giovedì, marzo 29, 2007

pesach

Questo blog non è kasher le Pesach, pertanto ci rivediamo quando saremo usciti da Mizrayim.


Clikkate sul disegno e ricordatevi di alzare il volume

mercoledì, marzo 28, 2007

numa numa

martedì, marzo 27, 2007

uscire dall'anonimato

Nel caso interessi: attualmente sono impegnato qui, abusando dello spazio di Davide e della pazienza dell'ottimo Ritvan. Vorrei anche capire perché Splinder mi obbliga a restare anonimo.

socialista imparai


Sono Socialista perché credo giusto sia dato ad ogni vivente il modo di avere il proprio bisogno.
Ad essere socialista imparai il dovere di pensare per il bene di tutti. Imparai ad amarci reciprocamente fra gli uomini di tutto il mondo, se pur appartenenti a partiti opposti o a paesi che ci tengono sotto il giogo, e pur se figli di chi ci portò infamie.
Imparai a non sparlare degli ebrei, né dipingerli come affaristi, perché riconobbi che ove non vi sono ebrei vi sono cristiani, turchi, ecc., basta che siano possidenti e sono per la maggior parte affaristi, speculatori sopra l'ignoranza, la povertà e la discordia.

(dall'Autobiografia di Arturo Frizzi)

lunedì, marzo 26, 2007

vocaboli


Chissà se a Mantova c’è ancora chi si ricorda di Arturo Frizzi. Nato nel 1864, finì subito in orfanotrofio, ne uscì a sedici anni per incamminarsi sulla strada della ciarlataneria, assieme a truffatori, mercanti di elisir miracolosi, saltimbanchi, illusionisti, venditori di almanacchi, imbonitori e borsaioli. Gente che iniziava la propria carriera tagliando le tasche del pubblico assembrato intorno agli imbonitori con cui era in accordo. E quando i furti con destrezza iniziavano a finir maluccio, veniva il momento di aprire un circo, di comprare un “mestiere” [una giostra] o di passare a far l’imbonitore. Il mondo, insomma, dei “marginali” dell’Italia settentrionale, che ha affascinato studiosi diversissimi come Primo Moroni e Piero Camporesi, che ha sempre avuto un proprio ethos -lo notò pure Gramsci: i milanesi al confino si fanno vanto di non usare la rivoltella- ed un proprio gergo.
Di questo gergo Frizzi scrisse e pubblicò un dizionario. Da “umile figlio della Piazza” aveva sentito una naturale affinità con gli ideali del socialismo e si era trasformato in libraio: dalla sua piccola bancarella in piazza San Barnaba (“Portev a casa un liber!”) sciorinava le proprie pubblicazioni (Canzonieri e Dialoghi), libri di scrittori russi, “volumi antichi” e anche propaganda socialista, che gli guadagnò le attenzioni delle camicie nere. Si trasferì a Cremona, dove spese gli ultimi anni commerciando in quadri. Morì nel 1940.
Il Dizionario del gergo dei girovaghi, con cui Frizzi conclude il suo volume autobiografico Il Ciarlatano (Mantova, 1912; ma ristampato nel 1979) è un documento molto interessante. Fin dal Rinascimento gli eruditi italiani si divertono a compilare dizionari del gergo dei ciarlatani: ma a volte si trattava di materiale inventato, utile solo per ricostruire la mentalità delle classi dirigenti, la loro frenesia classificatoria. Il Dizionario di Frizzi invece deriva proprio, per così dire, dalla strada. Ed è interessante scoprire vocaboli ebraici in queste pagine scritte poche generazioni dopo l’Emancipazione. Traccia linguistica del mondo ebraico dell’Italia settentrionale: un universo non sempre legalitario e mai completamente borghese.
Il Saraff è l’acquirente in accordo con l’imbonitore, quello che -mischiato nel pubblico- si fa con una prima offerta. Togo (Frizzi nota che deriva dall’ebraico Tov) significa bello, fine, oppure Bene! Toghissimo è il termine che ne deriva. Bacaiar significa piangere e deriva dall’ebraico Bahah, piangere (e da qui: bacaiador, avvocato; bacaiarci, insegnamento, bacaiamento, brusìo del pubblico). Mismin (parente dell’yddish mishmash), significa affare di poco guadagno; Badanaio (dall’imprecazione ebraica Be-Adonay) significa gran disordine, casino, roba sgraziata.Un sapore del tutto ebraico ha il vocabolo per parlare di Dio: Sant'Alto. Mentre invece per dire Ebreo si diceva Quarantacinque (sarà la ghematrya, chissà).

