli ebrei si sa poco, quel che si sa di solito non piace molto, sno un po' degli intrusi, e tutte le loro usanze sembrano inspiegabili - ammesso che le si conosca. Il default è: ma come mai ci tenete a fare tutte queste cose, se siete uguali a noi; significativo questo nesso tra il fare e l'essere, implica che gli ebrei non sono, ma fanno. In altre parole fingono, impongono qualcosa di artificiale sulla natura umana.
Quando mi piaceva esprimermi con metafore geometriche e mi chiamavano a tenere incontri sull'antisemitismo, usavo spiegare che "gli ebrei sono dentro e nel contempo anche fuori", nel senso che si fa fatica a farli rientrare nelle classificazioni geografiche o storiche. Partecipano alla storia generale, ma nel contempo hanno anche una storia loro. Stanno in Italia (da un sacco di tempo!) ma nel contempo stanno anche in un sacco di altri posti dove di italiani non ce ne sono. Ora guardo questa condizione in maniera meno asettica, e sono decisamente più scettico verso chi si assume il compito di "mediatore", di quello che spiega, che smussa gli angoli per presentare la parte più decente e presentabile, chiamiamola universalista, dell'Ebraismo, nella speranza di neutralizzare pulsioni antisemite.
Sono scettico perché questo lavoro è, sostanzialmente, un lavoro di misurazione. Mi spiego: ti trovi davanti a una platea di sinistra, e allora non parli dell'ebraismo o degli ebrei o del sionismo. Parli di come gli ebrei possono essere accettabili anche per la sinistra; una faccenda umiliante, che si traduce nella scomunica, nel prendere le distanze da altri ebrei. Nel dire: io sono più ebreo di te perché sono più comunista e il sottinteso è che è l'essere comunisti che conta, non l'essere ebrei. Una posizione settaria quante altre mai. Io vorrei davvero sapere se c'è qualcuno che presenta, chessò, il nazionalismo dei còrsi spiegando che ci sono còrsi cattivi, cioé fascisti e còrsi buoni, cioé compagni. E che rivendica il diritto di rappresentare la Corsica solo a uno dei due, a quelli buoni. E che facendo così si aspetta di ottenere dei risultati.
Ma applicata al mondo delle relazioni tra ebrei e sinistra (un mondo abitato ormai da professionisti della mediazione) la questione è ancora più ridicola. Se infatti non c'è quasi nessuno che si arroga il diritto di spiegare ai còrsi cosa vuole dire essere còrso, il compagno impegnato nella mediazione, che di solito non è mai stato in Israele negli ultimi dieci anni e spesso manco è ebreo, ha bene in chiaro quali sono i caratteri del buon ebreo, e ti rimprovera se non vi aderisci fedelmente, ovvero se non condanni con la dovuta energia gli ebrei cattivi. Che poi sarebbero quelli che sono al governo in Israele, adesso.
Sottolineo adesso, perché abbiamo a che fare con un archetipo, potente (e privo di fondamento empirico) come la coppia indigeno-territorio. Ed è l'archetipo secondo cui il passato è sempre meglio del presente. Gli ebrei o gli israeliani di oggi, sono gli ebrei del passato o gli israeliani del kibbutz, che sono ormai decaduti. Questa storia degli ebrei che sono decaduti è un archetipo di origine religiosa, e risale al momento in cui i cristiani hanno rivendicato per loro il ruolo di popolo eletto e dichiarato superati i libri sacri di noi ebrei: li hanno raccolti, intitolati Antico Testamento, che per essere capito aveva bisogno di un Nuovo ed è da allora che si chiedono come mai non ci convertiamo anche noi, e come mai siamo ancora attaccati alla nostra religione particolaristica e superata.
Come ho scritto sopra, di ebrei e di ebraismo si sa davvero poco. Quel che non si sa, il vuoto, viene riempito da archetipi come quello degli ebrei decaduti. Sono archetipi religiosi perché in Italia quasi tutti ricevono una educazione cattolica e/o hanno una maggioranza di coetanei che crescono ricevendo una educazione cattolica ed è tramite il cattolicesimo che imparano che esistono gli ebrei. Chi poi abbandona la pratica religiosa, ovvero la grande maggioranza, si allontana anche da quelle attività di dialogo inter-religioso che spesso aiutano a colmare il vuoto. Per sapere qualcosa con gli ebrei allora surfa su wikipedia, e impara che mitzwot è la traduzione di comandamenti. Poco importa che non esiste una autorità religiosa che vigila sulle mitzwot, che chi trasgredisce una mitzwa non è che compie un peccato, noi diciamo che perde una opportunità, e mica la può recuperare con la confessione/assoluzione ecc. ecc. Poco importa, l'ex cattolico fieramente ateo e comunista adesso ha imparato una parola dal suono esotico e la può spendere, regalando a se stesso e magari a qualcuno del pubblico l'idea che anche lui è un po' dentro; e che questo confine tra dentro l'ebraismo e fuori dall'ebraismo è un confine artificiale. Di quelli che separano i popoli naturalmente fratelli: facciamo che è un muro di separazione. Come quello che opprime i palestinesi. Dopotutto i mass media informano ogni giorno di quel che succede in Medio Oriente, e in chi legge i giornali/guada i notiziari l'illusione di familiarità si rafforza.
I miei compagni americani si sentivano chiedere da amici e parenti come vanno le cose in Israele. Io e mia moglie ci sentivamo spiegare, da gente che qui non c'è mai stata, cosa sta succedendo in Medio Oriente. Straordinari, i compagni italiani: sanno già tutto, lo hanno letto su Il manifesto. E tu che abiti a Gerusalemme, se va bene, hai il diritto di confermare. Appassionanti conversazioni, davvero.
Ci sono molti compagni che non sanno assolutamente nulla sugli ultimi anni di questo Paese, ma grazie alle barzellette di Moni Ovadia se ne sentono intimamente vicini; se e quando provano ad essere (filo)sionisti fanno esattamente come i cristiani impegnati nella polemica anti-ebraica. Dichiarano che non siamo più degni del nostro ruolo e proclamano di conoscere i nostri libri (o la nostra storia) meglio di noi. Poco importa che la nostra storia la facciamo noi; loro ostentano una superiorità morale (o "distacco emotivo") perché nello stesso tempo affermano di avere a cuore la pace molto più di noi. La prova? Noi votiamo partiti che la pace non la vogliono: siamo quindi decaduti, non siamo più il popolo del kibbutz e del socialismo realizzato.
Un allucinato serpente che si morde la coda e che ha l'effetto di rafforzare la autostima di chi ebreo non è, non riesce a capire questo strano popolo che non è indigeno come invece sono gli arabi e che, inspiegabilmente, continua a vestirsi di lana come loro, ma con abiti di foggia diversa. Davvero incompresibile, anzi: irritante. E, diciamolo, ben poco pacifico. Basta vedere cosa votano (ecc. ecc.).