domenica, marzo 25, 2007

cimiteri e misteri


La morte di Houdini è un mistero. E il nipote ha deciso di vederci chiaro, perché sembra che il grande illusionista avesse ricevuto messaggi non proprio amichevoli. Ma per i lettori italiani c'è un altro grande mistero: Henry Houdini era ebreo?
Il Corriere della Sera scrive che la salma "riposa in un cimitero ebraico". L'ADN Kronos spiega che si tratta di un "cimitero newyorkese", e così viene riportato da Quotidiano.net (Il Giorno, Il Resto del Carlino, La Nazione). Sul sito dell'ANSA nessun cenno alle origini di Houdini, e del suo discendente che ha chiesto la riapertura dell'inchiesta. Però si parla della parcella dell'avvocato che seguirà la questione.
Sul sito di Repubblica si possono vedere le immagini di questo cimitero, ma non si dice che è ebraico. Però Vittorio Zucconi, nel suo articolo, menziona qualcosa di ebraico nella biografia di questo "piccolo immigrato fuggito dall'impero asburgico". Houdini ha avuto una triste infanzia, "chiuso in una famiglia di immigrati ebrei poverissimi e rissosi" ed è stato ucciso "dalla cabala".
Il sito del Comitato Italiano di Controllo delle Affermazioni sul Paranormale, che pure lo considera "un vero e proprio precursore" e si vanta di presentare "un ricchissimo e documentatissimo sito web" su di lui, informa en passant che la madre di Houdini era ebrea. Ma forse l'affermazione Houdini era ebreo è ancora da controllare. Chissà come, vien da chiedersi.
Beninteso: nemmeno il quotidiano newyorkese Newsday, che alla vicenda dedica qualche articolo, scrive chiaramente che Houdini era Jewish. Ma i lettori di Newsday sanno benissimo che il cimitero Macpelah di Ridgwood è un cimitero ebraico, sanno che l'avvocato del discendente di Houdini ha presentato la questione alla American Jewish Historical Society e leggono che Houdini parlava Yiddish - tutti particolari che i giornalisti italiani evitano di menzionare.
A proposito: quella che vedete sopra è la tomba del grande illusionista e, sì, c'è raffigurata una donna piangente. Chissà se i rabbini italiani lo permetterebbero. Forse pure per loro Houdini non era ebreo. Non lo era magari nemmeno il padre, Maier Samuel Weiss, rabbino Reform licenziato dalla sua comunità perché parlava troppo yiddish. E neppure lo era Bernard Drachman, il rabbino massorti che al funerale tenne un famoso discorso (qui una testimonianza di uno che c'era). Ah: Google interrogato su Houdini Jewish dà un discreto numero di risultati. Ma forse Google non è roba da Zucconi.

sabato, marzo 24, 2007

kabbalah a Kabul

Tra le tante fortune che porta con sé il fatto di appartenere alla più antica collettività monoteista, ci sta che gli altri monoteisti (cristiani di varia denominazione ed islamici) si chiedono come mai non ti converti alla loro religione. Oppure perché non cerchi di convertire loro alla tua. Cristiani e musulmani sono convinti che l'attività missionaria sia più o meno conseguente al monoteismo stesso. Il che secondo me spiega il grande contributo che nella storia musulmani e cristiani hanno dato alla evoluzione delle tecnologie belliche.
Sta di fatto che noi ebrei non cerchiamo di convertire alla nostra religione. E questo è un bel mistero, per gli altri monoteisti. I quali sovente non si fanno ragione della nostra indifferenza agli splendori delle loro fedi e sospettano che abbiamo qualche segreta capacità di resistenza. O che rimanendo ebrei ci guadagnamo qualche cosa. Nasce così, secondo me, quello stereotipo secondo cui noi ebrei siamo tutti potenti e ricchi. A proposito di gente ricca: qui e qui ci sono foto di abitazioni arabe nei territori occupati.
Insomma, si dice che possediamo dei segreti. Segreti utili a fare soldi, per esempio. O anche per creare dal nulla delle riproduzioni di camere a gas e sulla base di quelle conquistare il controllo dei media, dell'immaginario globale e anche di un pezzo di Medio Oriente. O forse tutto. Almeno così la pensano nei Paesi arabi. Dove a quanto pare ha messo solide radici il mito europeo della cospirazione ebraica-sionista mondiale, secondo cui tutti gli ebrei (a parte una piccola minoranza di dissidenti coraggiosi e anticonformisti, come il signor Friedman) sono legati da una specie di patto di reciproca non aggressione, che li obbliga a dare dell'antisemita a chiunque critichi Israele.
Non serve a nulla che io, che sono ebreo, neghi questa cospirazione: gli imbecilli che vi credono prendono la negazione per una conferma che il segreto, dunque, c'è. Ma questo non è un post dedicato al mito della cospirazione ebraica mondiale. Parla piuttosto di poteri segreti e di una storia curiosa.
La storia curiosa è quella di Itzak Levin e Zebulon Simantov, gli ultimi due ebrei di Kabul. Durante gli anni del regime talebano i due, che tra l'altro erano pure parenti, hanno vissuto in due stanze della antica sinagoga di Kabul. Nel 1870 a Kabul c'erano decine di migliaia di ebrei, che si sono poi trovati a gustare la famosa tolleranza islamica, sicché nel 1948 ne erano rimasti 5000, nel 1969 più o meno 300 e dopo l'invasione sovietica erano meno di una decina di famiglie. Attualmente vivono in Israle più di diecimila ebrei di origine afghana. Nel Queens c'è una sinagoga afghana di cui fanno parte 200 famiglie (a volte God bless America non è solo una formula).
A Kabul, negli anni del regime talebano, Itzak e Zebulon hanno tirato avanti ciascuno a modo suo. Zebulon vendendo tappeti e Itzak, il più vecchio, già shammash della sinagoga, ha vissuto di carità ed espedienti. Non hanno smesso per un solo giorno di litigare ferocemente, accusandosi a vicenda di ogni possibile delitto: ricettazione, magia nera, spionaggio internazionale. Uno dei due accusava l'altro di spionaggio a favore del Turkmenistan, mentre quell'altro lo ha denunciato perché voleva aprire un bordello nei locali della ex sinagoga. Ogni tanto i Talebani cercavano di capire cosa ci fosse di vero in questa accuse, così mettevano in galera uno dei due e cercavano di farlo parlare con i loro metodi (vulgo: tortura). Ad un certo punto si sono stufati di questi due e li hanno lasciati in pace. Beninteso, la sinagoga è stata svuotata degli arredi, i libri sono stati bruciati, il Sefer Torah (dal valore di un mezzo milione di dollari) se lo è preso uno che adesso è a Guantanamo - nemmeno i nazisti ebbero il coraggio di bruciare tutti i Sefer Torà di cui si appropriavano nella loro avanzata.
Ora Itzak è morto ed è stato seppellito a Gerusalemme, sul Monte degli Ulivi. Zevulon si è rifiutato di dire il kaddish, perché sostiene che Itzak si era convertito all'Islam, e quando parla di lui lo chiama "il mullah". Itzak peraltro dichiarava di essere l'ultimo e unico ebreo afghano, perché in realtà Zevulon era un ebreo turkmeno (e una spia). Attualmente Zevulon sta pensando di trasferirsi in Israele, dove a tempo debito ha mandato moglie e figli per farli fuggire dalle attenzioni dei talebani. Chissà a cosa serve, oggi, uno Stato ebraico...
Ah: pare che, cacciati i talebani, qualche famiglia ebraica adesso sia rientrata ad Herat.
Nel 2004 Dan Aleze, un regista belga, ha girato un documentario sugli ultimi due ebrei di Kabul e in rete si iniziano a vederne qualche parte. Mentalblog ha postato questo spezzone in cui si vede che il povero Itzak z.l. sbarcava il lunario sfruttando la convinzione dei suoi concittadini nei poteri magici della lingua degli ebrei. A cui, ovviamente, credeva anche lui. Lo vediamo "curare" una signora afghana - che è priva di burka: viene qualche pensiero sulla guerra.
Naturalmente qui non è in questione la validità degli esorcismi dell'ebreo di Kabul. Per come la vedo io, i suoi poteri terapeutici esistono nella misura in cui, all'interno del suo sistema culturale, c'è gente che ci crede. Voglio dire che non mi interessa l'efficacia delle sue pratiche, ma il fatto che queste pratiche siano basate sulla conoscenza della lingua ebraica.
Uno dei più diffusi mantra degli antisemiti contemporanei è che con la proclamazione dello Stato di Israele l'Occidente ha umiliato gli arabi, che con la Shoah non c'entravano nulla, e che con gli ebrei sono sempre vissuti in pace. Sarebbe stato interessante sentire in proposito la testimonianza del signor Itzak Levin, conoscitore della galere talebane e discendente di una famiglia di ebrei afghani che ha assaporato questa meravigliosa tolleranza islamica da molto prima della proclamazione dello Stato di Israele. Ma il signor Levin non c'è più. C'è però un film che parla di questa storia di ebrei nemici. Uno dei quali è lui. Ed è commovente ascoltarlo che canta il misheberach. Ecco qui.