giovedì, giugno 19, 2008

alla batteria Tzipi Livni

Qui trovate una canzone dedicata alla mamma di Tzipi Livni, la "piccola Sara" che andava sulle barricate per conquistare uno Stato ebraico sulle due sponde del Giordano. I Livni appartengono a quel gruppo che in Israele viene chiamato "la famiglia combattente", l'élite del nazionalismo sionista, gli allievi di Jabotinsky che contendono ai laburisti il governo (e, forse, la storia) di questo Paese. Il primo atto politico della piccola Tzipi fu a dodici anni, alzò la manina per spiegare alla maestra che nella guerra di Indipendenza c'era stato anche l'Irgun, e lei lo sapeva bene: i genitori, si dice, si erano conosciuti durante una rapina di autofinanziamento del Lehi, altrimenti noto come Stern gang. L'anno dopo, proseguono i biografi, divenne vegetariana. Si è pagata gli studi facendo la cameriera, pure se la famiglia era vicina a Begin (così funzionava all'epoca - quando la moglie di Rabin cacciò nei pasticci la sinistra israeliana per poche migliaia di dollari su un conto all'estero). Dopo il servizio militare è entrata nel Mossad e ha fatto anche una carriera, portando a termine operazioni importanti. E' stata eletta alla Knesset nel 1999 ed ha avuto un ruolo importante nel dismpegno da Gaza ed era notoriamente contraria alla seconda guerra nel Libano. Adesso sta imparando a suonare la batteria.
Se Olmert, sopraffatto dalle accuse di corruzione si dimetterà (il che non è affatto sicuro), Livni potrebbe essere la candidata premier di Kadima e nel caso che Kadima vinca alle elezioni (e anche questo non è affatto sicuro, perché il Likud sembra piazzato bene) diventerebbe la nuova premier di Israele. La nuova Golda, dice un periodico liberal, il Jerusalem Report, che le ha dedicato un articolo pieno di lodi, in cui l'appoggio delle donne e della sinistra è dato per scontato alle elezioni, mentre per quanto riguarda le primarie di Kadima la comunità drusa, che non sono pochi dentro il partito, la appoggerebbe in blocco. Staremo a vedere: il più serio oppositore, dentro il suo partito, pare essere Shaul Mofaz, che già adesso viene accusato di maschilismo per averle dato della incompetente. Il fratello di Tzipi sta accarezzando l'idea di candidarsi con il Likud e questo le farebbe senz'altro ombra, potrebbe rubarle lo slogan "Livni, un nome che è una istituzione" che tradotto in ebraico fa: Livni, nome che è il Mossad.

martedì, giugno 17, 2008

la terra dei nomi

Mentre dall'altra parte del Mediterraneo gli ateniesi giocavano alla democrazia tra i padroni (e gli schiavi erano al lavoro) su questa sponda si inventava - o si scopriva- l'idea ancora adesso rivoluzionaria dell'eguaglianza e della dignità umana: tutti gli uomini sono creati ad immagne di Dio. I testi della nostra tradizione sono pieni di nomi di uomini comuni, i testi dei greci ricordano solo i nomi degli eroi. Lo dice una delle più belle poesie ebraiche contemporanee: לכל איש יש שם, ognuno ha un nome, che letteralmente farebbe: a ciascuno c'è un nome.
Dire il nome è il nostro modo di ricordare: vale per i ricordi privati, negli anniversari. E vale per le cerimonie pubbliche, quelle istituite dallo Stato di Israele per ricordare i morti nella Shoah (qui, la descrizione di una mia amica americana, che contrariamente a me è nata e cresciuta lontana dai luoghi dell'orrore), come per ricordare i caduti nella lotta per l'indipendenza e le vittime del terrorismo - lo Yom ha Zikharon.
Quest'anno per Yom ha Zikharon siamo stati al Liceo Rehavia di Gerusalemme, che per questa capitale è un po' come il Parini per Milano, la scuola prestigiosa per eccellenza, dove studiano i rampolli delle famiglie più prestigiose; ed è anche una scuola che esiste da un sacco di tempo, perché è stata fondata nel 1928. Come in ogni scuola del Paese si è tenuta una cerimonia commemorativa, in cui sono stati letti i nomi dei caduti ex allievi della scuola. Che sono tanti.
Una nostra amica, che è nipote di un famoso generale, ha riconosciuto i nomi di suoi parenti. Io ho riconosciuto qualcuno della famiglia Valero, imprenditori a cui era stato dedicato un libro. Poi ad un certo punto si è sentito il nome di Avraham Stern, Yair.
Avraham Stern non è stato un personaggio facile. Era un nazionalista che guardava con favore ai metodi del fascismo italiano; il suo gruppo (che gli inglesi chimavano gang, banda) ruppe con l'Irgun, il movimento nazionalista sionista, giudicandolo troppo moderato. Il suo gruppo aveva perfino vagheggiato una tregua con i nazisti, nel nome della lotta agli inglesi (lo ricordano, oggi, con una espressione schifata, gli stessi che vorrebbero un accordo con Hamas). Scrisse delle poesie, dove il tema della morte per la patria assume caratteristiche davvero difficili da sopportare. Rifiutava ogni collaborazione con gli inglesi, che dopo averlo catturato e ammanettato lo uccisero a freddo senza processo. Sul momento non portarono il lutto in molti. Il movimento sionista laburista ha infatti della pagine oscure (in cui finì anche qualche italiano), fatte anche di collaborazionismo con i britannici, per levarsi di torno l'Irgun e del Lehi - così si chiamava il gruppo di Stern. Qui accanto vedete un francobollo emesso dallo Stato di Israele per ricordarlo, ma è ancora, come si dice, una figura controversa.
Quando, un mese fa, ho sentito il nome di Avraham Stern nel cortile del Liceo di Rehavia, per un impercettibile secondo mi sono venute in mente le pagine che ho scritto, in corrispondenza con amici non ebrei e di sinistra, nello sforzo di rendere presentabile e dignitoso il movimento sionista. Non perdevo occasione per segnalare che noi, i compagni, i sionisti puliti, quello che sono idialmente vicini a Rabin due secondo prima della sua morte (mentre canta il canto per la pace, Shir ha Shalom), ecco, noi non c'entravamo niente con quelli della banda Stern, quelli cattivi, quelli come Shamir.
Quante cazzate.
Davvero, che cosa ridicola volersi presentare sempre come quelli che stanno a sinistra; che cosa umiliante sentirsi sempre costretti a rassicurare i compagni; e, per farlo, infangare chi ha dato la vita perché il popolo ebraico avesso uno Stato. Tanto quanto la ha data chi stava, secondo le schematizzazioni caricaturali della sinistra italiana "da un'altra parte", quella che volevo (senza riuscirci mai, che strano) presentare come "la parte giusta"; perché accanto al sostantivo sionista ci attaccava un aggettivo che poteva suonare socialista. Illudendosi (oh, che fesseria) di poter costruire "la pace" perché anche per gli arabi quell'aggettivo ha un significato; certo che ce lo ha un significato, il termine socialismo, per i nazionalisti arabi come Arafat o Nasser. Significa un Medio Oriente senza Israele: è quello che sognano. E sono sogni verso cui la sinistra italiana è sempre stata molto comprensiva. Molto più che verso Avraham Stern.
Contro Stern, come contro Begin, come contro Sharon, come contro Jabotinsky la sinistra italiana ha costruito una immagine surreale del sionismo, in cui non era ben preciso se essere a favore di qualcosa, e di cui l'unica cosa precisa era la lista dei cattivi, da apparentare volta per volta ai cattivi di turno, amerikani o italiani. E noi ebrei di sinistra troppe volte la abbiamo data per buona, nello sforzo patetico e umniliante di farsi accettare, via via come ebrei e non più come (non sia mai) sionisti. Che era sempre una cosa troppo difficile da spiegare.
E' da più di un mese, dall'ultimo Yom ha Zikharon, che non ho nessuna voglia di spiegare: la differenza tra Avraham Stern (il "revisionista", il "fascista") e i prozii della mia amica laburista ("compagni") era solo differenza nell'ordine alfabetico. Sono nomi, parte della lotta di questo popolo per vivere liberi nella propria terra.