venerdì, marzo 23, 2007

che bambola

Barbie è ebrea. Anche se all'anagrafe risulterebbe Barbara Millicent Roberts, tutti sanno che la sua mamma è la signora Ruth Handler. Pertanto è appropriata la scelta di Jen Taylor Friedman (bel sito, davvero) di dare vita a Tefillin Barbie.



Come chiunque può vedere, lo sfondo della fotografia è ispirato alla bella biblioteca dove si tengono le funzioni di Shir Hadash, la congregazione fiorentina, che negli ultimi mesi è davvero cresciuta. Siamo un bel mix di sefarditi, ashkenaziti, italiani, americani, israeliani...
E oltre al sefer, pure noi abbiamo un tavolo coperto di rosso. Hazakim! hazakot! yesher koach!

giovedì, marzo 22, 2007

donkeymoshiach

Per quelli che non lo sanno, il Messia è arrivato. Si chiama Yudel Krinsky ed è stato colui che è stato più vicino al Rebbe di Lubavitch, Mashiach della settima generazione. Noi viviamo infatti nell'ottava generazione, quella della rivelazione di Yudel ha Mashiach. Non ascoltate gli emissari della Sitra achra e guardate questo blog, che informa sui progressi dello yudelismo. E' stato recentemente designato un shaliach per il Kazakistan. E' , precedentemente noto come Borat, che si è convertito all'Ebraismo e alla fede nel Rebbe e in Mashiach.Yechi haMelech haMoshiach!

cosa ci ricorda?

Il Sandak è colui che tiene in braccio il piccolo ebreo mentre viene effettuata la circoncisione. Fino al 1200, nelle comunità ashkenazite, accadeva con una certa frequenza che questo importante ruolo fosse svolto da donne. E' il Maharam di Rotenberg - Rabbi Meir ben Rabbi Baruch (1215-1293)- a proibire alle donne di partecipare al rito.
E' interessante ricostruire le sue motivazioni. Dal momento che le milot si effettuavano ormai in sinagoga, vi era per il Maharam l'esigenza di salvaguardare la divisione tra i sessi. Lo si apprende da un contributo di Shira Schmidt, dedicato al tema della separazione tra uomini e donne. Che in questi giorni è un argomento piuttosto spinoso: per non perdere il mercato haredi, la Egged ha istituito corse di autobus in cui i passeggeri maschi sono separati dalle donne. E indovina un po' chi prende i posti più comodi.
Significativamente il Maharam di Rotemberg è noto per il cherem contro chi danza assieme a una donna (e contro le donne che danzano con uomini), che è ancora osservato nelle comunità hassidiche. Mi suscita davvero disagio quando sento che la milah viene effettuata non in ospedale, ma in una sinagoga con tanto di mechitza. So che viene chiamato in causa un ordine di valori. E mi chiedo: nel momento in cui, diciamo così, un maschietto diventa più ebreo -in maniera definitiva, voglio dire- è necessario proclamare che secondo la tradizione ebraica insegna che le donne devono stare al loro posto, subordinato ai mariti? Sinceramente, non mi sembra questo l'insegnamento che viene dalla nostra tradizione e nemmeno è un fondamento della civiltà ebraica.

martedì, marzo 20, 2007

shine

lunedì, marzo 19, 2007

Pesach, o della rap-possibilità

hag sameakh motherf****** !