lunedì, giugno 16, 2008

Al Jazeera - lezione di storia

Qualche giorno fa gli spettatori di Al Jazeera hanno potuto ricevere una lezione di storia di quelle che a loro non capitano così spesso. Il conduttore aveva in collegamento Mordechai Kedar, uno studioso israeliano di letteratura araba, e sperava di riuscire a portare a termine una tirata contro Israele. Kedar ha ribattuto con ammirevole sangue freddo ("Oh fratello mio, Israele non si intromette in quel che si costruisce in Dubai, perché voi da Dubai vi intromettete in quel che si costruisce in Israele?"); il giornalista è andato in palla e ha provato a ripetere la solita frottola secondo cui Gerusalemme sarebbe città santa all'Islam - con il piccolo particolare che Gerusalemme nemmeno è nominata nel libro sacro dell'Islam, come Kedar ha ricordato. "Non potete riscrivere il Corano ad uso degli spettatori di Al Jazeera".

confini, Costituzioni e ritorni

Ogni ebreo può diventare cittadino di Israele perché Israele ha una legge che si chiama Legge del Ritorno e che assicura un canale privilegiato a chi è ebreo e vuole immigrare in Israele.
Questa Legge del Ritorno fa infuriare molti, che la ritengono razzista, perché discriminerebbe il diritto di cittadinanza. Ci sono quelli che la considerano una profonda ingiustizia perché fa riferimento a una categoria "religiosa", l'Ebraismo, per definire un popolo. E puntano il dito contro questa palese ingiustizia: questi ebrei che non vogliono integrarsi con la famiglia delle nazioni e pretendono sempre di imporre il loro particolarismo.
Uno degli argomenti preferiti per mostrare che Israele sarebbe razzista in quanto Stato ebraico è che Israele vuole stabilire per legge la propria religione. E un'altra cosa che fa infuriare in questo Stato ebraico è che si arroga il diritto di intervenire ovunque degli ebrei siano in pericolo.
La conclusione che solitamente si trae da queste filippiche è che Israele non sarebbe uno Stato come gli altri. Che sarebbe nato in circostanze eccezionali e che è uno dei tanti esempi di come gli ebrei non vogliano "integrarsi". E anche il prevalere della lingua ebraica avrebbe un carattere artificiale, discriminerebbere i "veri nativi", e sarebbe anche questa una cosa del tutto eccezionale.
Abbiamo sentito un po' tutti queste genere di argomentazioni. Ora vediamo alcuni fatti che non sono probabilmente tanto noti.

In Grecia la Costituzione impegna il Paese a prendersi cura dei greci che vivono all'estero (art. 108) e nell'articolo 3 stabilisce quale deve essere la religione prevalente, oltre a fissare per legge quale è la traduzione valida della Bibbia e quale è il significato del termine Dio: la Trinità, il cui figlio è fondatore della Chiesa greca e non di quella cattolica. Come se non bastasse riconosce ai monaci del Monte Athos il diritto a stabilire la loro repubblica teocratica (art. 105). Sono circa tre milioni i greci all'estero, per i quali esiste un ministero e la relativa Legge del Ritorno, che esiste dal 1982 e mi pare non abbia ancora scandalizzato nessuno dei volenterosi antirazzisti.

Le Costituzioni di Norvegia e Danimarca (art. 4) stabiliscono per legge quale deve essere la religione prevalente: se vi dovesse capitare di essere re di Danimarca, sappiate che siete obbligati ad essere luterani. In Norvegia (art. 2) le famiglie luterane sono obbligate a educare i figli alla stessa religione. Ah, anche in Islanda la religione ufficiale è stabilita per legge (art. 62), con il dato aggiuntivo che chi non aderisce a questa religione deve pagare una tassa extra (art. 64).

Nella Costituzione polacca, che si apre con un preambolo in cui si spiegano le radici cristiane della Polonia, e che stablisce quale deve essere la lingua prevalente nel paese (art. 27) è anche stabilito (art. 52) che tutti coloro che sono di origine polacca possono insediarsi all'interno dei confili nazionali e divenire cittadini polacchi. Nell'art. 6 spiega che lo Stato polacco è obbligato a provvedere assistenza a chi è di orgine polacca perché non perda il proprio retaggio culturale: e stiamo parlando di un venti milioni di cittadini americani, tedeschi, australiani, svedesi, francesi, cnadesi (ecc. ecc.) che potrebbero, in base a questa legge (da nessuno contestata) diventare cittadini polacchi da un giorno all'altro e insediarvisi a condizioni di favore. Immaginate la gioia per le minoranze locali (il 2% della popolazione non è "etnicamente polacca")

In Bulgaria lo studio e l'uso della lingua nazionale sono stabiliti nella Costituzione e resi obbligatorio anche per le minoranze (art. 36). E anche la Bulgaria ha la sua brava legge del ritorno, cioé l'art. 25, una procedura facilitata per chi è di origine bulgara e vuole diventare cittadino. Non gode degli stessi diritti chi invece è di origine bulgara ma non ha consuetudine con la lingua e la cultura bulgara (e la religione prevalente).