venerdì, marzo 16, 2007

facciamo facce


dialogo telefonico con cugina teen ager

-Che stavi facendo ?
-Cercavo una cosa su internet.
-Sai che adesso ho il fidanzato ?
-Bene. Sei contenta?
-Sì. Si chiama ***
-Che strano nome.
-Non è italiano.
-Ah no ?
-No. Viene dalla [nome di Paese del Caucaso] è in Italia per studiare all'Università.
-Aha. Ma ci sono ebrei in [nome di Paese del Caucaso] ?
-No.
-Infatti, vedo che hanno fatto tutti alya nel ***. Però non erano pochi.
-Sì, *** me lo ha detto. C'era una sinagoga.
-Già, vedo.
-Dove lo vedi ?
-Ti ho detto che sono su Internet.
-Ah, ti ho detto che ho il fidanzato?
-Guarda non parli di altro.
-E tu parli sempre di ebrei.
-Ma adesso ci sono ebrei in [nome di Paese del Caucaso]?
-No. Però ci sono gli armeni. Fa uguale.

sganassoni che accelerano


Il signor Moshe Friedman non è rabbino. Rabbino lo si diventa dopo un regolare corso di studi di livello universitario. Nell'ambiente ultraortodosso, però, si usa attribuire il titolo di "Rav" più o meno come nel Lazio si gratifica chiunque del titolo di Dottore, o dottò. Per cortesia, né più né meno. In altri ambienti ebraici equivale a fregiarsi del titolo di dentista quando invece si è al massimo odontotecnico, e c'è un laureato in medicina che è socio dello studio dentistico. Succede, per ragioni fiscali.
Nato a Brooklyn in una famiglia di chassid Satmar, Friedman si è trasferito a Anversa, città della moglie. Tra gli ultraortodossi la dote della moglie costituisce un vero e proprio capitale, la donna provvede al bilancio familiare e spesso è la moglie che decide dove andrà a vivere la coppia (lo spiego per coloro che mi hanno chiesto: ma in cosa consiste questa civiltà ebraica di cui hai parlato ieri?). Nella vecchia Europa un ebreo ultraortodosso nato a Brooklyn può trovare lavoro come rabbino, sfruttando il fatto di provenire da un ambiente molto pio (frum). E questo è precisamente ciò che Friedman ha tentato di fare, trasferendosi a Vienna, dove si è subito scontrato con il Consiglio della Comunità ebraica ortodossa (che in Austria è una istituzione concordataria, quindi riceve contributi dal governo) pretendendo di avere una sinagoga tutta per sé. Ne è nata una causa legale della durata di quattro anni. Roba lunga, e spesso costosa. C'è da chiedersi che cosa ne è successo del capitale familiare.
Beninteso, nel corso di tutta questa causa, Friedman ha continuato a tenersi per sé la sinagoga che aveva iniziato a frequentare come semplice (e devoto) membro, subito incaricato di una delle decine di incombenze che richiede il culto ebraico. Ma mentre la causa contro la Comunità ebraica proseguiva, Friedman ci si è trovato sempre più solo. Finché ha avuto una grande pensata: gettare in pasto ai media l'antisionismo del suo background Satmar. Trasformare un aspetto della teologia dei Satmar in un tratto essenziale e identitario. Si è così cercato come avvocato un esponente del partito di Haider, che già aveva difeso un prete cattolico che diffondeva stampa antisemita (un devoto di Simonino di Trento), ha dichiarato alla stampa che nella sua sinagoga si pregava per la distruzione di Israele. Che la sua, dove c'era solo lui e i suoi figli maschi, era la Comunità ebraica (azz, sono rimasti davvero in pochi, gli ebrei a Vienna) mentre l'altra, quella che ha una intesa con lo Stato austriaco, era la Comunità sionista.
Nel bell'ambientino austriaco di antisemiti, anzi antisionisti, Friedman si è fatto un certo nome ed alcuni amici di pubblico rilievo. Ovviamente, i media ci si sono gettati a pesce: non capita tutti i giorni di vedere estremisti di destra, di quelli che negano che nel Terzo Reich ci fossero camere a gas, invitati ad un bar mitzwah. Eppure a Vienna è successo, il bar mitzwah era quello di un figlio di Friedman e ne hanno parlato persino i quotidiani asiatici.
Coerentemente con queste premesse Friedman si è fatto vedere nei paraggi dall'ospedale ove era ricoverato Arafat e ha poi incontrato i leader di organizzazioni che chiamano alla battaglia contro gli ebrei (qui trovate lo statuto di una di esse, Hamas). Sempre affezionato alla popolarità, si è fatto fotografare mentre abbracciava Ahmadinedjaad. Ha poi dichiarato che Dio vuole che gli ebrei rimangano second class citizen fino alla venuta del Messia, analisi con la quale il presidente iraniano chissà se concorda.
Come forse saprete, mentre si trovava a visitare Auschwitz, il signor Friedman ha preso un paio di sganassoni da parte di un altro ebreo ultraortodosso, proveniente dal medesimo ambiente, poco abituato al confronto critico. Siccome nella complessa teologia del signor Friedman le vittime ebree sono colpevoli più o meno quanto i carnefici, ci aspettiamo che si conduca di conseguenza: che ringrazi cioé quel fratello ebreo (ultraortodosso, con cui ha così tanto in comune). Questi ha cercato di ricondurlo fisicamente allo stato di second class citizen e di avvicinare in questo modo l'avvento dell'era messianica, che sola può liberare gli ebrei dalle sofferenze dell'esilio.
Invece no. In rete è tutta una cagnara anti-imperialista ed il mite israeliano, antisionista pure lui, che svolge una preziosa opera di soccorso alle vittime degli attentati, si è trovato ad essere ritratto come una specie di kapò, di aguzzino, mentre ha solo collaborato al piano divino. Io sono certo che al signor Friedman non piace affatto questa mancanza di rispetto per la millenaria tradizione ebraica di sopportazione delle sofferenze e per la sua trepidante attesa messianica. Non è rabbino, ma è pur sempre un mite uomo di fede.