Abbiamo tutti incontrato quelli che ci spiegano che la Bibbia non è un libro di storia, che ha un contenuto mitico, che Mosé non è un personaggio storico, che gli ebrei, insomma, non sono un popolo (i più divertenti si spingono a fare analisi genetiche per dimostrarlo) e che Israele è, nel migliore dei casi, fondato sul fanatismo religioso e, nel peggiore, tutto un imbroglio per sottrarre terra originalmente araba e donarla a un popolo inventato e inesistente.
Ma nessuno, che io sappia, si è mai soffermato a fare le stesse critiche alla Slovacchia, la cui Costituzione, oltre a fissare per legge la lingua, l'inno, la bandiera e la capitale, ha il suo bravo articolo che assicura supporto per lo sviluppo della coscienza nazionale agli slovacchi che vivono all'estero (più di due milioni), per favorirne (davvero inedito) l'immigrazione nella madrepatria - dove di slovacchi ce ne sono cinque milioni, la cui età media si sta alzando e necessitano evidentemente di venir ringiovaniti.
Il tutto nel nome (vedi Preambolo della Costituzione Slovacca) e dell'eredità del Grande Impero Moravo, che è durato meno di un paio di secoli e che ha una estensione territoriale piuttosto dubbia (diciamo che i confini della Terra di Israele come sono tratteggiati nel libro di Giosué sono un capolavoro di precisione, al confronto). Preso letteralmente legittima l'annessione alla Slovacchia di parti consistenti di altri Paesi europei. Sta scritto nella costituzione, riguarda l'Europa, ma nessuno sembra interessato a sbugiardare come l'imperialismo slovacco si basi su fonti dubbie. Ah, il preambolo della Costituzione nomina anche i santi Cirillo e Metodio - a proposito di laicità dello Stato.

Non credo di aver mai letto molte proteste contro la Costituzione di Malta, che nel secondo articolo proclama che la religione dello Stato è Romana, Apostolica e Cattolica e riconosce solo alle autorità della Chiesa cattolica il dovere ed il diritto di insegnare principi morali


E non dimentichiamoci che chi può documentare una origine spagnola, anche risalente a secoli addietro, gode di un canale previlegiato per acquisire cittadinanza spagnola - lo dice la loro Costituzione, all'articolo 11.

La Costituzione irlandese, poi, oltre ad essere proclamata nel nome della Santissima Trinità da parte di un popolo che umilmente riconosce i propri doveri verso "Nostro Signore Gesù Cristo" (wow: laico, vero?) afferma che appartengono alla nazione irlandese non solo coloro che hanno un retaggio irlandese, nei confronti dei quali la Repubblica si impegna ad essere sollecita - la diaspora irlandese è di tutto rispetto (avete presente gli USA?); irlandese è per questa Costituzione ogni persona nata nell'isola d' Irlanda - che casualmente comprende anche l'Ulster, ovvero un pezzo di Inghilterra.
E c'è ancora qualcuno che crede alla frottola vaticana secondo cui lo Stato della Chiesa non potrebbe riconoscere Gerusalemme capitale, perché "disputata". Qui di disputato c'è un bel pezzo di isola, e mi pare che nessuno sollevi problemi di questo tipo quando si tratta di riconoscere l'Irlanda. Si tratta invece di roboante retorica che, col pretesto dell'uguaglianza e dei diritti, vuol levare questi diritti agli ebrei. Sai che novità.
In sintesi: ogni Paese ha dei suoi criteri per facilitare l'immigrazione di qualcuno o concedere la cittadinanza a qualcun altro. La Legge del Ritorno, in vigore in Israele e democraticamente approvata da un parlamento democraticamente eletto, stabilisce che tra questi criteri vi è l'appartenenza al popolo ebraico. Qui Wikipedia informa che l'elenco delle nazioni che hanno una simile legislazione è piuttosto lungo e comprende, tra gli altri: Armenia, Bielorussia, Cina, Corea del Sud, Croazia, Finlandia, Francia, Germania, Giappone, India, Liberia, Moldova, Serbia, Taiwan, Ungheria, eccetera eccetera. Indovinate un po' quale è l'unico contestato.

domenica, giugno 15, 2008

belle notizie

Ruth Lautt è una donna bella, coraggiosa e determinata: una avvocata americana che è diventata suora domenicana per seguire una vocazione davvero importante: fermare il boicottaggio antisemita dello Stato di Israele e contrastare l'antisemitismo diffuso nelle Chiese cristiane. La sua ammirevole determinazione la porta anche a dissentire dalle posizione ufficiali del suo ordine. Questo è il sito web della sua organizzazione, Christians for Fair Witness on the Middle East. Ne ha parlato anche il New York Times, qui, che spiega che non c'entra niente con i Christian Zionist, i neocon e tutti gli altri babau che agitano il sonno dei nostalgici del cattocomunismo.

sabato, giugno 14, 2008

Kalyi Jag



Ci sono alcune ragioni per cui metto qui questo video. Il primo è che è una bella canzone, il secondo è che autori ed esecutori sono Rom ungheresi, il terzo è che il video è un un raffinato accostamento di immagini che non c'entra niente con gli stereotipi (donne in gonna a fiori, bimbi cenciosi e sorridenti, uomini con i baffi e il coltello facile) mediante i quali in Occidente si ha l'abitudine di incasellare questa minoranza, per poi passare a silenziarla. Come accade adesso, tragicamente.

venerdì, giugno 13, 2008

birthright

Birthright Israel, il progetto che finanzia viaggi in Israele per giovani ebrei, ha già dato eccellenti risultati, facendo conoscere il Paese a un numero crescente di famiglie ebraiche.
Prende il via ora un programma diretto alla comunità LGBT
Con tutto il rispetto per gli amici di Informazione Corretta e di Sinistra per Israele, alla loro abnegazione e al loro impegno, è probabile che queste iniziative portino a casa migliori risultati in termin di immagine positiva per lo Stato degli ebrei, e, conseguentemente, di contrasto all'antisemitismo. E poi ci si diverte di più.
E' da notare che anche i palestinesi provano il loro Birthright. Grazie ai finanziamenti di un magnate palestinese dell'edilizia, qualsiasi cittadino americano che dichiari di essere palestinese e prova di non essere ebreo (a proposito di razzismo) può recarsi gratis nei cosiddetti Territori occupati (che secondo l'organizzazione comprendono anche.... Tel Aviv). Nonostante gli ingenti fondi, si sono presentati in pochi. E' da pensare che un allargamento dell'iniziativa ai membri della comunità LGBT non sia esattamente all'ordine del giorno.

Stato ebraico e Stato democratico

Negli anni Novanta i giuristi israeliani hanno discusso fino allo sfinimento sul significato dell'espressione "Stato ebraico e democratico". La ragione è che Israele non ha una Costituzione, ma un insieme di leggi che hanno carattere costituzionale: e nel 1992 la Knesset ha approvato due leggi in cui stava contenuto quella espressione e che esplicitamente citavano il documento fondativo dello Stato, la Dichiarazione di Indipendenza - che, lo so che a molti sembrerà strano, non dice affatto: siamo in questo territorio perché lo ha deciso Dio.
Secondo alcuni (soprattutto il giudice Aharon Barak) esistono però dei valori che sono ebraici e democratici al tempo stesso (rispetto della dignità della persona, uguaglianza davanti alla legge, ecc. ecc.) e che devono essere i valori espressi dalla nostra Costituzione e dalle leggi di questo Stato. Altri, e particolarmente il giudice e professore Menachem Elon, rispondono che la tradizione giuridica ebraica (la halakhà ed i responsa rabbinici) dovrebbero essere presi in considerazione, laddove non contraddicono, ma anzi rafforzano i valori democratici - il diritto ebraico, per esempio, esclude l'incarceramento per debiti, consentito e anzi ampiamente comminato nelle due fonti del diritto democratico (romano e anglosassone). I primi a questo punto rispondono che uno Stato è democratico se la legge è abbastanza astratta ed universale da rendere nulle le appartenenze religiose. Ed i secondi ribattono che Stato ebraico e democratico significa che ci deve essere un terreno comune tra ebraico e democratico, non che uno deve escludere l'altro.
Il dibattito è ovviamente molto interessante, e io qui lo ho riassunto tagliando con la motosega: però è importante ricordare che non tutti sono entusiasti di questa attività iper-legislativa della Corte Suprema. Soprattutto nel gruppo che sta lavorando a un progetto di Costituzione c'è chi pensa che delle eventuali contraddizioni tra ebraico e democratico dovrebbe occuparsi il Parlamento e non i giudici. E che l'interventismo dei rabbini a tutela (dal loro punto di vista) di quello che è ebraico - e ai danni di questo interventismo ho già accennato- è la risposta all'interventismo dei giudici a tutela di quel che per loro è democratico.
Il dibattito sul significato dell'espressione "ebraico e democratico" è sorto in un momento particolare della storia di questo Paese, cioé dopo la fine dell'egemonia laburista e dell'ethos collettivo che il socialismo israeliano ha cercato di costruire, affiancando propri valori e delle proprie cerimonie a quelli della tradizione della Diaspora (o, in qualche caso, sostituendoli).
Ad un certo punto però quel progetto è fallito, vuoi perché il socialismo era in crisi in tutto il mondo, vuoi per la guerra del Kippur, vuoi per i colpi presi da Menachem Begin e i suoi discorsi sulla sopravvivenza, vuoi per l'ingresso del consumismo e l'immigrazione dei russi - che verso il socialismo erano, diciamo, un po' allergici. Di ragioni ce ne sono tante, fatto è che Israele negli anni Novanta è un Paese in cui si parla molto più di diritti individuali, molto di più di quanto se ne parlasse in passato.
La storia del sionismo, di qualsiasi corrente sionista, è sempre una storia di ideali collettivisti, non solo a sinistra. A destra la voce che contava era quella nazionalista, non quella liberale. E nemmeno i sionisti religiosi hanno mai considerato un valore la tutela dei diritti dell'individuo.
Perché il problema è di che individuo stiamo parlando. Gli amici che mi scrivono chiedendomi come fa uno Stato ispirato a una religione ad essere anche uno Stato democratico hanno in mente un tipo preciso di democrazia: quella americana neoliberale, laddove la sovranità appartiene a una entità astratta chiamata individuo, slegato da ogni comunità, privo di ogni appartenenza, religione, legami familiari e culturali; e l'obiettivo del sistema giuridico è la felicità di questo individuo. Che è una finzione, perché in realtà negli USA esiste un predominio dell'etnia WASP, che non può scalfire alcuna eguaglianza giuridica formulata per legge. Mentre invece la generazione dei fondatori dello Stato di Israele, che ha scritto quella Dichiarazione di Indipendenza dove gli aggettivi ebraico e democratico compaiono per la prima volta accanto, aveva presente la democrazia rappresentativa, ovvero -come in Italia- proclamava che la sovranità appartiene al popolo. Non a caso nessuno in Israele si oppose alla istituzione di un sistema di welfare.
Israele è uno Stato democratico ed ebraico. Democrazia non significa dispotismo dell'individuo, ma sovranità del popolo. Che in questo caso è il popolo ebraico, ovvero quegli individui che hanno in comune l'appartenenza al popolo ebraico e che hanno creato uno Stato per assicurarvi continuità e diritti. In Israele, proprio come in Italia, la sovranità appartiene al popolo; il che non significa che chi non è ebreo non ha diritti individuali. Ma, proprio come in Italia i diritti nazionali sono del popolo italiano e non dei Walser, e in Francia sono del popolo francese e non dei Bretoni o dei Corsi, e in Spagna appartengono agli spagnoli e non ai Baschi. E qui posso anticipare che tra i miei lettori (se sono sopravvissuti fino a questo punto) ci sarà chi tristemente mi dice: ma allora il conflitto con gli arabi non si risolverà mai! La mia risposta è sì, probabilmente è così. Perché Israele è uno Stato normale, e in nessuno Stato le minoranze nazionali sono completamente soddisfatte. Di più: ogni Stato nazionale accetta all'interno dei propri confini solo le autorità di quelle minoranze che con quello Stato vengono a patti, non certo quelle che vogliono farlo saltare per aria. Il che vuol dire che il conflitto con le aspirazioni nazionalistiche degli arabi non può essere risolto all'interno di una prospettiva sionista. Si può (e si deve, dal mio punto di vista) trovare una modalità di convivenza con coloro che accettano che questo è uno Stato ebraico e democratico, perché tra gli scopi di ogni democrazia c'è anche: sviluppare il Paese a beneficio di tutti i suoi abitanti. Ma uno Stato non si può suicidare cambiando le proprie caratteristiche nazionali.
So che dal punto di vista della democrazia neo-liberale americana non esistono conflitti che non possono essere risolti. Nella salsa New Age preferita dai pacifisti, questo significa: allargate l'area della coscienza (povero Allen Ginsberg, se avesse saputo cosa avrebbero fatto di lui...) e la vita vi sorriderà. Ma nel mondo reale in cui viviamo un po' tutti, le cose stanno in maniera diversa.

operazioni impossibili

Oggi mi sono trovato in mail un articolo di David Bidussa. E, ispirato da un post del mitico Uriel, ho deciso di fornirvi una traduzione in lingua italiana, con qualche integrazione che renda comprensibile il pensiero dell'autore. So che l'impresa è ardua, comunque ecco il risultato.