giovedì, marzo 15, 2007

di violenze ed altro

Quella del piccolo William è una storia davvero triste. I genitori divorziati, il piccolo affidato al padre, un fanatico che non provvede all'educazione del figlio: non lo iscrive a scuole, lo costringe a isolarsi dai suoi coetanei e lo obbliga ad abbigliarsi in maniera differente da quella degli altri bambini. Il piccolo William, crescendo, diventerà Mordechai Weberman, attivista del gruppo fanatico dei Neturei Karta, cui apparteneva anche il padre. Qui c'è la documentazione sull'argomento.
E' interessante notare che proprio negli anni Cinquanta, mentre si decideva il destino del piccolo William, i Neture Karta facevano già parlare di sé per l'opposizione alla "dissacrazione del Sabato", condotta con mezzi violenti (p. es. lanciando pietre contro le auto in movimento). Un eccellente saggio di Menachem Friedman, messo a disposizione da Failed Messiah, spiega che la violenza di strada è un fatto nuovo nella società haredi, collegato al consolidamento di un sistema scolastico sempre più totalitario. Infatti quella haredi è venuta configurandosi, negli ultimi decenni, come una società che non ammette dissenso, dibattito e confronto.
Qui ci starebbero bene considerazioni sulla laicità dello Stato e della scuola, che a quanto pare non stanno molto a cuore agli innamorati di questi ebrei antisionisti, nelle cui scuole i bambini non imparano l'aritmetica, né la storia e nemmeno le nozioni di igiene. Però diventano fedeli a una religione sedicente millenaria.

irretiti


Oggi la mia attenzione è stata catturata da due dibattiti in rete.

Uno si tiene sul gruppo it.cultura.ebraica e riguarda alcune tesi del giovane Fromm, che sono state popolari anche nella sinistra ebraica italiana. L'Ebraismo liberale (da Mendelssohn in poi) sarebbe una forma inautentica dell'immutabile religione dei padri, uno snaturamento fatto per compiacere la borghesia ebraica tedesca, laddove l'Ebraismo ortodosso avrebbe invece una natura anticapitalistica. Sono fantasie dal sapore un po' reazionario: ma tornano popolari di questi tempi, assieme ai fiumi di retorica sull'Occidente cattivo che distrugge ed omologa (globalizza) le civiltà primigenie, idilliache ed originarie. Perché in questo quadretto si affida all'America il ruolo del cattivo (vecchia pulsione italica) e si fa coincidere l'Ebraismo Reform con l'America - ché là si sono trasferiti gli ebrei tedeschi.
L'altro dibattito ruota attorno a Kilombo. aggregatore di blog di sinistra. O meglio: è originato dalla decisione di Rosalucscemburg di levare le tende dall'aggregatore, in seguito al più o meno scoperto antisemitismo di alcuni dei blog aggregati. Rosa mi sta molto simpatica e il suo dolore è anche il mio, ed è lo stesso che si prova quando ci sbatte addosso l'antisemitismo di sinistra con tutta la sua carica identitaria - a me è successo mentre facevo il servizio civile, durante la prima Guerra del Golfo ("e siccome l'esercito israeliano sta massacrando i palestinesi non ti diamo la licenza per le feste ebraiche").
Ho letto il dibattito tra Rosa e qualcuno dei suoi avversari (o nemici). Pur non sapendo nulla sull'Ebraismo -al punto di essere costretti a bislacchi paragoni con il cattolicesimo, come se l'Ebraismo avesse un papa, una credo, una gerarchia- costoro elogiano "il giudaismo ortodosso antisionista". Nella fattispecie quello esagitato dei Neturei Karta, perché la pura esistenza di questo gruppetto di fanatici, che ritengono che le vittime della Shoah in qualche modo meritassero le loro pene, indebolirebbe lo Stato di Israele nel suo fondamento ebraico. L'armamentario concettuale di chi se la prende con Rosa (e, se non capisco male, vorrebbe colonizzare Kilombo) è vecchiotto. Già nel 1982 Rosellina Balbi scrisse un memorabile pezzo ("Davide discolpati!") sul vizio di imporre agli ebrei italiani la dissociazione da Israele.
Questa bizzarra rappresentazione dell'Ebraismo ortodosso come una forma di anticapitalismo (nel primo caso) o di anti-imperialismo (nel secondo caso) solletica in maniera evidente il culto del passato, perché questo Ebraismo puro, passivo e incontaminato avrebbe avuto i propri fasti in un passato remoto (quando i mulini erano bianchi e non esisteva lo Stato di Israele) ed oggi si troverebbe a subire i colpi della feroce lobby sionista americana.
L'Italia è un Paese cattolico, in cui cioé il cattolicesimo gioca un ruolo importante nella coscienza collettiva (e non sto dicendo che sia un bene, dico solo che è così: da ragazzini le partite di calcio si fanno più spesso all'oratorio che al centro islamico o alla casa del popolo). Bisognerebbe ricordare sempre che il cristianesimo nasce come completamento dell'Ebraismo. Cioé, in linea di massima, deriva la propria legittimità dal dichiare esaurito il ruolo del popolo ebraico. So bene che ci sono stati importanti mutamenti, ma per la maggioranza degli italiani (e i compilatori di Kilombo non fanno eccezione) l'Ebraismo è un apparato di riti e tradizioni, espressione di un attaccamento alla Legge, che è stato superato dalla religione dell'Amore.
Ecco perché i Neturei Karta sono cari ai lettori dell'immaginifico Martinez; ed ecco perché i nostalgici dell'Ebraismo sovietico adesso si baloccano con gli ortodossi pre-capitalisti (chiamiamoli agresti) immaginati da Eric Fromm. Perché l'Ebraismo è per loro sinonimo di qualcosa di passato, estraneo, lontano: e pertanto vero ed originario (dacché viviamo, signora mia, nel regno dell'inautentico). Ed è soprattutto immutabile.
Ogni volta che sento parlare di Ebraismo immutabile sento di essere finito in una dimensione parallela. Faccio fatica a seguire il discorso. Nella dimensione in cui vivo io l'Ebraismo non è solo una religione, è una civiltà, con dei propri miti fondativi: MMAX spiega in quali differenti modi ci si può rapportare a questi miti/eventi rimanendo ebrei (perché, signori miei, questo è il bello: essere ebrei non è uno status che si perde). E come tutte le civiltà, l'Ebraismo ha una continuità e anche delle rotture, che coincidono/conseguono cone le differenti interpretazioni e letture dei suddetti eventi: l'Emancipazione, la nascita dello Stato di Israele.... Sulla riduzione dell'Ebraismo alla sola dimensione religiosa, che in questo Paese cattolico risulta popolare a destra come a sinistra bisognerà tornare prima o poi. Per ora segnaliamo che è da questa mutilazione che segue il paragone ebraismo = cattolicesimo. Con tutto quel che ne consegue, in un Paese, l'Italia, in cui il cattolicesimo si identifica con il potere.

martedì, marzo 13, 2007

italia sì, italia no

La bacheca di Blogger mi dice che questo è il post numero 100. Quindi vai con le riflessioni. Ho tra i miei segnalibri una certa serie di blog ebraici, che vado presentando nella sezione Blogebrei. Hanno informazioni attendibili sul mondo dei chareidim, seguono da vicino la cultura radicale newyorkese, mettono on line il lavoro della prima soferet della storia.
I blog ebraici italiani che ho visto finora hanno invece un paio di argomenti e basta: Israele ed antisemitismo. Intendiamoci: sono argomenti importanti. Ma l'ebraismo contemporaneo non è solo Israele, Stato di cui in molti sentono il bisogno di stanare gli avversari, per metterne in risalto l'antisemitismo. E' una operazione il cui risultato è facile e garantito: l'antisionista è uno che chiede allo Stato degli ebrei quello che non chiederebbe ad alcun altro Stato (comportamenti suicidi, di solito). Per questo ritengo che il confronto / lo scontro con gli antisemiti, come mi pare stiano facendo dalle parti di Kilombo, è una perdita di tempo, che tra l'altro finisce per trasformarsi nell'unica traccia di Ebraismo. Da qui il mio disagio: l'Ebraismo non è una cultura assediata a rischio di estinzione, di cui bisognerebbe salvaguardare il bastione difensivo. Ma davvero pensate che l'unica cosa che abbiamo da raccontare al mondo siano le nostre persecuzioni, qualcosa che è stato deciso da altri?

lunedì, marzo 12, 2007

shmechitzah


Jewcy.com riporta interessanti pensieri su quel pezzo di arredamento delle sinagoghe ortodosse che viene chiamato mechitza. Dovrebbe creare uno spazio sacro separando i sessi. Ma questo è un problema non da poco, visto che l'appartenenza sessuale non è un dato naturale, ma culturale (dove si deve sedere un transessuale, per esempio ?). Dovrebbe facilitare la concentrazione di chi prega, creando uno spazio libero da interazioni: anche per i gay ?, viene da chiedersi. E la separazione dei sessi mi mette al sicuro dai pensieri sull'acne del mio vicino ? Assicura che il mio pensiero non venga distratto da battute sul rabbino che ha la kippah di traverso ?
n.b. Sulle sofferenze che le categorie dell'Ebraismo ortodosso causano ai transgender, vedi questo articolo della JTA.

domenica, marzo 11, 2007

sulla sponda del fiume

C'è quel vecchio modo di dire: siediti sulla sponda del fiume, vedrai passare il cadavere del tuo nemico.
In questo momento, io sono seduto sulla sponda del fiume, e qualcosa sta passando davanti ai miei occhi. Qualcuno dice che siano i cadaveri dei miei nemici. Ma io non ho nemici, solo persone che non mi sono ancora diventate amiche. E' un princìpio che ho imparato molto tempo fa, quando ero militante del Partito Radicale: io e il mio avversario possiamo fare tante cose insieme, con beneficio di ambedue, invece di entrare nella logica dell'annientamento reciproco, che danneggia tutti.
Il trucco per costruire (anche assieme agli avversari), come credo di aver fatto con qualche risultato in questa avventura che si chiama Ebraismo progressivo in Italia, è quello di distinguere sempre le persone dai princìpi.
Per fare un solo esempio: le ambizioni personali di Tizia o Caio non sono mai state un problema. Il vero problema è che va seguito il princìpio secondo cui gli incarichi si affidano tenendo conto del merito, della preparazione e della capacità - non sulla base di simpatie e paturnie. Per cui, come dicevo, sono qua: sulla sponda del fiume. Con una certa dose di capacità e preparazione, riconosciute in sedi adeguate. Qualcuno altro dice che quel che passa è un cadavere solo o, per essere più esatti, qualcosa che dovrà essere rianimato, per tornare ad essere una sinagoga liberale. E mi fa sapere di avere una gran voglia di rianimarlo. Auguri, buon lavoro. Ricordatevi di distinguere sempre le persone dai princìpi. Io sono soddisfatto del percorso compiuto finora e guardo avanti.
Di quel che passa, francamente, non mi importa poi tanto: non è nemmeno così gratificante scoprire di aver avuto ragione, perché era davvero facile immaginare in anticipo lo scivolamento verso posizioni sempre più retrive, la diffamazione di chi chiede regole democratiche, la competizione a chi è più ebreo (=ortodosso) e di conseguenza l'isolamento rispetto all'Ebraismo progressivo nel suo complesso.
Più che ciò che mi sta passando davanti, mi importa cosa c'è dall'altra parte del fiume: una realtà ebraica progressiva stabile e vitale, senza complessi di inferiorità nei confronti degli ortodossi. Si potrà stabilire anche in Italia, da questa parte del fiume? E chi lo sa. Per ora, giunto a questo punto dell'avventura, è venuto per me il momento di tuffarsi.