David Bidussa
Non temo il Mein Kampf, ma la mancanza di cultura
in “il Secolo XIX”, 12 giugno 2008, p. 19

E’ possibile che il Mein Kampf di Adolf Hitler, il testo di riferimento teorico dell’ideologia nazista torni a circolare liberamente in libreria in Germania. Non è né una spacconata, né soprattutto, sembra aver suscitato grande clamore. Un’edizione, che dovrebbe essere accompagnata da una commento di adeguate proporzioni. Un’edizione, infine, a cui non si sono apposte le Comunità ebraiche tedesche.

Traduzione: dunque c'è una notizia di cui frega un cazzo a nessuno.

Molti ritengono sorprendente questa notizia. Personalmente non sono di quest’avviso. Non sono contrario alla pubblicazione del Mein Kampf nemmeno in Germania, ma non mi convincono le motivazioni usate per spingere alla sua diffusione. Vale la pena discutere, almeno per tre buone ragioni

Traduzione: ci sarà probabilmente qualcuno a cui questa notizia interessa, ma a me no. Quindi, come posso astenermi dal commentare? Dirò di più, vado a scrivere non uno, non due, ma ben tre commenti. Pronti?

La prima riguarda il fatto che ancora sembra che il nazismo sia un fatto privato degli ebrei. Perché dovrebbe dare il suo assenso la comunità ebraica? Non è questo un atto di deresponsabilizzazione?

Traduzione: Be-reshit barà Adonay... e poi Dio creò l'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e ispirò nel profetico suo Presidente un viaggio in Israele assieme a Gianfranco Fini. Come è noto. doveva trattarsi di una faccenda tutta interna al mondo ebraico, ma ebbe lo strano ed imprevisto effetto dello sdoganamento dei fascisti ad opera degli ebrei e per conto di tutti gli antifascisti. Il vero problema quindi è: come mai non mi hanno invitato?

La seconda riguarda la libera circolazione dei testi. Qualcuno deve aver pensato che nell’epoca di internet quando per leggere il Mein Kampf come I Protocolli dei savi anziani di Sion è sufficiente navigare in rete e scaricare un file, la cultura dell’interdetto non sia efficace. Non è un ragionamento improprio, del resto in Italia circola un’edizione dal 2002 e nessuno se ne è accorto. Ma appunto: perché nessuno se ne è accorto? Non per distrazione, ma perché quell’operazione non ha un valore. A chi si rivolge il commento che accompagnerà l’opera di Hitler?

Traduzione: il secondo problema è: perché nessuno mi ha chiesto di scrivere il commento al Mein Kampf? Eppure avevo già pronta una traccia, eccola.

Se si rivolge a coloro che la studiano come la traccia di una mentalità nei cui confronti occorre preparare degli antidoti, ha il valore di una predica ai convertiti. Se invece intende rivolgersi a chi è affascinato e provare a smuoverlo dalle proprie convinzioni è alquanto improbabile che quell’operazione sia di una qualche efficacia. Semplicemente perché la storia dell’uso di quel testo è eguale a quella del ritorno ciclico dei razzismi come dimostrano Guido Barbujani e Pietro Cheli (Sono razzista, ma sto cercando di smettere, Laterza): pur dopo che si sono dimostrate infondate, in tutti i loro presupposti, ritornano costantemente. Non si rinnovano, semplicemente si ripresentano. Nessuno impara mai dalla sconfitta precedente

Avete visto? c'è pure la bibliografia. E nell'ultima frase accenno a Veltroni. Chissà come mai nessuno ha pensato a chiedermi un commento per l'edizione tedesca del Mein Kampf.

La terza ragione riguarda la convinzione che sia possibile disinnescare una possibile escalation di cultura razzista, immettendo un testo e emblematico ne libero mercato e sottraendolo al circuito della clandestinità, non solo è discutibile, ma è anche troppo semplicistico.

Traduzione: La libertà di parola è una bella cosa ma va assunta a piccole dosi, soprattutto controllate. Lo sanno tutti i danni che ha fatto la televisione privata in Israele.

Perché presume che a un problema si risponda solo togliendo il fascino del “proibito” sgonfiandone l’interesse trasgressivo. Dietro alla questione del fascino che oggi hanno le parole razziste e dunque della loro possibile diffusione sta una questione diversa.

Traduzione: Si fa in fretta a dire razzismo, bisogna poi specificare con attenzione e fare i distinguo. La discriminazione contro i chamchakim per esempio ha portato la splendida Israele al governo, e loro irriconoscenti hanno votato Likud e adesso non si può più dividere Gerusalemme. Lo vedete che c'erano delle ragioni per tenerli lontani dai posti di responsabilità? Comunque il problema, come sempre, è a monte.
E ora, visto che mi sono ricordato che sono ebreo e gli ebrei fanno un sacco di domande, ce ne metto qualcuna qui. Anche perché se non ero ebreo mica chiedevano a me di commentare questa non notizia.

Come si costruisce una cultura pubblica in grado di non soggiacere alle sirene dell’antisemitismo o dei razzismi risorgenti? Si risponde con un manuale? Si delega alla scuola e agli insegnanti?. Ma non è limitato – e di nuovo troppo facile – pensare che la questione del razzismo riguardi solo gli insegnanti e i programmi scolastici? Il fatto che si presenti questa questione non indica il fatto che sia in atto una crisi culturale complessiva? Rimettere ufficialmente nel circolo librario un testo, il cui solo fatto di acquistarlo costituisce un atto iniziatico, non è di per sé un errore.

Quando ho preparato la mia bella antologia sul sionismo per i tipi di Feltrinelli, che ha avuto una recensione positiva sul manifesto (ben nove righe, eh!) sono stato bene attento ad evitare di includere personaggi come Jabotinsky o Eldad, perché appunto la cultura italiana non subisse quel sulfureo fascino iniziatico.

Ma sarebbe un errore considerare che solo un accurato apparato di commento sia lo strumento efficace per smontarlo.

Infatti io mica ho commentato gli scritti di Jabotinsky, mi son ben guardato dal nominarlo. Eh, che signor commento che ho scritto...

Per rispondere alle banalità del razzismo occorre una preparazione culturale e una sensibilità culturale che non sembrano diffuse

Particolarmente, va detto, tra i sefarditi. Che sono pure un po' negri e, non casualmente, votano Likud.

e che comunque la scuola non è in grado da sola di risolvere. Una cultura e una sensibilità, per di più, e questo è il dato su cui vale la pena riflettere, che nessuno avverte come necessarie. E’ solo perché gli insegnanti non sono preparati?