giovedì, marzo 08, 2007

linearità

Dunque: la dottrina ebraica ortodossa insegna che è ebreo chi è figlio di madre ebrea. Non è sempre andata così; fino alla caduta del Tempio l'appartenenza al popolo ebraico si trasmetteva per parte di padre (numerosi eroi biblici sposano donne non ebree) e questa è ancora la regola in vari gruppi ebraici (Karaiti, Samaritani...) oltre che in alcune comunità orientali, dove si pensa che se una donna è tanto pazza da sposare un ebreo e farci dei figli, questo significa che è ebrea.
Dove è stata strettamente applicata (Polonia, Lituania...), la regola della matrilinearità ha significato, oltre che una autorità della donna ebrea sconosciuta nei contesti maggioritari (ma limitata al campo familiare), l'esclusione dal popolo ebraico di chi si sposava "fuori dalla tribù".
In Italia, fino agli anni Novanta, la pratica del ghiur katan, la conversione dei minori (figli di padre ebreo e madre non ebrea) era pratica ortodossa abbastanza diffusa, che tra l'altro ha consentito di salvare l'unità in diverse famiglie. Prima o poi bisognerà capire bene perché i rabbini ortodossi hanno deciso di interrompere con questa pratica; sta di fatto che l'Ebraismo progressivo è nato in Italia proprio per assicurare ai figli di padre ebreo la possibilità di ricevere quella educazione ebraica che gli ortodossi andavano negando.
Questo perché gli ebrei progressivi sostengono che è ebreo chi ha uno dei due genitori ebrei. E' interessante come le varie componenti sono giunte a questa conclusione. I Reform americani, per esempio, nel 1983 hanno preso atto che la crescita dei matrimoni misti è una situazione del tutto nuova. Per i Ricostruzionisti, che si definiscono ambi-lineari, la questione rimanda alla parità tra uomini e donne. Per i Liberal inglesi il riconoscimento dello status di ebreo ai figli di padre ebreo è legato all'impegno a assicurare una educazione ebraica.
La svolta verso il riconoscimento del princìpio "istituzionale" della patrilinearità è avvenuta negli anni Ottanta. Ciò significa che già adesso c'è una generazione di ebrei che per gli ortodossi non sono tali. Ciò dovrebbe bastare a rendere ridicolo qualsiasi tentativo di "farsi riconoscere ebrei" dagli ortodossi, che peraltro non sono così convinti dell'opportunità di riconoscere chicchessia. Peccato che non tutti se ne siano resi conto.
I Liberal infatti non esauriscono lo spettro dell'Ebraismo progressivo in Europa. Gran parte delle Congregazioni Reform europee, e tutte quelle britanniche, si attengono ancora al principio della trasmissione matrilineare e richiedono ai figli di padre ebreo una cerimonia di conversione, come fanno molti Massorti. Una cosa simbolica, "leggera", ma pur sempre il segnale di un cambiamento di status.
L'attaccamento al principio di matrilinearità non è esattamente un punto di forza, come dimostra la vicenda di Beit Klal Yisrael, una congregazione londinese che è passata dal movimento Reform a quello Liberal. Nell'ultimo numero di Liberal Judaism Today, la rivista dei liberal inglesi, quelli di Beit Klal Yisrael hanno pubblicato un articolo che è tutto da leggere. Lo ho trascritto qui. Le seguenti righe sono da imparare a memoria:
We want to open a debate that does not see us as anomalous beings, to be corrected by institutional means. We are also seeking a response to our struggle that does not ask us to put aside our non-Jewishness as the price of belonging.
Ancora una volta torna il tema dell'identità ebraica. L'Ebraismo ha davvero bisogno di custodi dei propri confini, istituzionalmente definiti? O piuttosto non bisognerebbe ri-interpretare il nostro patrimonio di valori e di testi? Lo stesso princìpio di matrilinearità a ben guardare è la negazione stessa di "(cog)nome ebraico" -visto che in Occidente il nome della famiglia si trasmette per via patrilineare. Contro le ricorrenti tentazioni di istituire un ordine patriarcale, non si devono far valere i princìpi dell'Ebraismo, primo fra tutti il messaggio di liberazione dell'Esodo dall'Egitto?

mercoledì, marzo 07, 2007

Purim e dintorni


L'ottimo blog Mixed Multitudes, collegato all'altrettanto ottimo sito myjewishlearning affronta il tema della violenza ebraica, legata ai personaggi di Amalek e di Haman. Inevitabile il riferimento al libro di Horowitz che in Italia si continua ad ignorare. Eppure sarebbe una occasione preziosa. Non manca mai chi è disposto a prendere sul serio l'ingiunzione omicida, trascurando chi spiega come sia impossibile rintracciare i discendenti di Amalek - princìpio già stabilito nel Talmud. E il nostro compito di ebrei sarebbe quello di ricordare che, per esempio, Maimonide riteneva che anche i discendneti di Amalek potessero diventare ebrei.