In questo caso, chiaramente, la colpa è di Begin.

giovedì, giugno 12, 2008

e alla guerra pensiamo così

Questo è il nuovo spot di un canale satellitare. Fa il verso al tema di un celebre film, che trovate qui La cosa divertente, tra le tante, è che il film parla della difficile storia d'amore tra un sefardita ed una ashekenazita, in un epoca in cui dei sefarditi si diceva che erano ... arabi.
Per dirvi quanta paura ci fanno Nasrallah, Ahmadinedjaad e i loro fan.

esempio di politica israeliana

Qui trovate una notizia secondo me interessante, che sarebbe bello sapere se in Italia ci ha mai pensato qualcuno, perché questa sì che sarebbe una cosa di sinistra: rendere detassabili le spese per la cura dei bambini, in caso ambedue i genitori lavorino. Che non è un incentivo da poco per incoraggiare le donne a entrare nel mercato del lavoro.
Prego di notare i partiti cui appartengono i firmatari della proposta: Mafdal (Sionisti religiosi), Likud, Meretz, Kadima e Laburisti. Tra le firmatarie (donne) c'è anche una parlamentare araba. E qui si potrebbe ricordare che nel Parlamento di Israele ci sono ben tre partiti arabi, per un totale di una decina di parlamentari, nessuno dei quali ha firmato la proposta di legge (nemmeno quelli del partito cosiddetto di sinistra): solite preclusioni ideologiche, ovviamente. Ma ci sono anche parlamentari arabi in altri partiti La battaglia si preannuncia dura (siamo, che novità, in periodo di tagli al bilancio), ma la proposta IMHO è davvero interessante.
Voi magari là pensate che in Israele si parla solo di guerra e di Siria, vero?

e parliamo di Nakbah

martedì, giugno 10, 2008

per quelli cui interessa

E' da un paio di giorni che il gruppo Usenet it.cultura.ebraica (che, diciamocelo, non ha proprio un gran traffico) non pubblica miei miessaggi. Arrivano, vengono letti dal moderatore (c'ho la ricevuta, eh), e poi stazionano a quanto pare in una specie di limbo, mentre altri messaggi più recenti vengono pubblicati. Ieri ho cercato di intervenire in una discussione a proposito delle sparate di un senatore leghista contro la circoncisione: e. niente. Prima di Shavuot avevo mandato gli auguri di Hag Sameakh al moderatore e al gruppo, nel messaggio c'erano delle parole in ebraico, insomma la sensazione è che il moderatore in carica sia uno che non capisce l'ebraico e ci sta ponderando su.
Su Usenet esiste un altro gruppo: si chiama it.politica.internazionale.israele. Dovrebbe essere dedicato alla discussione sulla politica israeliana, quelli che ci scrivono sopra a quanto pare non leggono la stampa israeliana in lingua originale e sembra che tra i moderatori non ci sia nessuno con passaporto israeliano. Vabbé che il traffico è pressoché nullo ma, insomma, uno le domande sulla utilità di questi gruppi di discussione prima o poi se le fa.

l'inferno e le buone intenzioni

No, non ce lo metto il link, l'autrice del blog in questione non merita tanta pubblicità. E poi non è nemmeno un personaggio originale, scommetto che ognuno di noi conosce almeno una decina di persone che ragionano (vabbé, ragionano...) allo stesso modo. Comunque state a sentire: sul suo blog racconta che si è fatta la ceretta come la fanno le egiziane, e ci mette pure le fotografie. Strap strap. Una palla dal profumo di miele che ti leva tutto il pelame: a quanto pare in Italia l'estate si avvicina e il tanga è d'obbligo e come è come non è devi depilare anche giù là, e a proposito di giù, ecco che siamo passati ai commenti. Il tono è ammiccante e divertito, modello pagina delle lettere a periodico femminile medio alto post femminista; per un certo periodo della mia vita io quelle lettere le ho scritte per lavoro, ci ho l'occhio per lo stile tipo al mio findanzato gli piace depilata e io che devo fare, sennò poi mi tradisce. Per una calda e seducente mediorientale, fanno intendere i commenti: così il discorso scende giù, a parlare delle estetiste egiziane che quando sei in posizione ginecologica te la guardano schifate sai loro sono abituate con le circoncise. Quelle che ce la hanno tagliata. E via con dotte spiegazioni e linki e rimandi a wikipedia.
Ora, io qui apro un inciso per dirvi che le pagine più indimenticabili sulla depilazione femminile le ha scritte secondo me Guia Soncini, nelle sue corrispondenze dalla Versilia, dove a quanto pare la facevano pure brasiliana al cioccolato. Senonché la Soncini è di destra, scriveva su Il Foglio, era in Versilia alla ricerca dei fallimenti estivi delle amministrazioni di sinistra, faceva la parte della fidanzata trascurata ma con una classe indimenticabile, che io adesso googelerei Guia+Soncini+depilazione per poterlo rileggere, con dentro la storia di un fidanzamento in crisi. Vabbé, ho trovato solo questo: un collega livoroso, non a caso anonimo. La depilazione al salone di bellezza del Principe di Piemonte di Viareggio era un indubbio successo, la Guia non riuscì a trovare alcuna traccia di fallimento ideologico e sì che ci si era messa d'impegno. L'articolo era esilarante, riusciva ad evitare battute sul pelo e l'uovo. E non provava nemmeno a spiegare che ci sono mutilazioni legittime.
Invece la bloggatrice in vena di odalischismi che ci dà giù coi commenti, è esperta nell'alternare il registro dell'intimo con quello della cattedratica ideoligica, che solo lei conosce l'Egitto e quindi l'intero medio oriente. Questa pagina del blog è un vero e proprio dialogo della (sua) vagina con biblioteche di studi culturali (altrui. E da buttare). Così ci spiega che le circoncise pare abbiano più fascino, perché sono lisce e non labbrute e le estetiste egiziane, pare di intendere, hanno tutto il diritto di avere a schifo le superfici non appiattite e lisciate, perché la norma è quella e ciò che differisce dalla norma fa sempre schifo, qualunque sia la norma. Che poi, tenetevi forte, quando il governo provò a proibire la pratica, milioni di donne finirono nelle braccia delle mammane e abbiamo avuto massacri e stragi. Questo dipende dal fatto che nell'Islam (checché vi abbiano raccontato) sono le donne che decidono, e in questo caso decidono di mantenere in vita degli usi e costumi africani (roba da negri) che l'Islam vero (roba da arabi) ha cercato di limitare, introducendo taglietti superficiali. La strada dell'Inferno è lastricata di buone intenzioni, si fa in fretta a voler proibire, poi guarda cosa succede. Una cava di cazzate servita con il tono apodittico della docente di scuola media, madre di famiglia (ma la figlia ce li ha i taglietti non invasivi che sono la norma negli ospedali? vien da chiedere) e rafforzata dall'ammiccamento alle parti intime, contando che metà del genere umano non ha idea di cosa si provi ad averle, quelle parti. Ma brama per toccarle con mano o altro.
Ora io vorrei sapere se questo assoluto rispetto per la norma che è la loro e che non possiamo imporre la nostra, debba valere anche per il signor Warren Jeffs, la cui famiglia, allacciandosi ad una antica tradizione ha messo in piedi una setta di poligami dove la norma è che lo zio si scopa la nipote e se nasce un nipote maschio ha buone possibilità di essere sbattuto fuori dai confini della comunità (e di finire, letteralmente, in strada) per restringere il numero dei pretendenti. E, recentemente, la questione di cosa deve fare lo Stato con una norma oppresiva verso le donne ma a quanto pare assolutamente difesa dalle donne stesse, si è posta con particolare evidenza.
Quindi la domanda è: la norma delle infibulazioni (così, chiamando le cose con il loro nome) va mantenuta e non giudicata né condannata tanto quanto la norma osservata dalla famiglia Jeffs? E ovviamente la risposta è no, perché quella della famiglia Jeffs è mormone ed USA, quella delle affascinanti egiziane appiattite è islamica e araba.
Per gli interessati ai morbosi dettagli. Sono ebreo, ho fatto circoncidere mio figlio, in Israele lo fanno i medici, senza alcuna conseguenza per la salute. Il governo egiziano e le cattivissime e benitenzionate organizzazioni internazionali, evidentemente, non hanno voluto seguire l'esempio sionista. Sarà colpa anche questa della guerra dei Sei Giorni, che vi devo dire.

lunedì, giugno 02, 2008

sono un nemico di Cuba

La World Union for Progressive Judaism è una organizzazione non governativa rappresentata alle Nazioni Unite e consultata in varie occasioni. Evidentemente ai compagni cubani, che come è noto sono in fase di disgelo e di apertura al mondo democratico, questa cosa non va più bene. Qui trovate la lettera con cui la delegazione cubana chiede alle Nazioni Unite di espellere la WUPJ dal novero delle organizzazioni non governative con diritto di parola.

detta come va detta

The Palestinian Refugee Issue: Rhetoric vs. Reality - The sixty-year-old Palestinian refugee issue has little connection with reality. It has become solely a bargaining chip used by Arabs and Palestinians in peace talks with Israel and, as such, is a distraction from the real issues of terrorism and boundaries. Indeed, continuing to call Palestinians refugees is a misnomer. They no longer live in tents or temporary quarters. In addition, the Palestinian refugee issue is unique. Since 1920 all other major refugee crises involving the exchange of religious or ethnic populations, while creating hardships, were dealt with in a single generation. Meanwhile, issues such as the "right of return" and compensation never were adequately resolved and were largely forgotten. The same pattern evolved for Jews who fled Middle Eastern and North African countries, even though their number was some 50 percent larger than Palestinian refugees and the difference in individual assets lost was even greater.
un interessante studio di Sidney Zabludoff qui

domenica, giugno 01, 2008

ciao manifesto

Scusate, dove sono finiti quelli che "a sinistra si aprono degli spazi"? Quelli che ci spiegano, ammiccando, che persino il manifesto sta manifestando delle aperture? Oggi il quotidiano comunista fornisce un elenco di letture ad uso del militante colto; e avvisa che Ilan Pappe va bene, Benny Morris no, è "oggi allineato sulle posizioni più bellicose". Che questo allineamento dipenda da quel che ha scoperto nel corso delle sue ricerche, sembra non glielo si possa concedere, a Morris. E a fianco dell'elenco di letture consigliate, beccatevi il percorso di lettura suggerito da Enzo Traverso, con la divisione tra storici "funzionalisti" e "intenzionalisti" della Nakbah: gli stessi termini che vengono utilizzati per discutere della storiografia sulla Shoah. Nessuna menzione del progetto di pulizia etnica che le armate arabe avevano in mente nel 1948 - solo compatimento per i palestinesi rimasti in Israele, e allusioni alla stanica elite che si impegnò della "de-arabizzazione" dei profughi ebrei dai Paesi arabi. E ovviamente non una riga sulle ragioni per cui quei profughi arrivarono in Israele.
Un tal concentrato di guano che fa comprendere come ogni correzione sia inutile, quel che non va è proprio l'impostazione di fondo. Che non sarà antisemita, ma certo è noiosa nel voler ribadire fino allo sfinimento che gli ebrei non sono popolo, sono religione.
Adesso ci sarà magari qualcuno che scrive una revisione, un commento, che dà vita al dibattito. Come se fosse legittimo dibattere con chi fa strame della memoria della Shoa, usandola per infamanti paragoni. E già me li vedo scondizolare felici perché Il manifesto ha pubblicato la recensione del riassunto del dibattito con la relativa puntualizzazione.
Scusate, non mi basta. Io non ho in tasca il passaporto di uno Stato razzista e teocratico. Questo Paese non è nato come gentile concessione delle potenze alleate, ma sorge da una lotta di liberazione che per una persona di sinistra dovrebbe avere la stessa dignitià di quella dei palestinesi. Io mi sono stufato di non vedermela riconoscere questa dignità, o di vederla legata a condizioni sempre più impossibili da soddisfare, tipo "prendere le distanze da" qualcuno che è morto e sepolto; o -come fa Traverso- alla creazione di uno "Stato per tutti i cittadini" che significa far sparire il carattere ebraico dello Stato. E abolire la Legge del ritorno, ovviamente.
Ma perché chiunque si sente legittimato a infilarsi nel dibattito interno agli ebrei ed al movimento sionista e a distribuire patenti di legittimità e di fedeltà al verbo della sinistra, e nessuno, cacchio, nessuno, prova a fare lo stesso con i palestinesi?
E con questo Il manifesto finisce definitivamente nel cestino della carta straccia. Non ho nessuna voglia di sprecare tempo e meningi per ribattere a così plateale malafede, figurarsi per dialogare o inventarsi "spazi di dialogo" che non ci sono. O in cui, per entrare, bisogna (sai che novità) dimenticarsi di essere ebrei, salvo tirarlo fuori, questo essere ebrei, ogni volta che parla Gianfranco Fini.
Io sono ebreo perché sì, e non devo giustificarlo a nessuno, e non credo sia una cosa intelligente amputare questa appartenza per "dialogare" con chi la reputa un ostacolo. E questa appartenenza implica un legame con un bel Paese che si chiama Israele e che fareste bene a visitare in fretta. Gnegnegnegnegne.