venerdì, marzo 02, 2007

teoremi

Se fosse esistita una setta di bevitori di sangue ci sarebbe stato sicuramente un cherem da parte di autorevoli rabbini. Siccome il cherem non c'è stato, allora Toaff ha torto. Questa, molto in breve, l'opinione di una fonte autorevole (o quasi) in materia di movimento ebraico di Riforma nell'Ottocento. La trovate, per esteso, qui.
Come ho già detto, non ho letto il controverso libro di Ariel Toaff. Sono perfettamente d'accordo con Anna Foa: la scomparsa dalle librerie lascia un certo senso di amarezza. Ai libri si risponde con i libri. Ma l'argomentazione di cui sopra (chiamiamola Teorema dei Rabbini) lascia davvero interdetti. Non solo perché è ben curioso fare storia con i se. E nemmeno per la sorprendente lacuna sui fatti di Lemberg nel 1848 e dintorni. Queste sono, al limite, faccende professionali. Non depongono proprio benissimo sul profilo culturale dell'Ebraismo progressivo in Italia, ma vabbé.
La questione si fa più complessa quando il Teorema dei Rabbini è enunciato nel sito di una Associazione per l'Ebraismo Progressivo, accompagnato dalla proclamazione che il popolo ebraico avrebbe sempre avuto istituzioni rappresentative della maggioranza.
E viene da chiedere (anzi, da ripetere): Sempre? Il popolo ebraico avrebbe sempre avuto istituzioni in cui anche le donne erano rappresentate? Dico che viene da ripetere perché la domanda era stata posta anche sopra. Ma chi rispondeva (maschio, ndr) ha ignorato e continua ad ignorare la questione della rappresentanza (e dei diritti) di metà del popolo ebraico. Ma cerchiamo di vedere il lato positivo: finalmente sono stati nominati sul predetto sito gli abusi e le violenze che ebrei ultraortodossi e chassidim compiono ai danni delle donne di Gerusalemme.
Ma andiamo avanti. Secondo il Teorema Dei Rabbini, i rabbini avrebbero sempre tenuto alta la guardia contro episodi di violenza. Pazienza se Horowitz racconta altro, in un testo già recensito da prestigiosi intellettuali Reform, ma in Italia, chissà perché, ignorato fino a che non ne ho parlato io. Ci si assicura che se violenza c'è stata, nelle celebrazioni di Purim o altrove, è stata solo reattiva. Reattiva de che? vien da chiedere. Per esempio, nella vicenda di Lemberg/L'vov, ampiamente nota da tempo, -da cui emerge una certa consuetudine degli ortodossi del tempo con l'arsenico- a cosa si voleva reagire ? All'abominevole richiesta liberale di levare la tassazione sulla carne kasher, tassazione di cui beneficiavano, che caso, gli stessi rabbini ortodossi? Ma tant'è: senza leggere né il nuovo libro, né l'altro che è stato scritto sulla vicenda, è già stato deciso che quell'episodio ha riguardato pochi isolati, che volevano far da sé - e soprattutto senza che ne sapessero nulla i rabbini ortodossi.
E così torniamo ai rabbini. Secondo il Teorema dei Rabbini, il rabbino ha, ha sempre avuto, ed è giusto che abbia, il potere, anzi diciamo il dovere, di scomunicare. Scomunicare, nella fattispecie, chi compie atti violenti - o è sospettato di compierli. Cioé, con tanti saluti alla storiografia, il rabbino è principalmente una autorità che ha a che fare con il sacro. Io ho passato gli ultimi mesi a documentarmi sul ruolo del rabbino, perché dovevo affrontare dei colloqui diciamo così di lavoro - e che sono andati molto bene. Posso ovviamente fornire una cospicua bibliografia, perché uno degli esercizi preferiti dei rabbini è spiegare cosa ci stanno a fare, e quelli progressivi, liberali, Reform, ricostruzionisti ecc. sono rabbini come tutti gli altri. Per gli ebrei progressivi il rabbino è essenzialmente un maestro, qualcuno che studia accanto agli altri ebrei (non sopra, perché non abbiamo gerarchie). E siccome l'Ebraismo si insegna con l'esempio, il rabbino costruisce la comunità, provvede che chi si trova ai margini possa ritrovarsi anche al centro della comunità; è, con un brutto anglismo, un facilitatore. Maestro e organizzatore. Non prete, e nemmeno mago; è ovvio che le cose sono diverse nei circoli chassidici - quei signori che non amano avere le donne accanto sugli autobus e nemmeno quando pregano al Kotel. In quegli ambienti si ritiene che i rabbini siano tanto esperti nel sacro da fare, addirittura, i miracoli. Ma questa è un'altra storia.
Il presidente dell'Associazione per l'Ebraismo Progressivo e il Responsabile dei Contenuti del Sito formulano una analisi storica basata sul Teorema dei Rabbini, secondo cui il rabbino maneggia il sacro e sancisce scomuniche. Cioé è un prete, nella sua accezione più autoritaria. E considerano questo teorema una "analisi" del cherem. Ancora più preoccupante: per loro il rabbino è essenzialmente un uomo di potere. Grazie al potere di scomunica dei rabbini si può persino evitare l'antisemitismo, quando dei cristiani eventualmente si infuriano; pè proprio vero: meglio evitare di fare storia con i se, perché porta sempre a dover costruire nuove ipotesi. E' faticoso, insomma.
Ma ancora più faticoso deve essere rimanere dentro l'Ebraismo progressivo quando si è convinti che le istituzioni ebraiche sono sempre state rappresentative della maggioranza, quando tra queste autorevoli istituzioni si includono i Batei Din in cui le donne non hanno diritto di comparire come testimoni (io non mi sento rappresentato da questo genere di istituzioni) e quando si ha una idea gerarchica e clericale del ruolo dei rabbini, conforme al detto Teorema.
Rimanere ebrei progressivi continuando ad omaggiare l'ortodossia è senz'altro faticoso. Ma probabilmente basta avere una certa concezione della storia ebraica "e ragionarci sopra" - evitando, si capisce, certe letture.

P.S. Su ghetton l'usuale profluvio di fango contro i Reform è stato sostituito da commenti entusiasti a proposito della strada che a Lev Chadash si sarebbe intrapresa verso l' "ebraismo corretto". Che caso.

giovedì, marzo 01, 2007

lui non ne sapeva niente

Ora apprendo che c’è stato il tentato omicidio di un rabbino riformato e mi informerò a fondo della vicenda. Ma, dopo tutto, col rabbino riformato l’omicida ortodosso ce la poteva avere perché egli viola, o è accusato di violare, l’Halakhah (Bruno Di Porto, 1 marzo 2007)

Dunque: il presidente della Associazione per l'Ebraismo Progressivo non sa nulla dell'omicidio Kohn. Peccato che di quella vicenda trattino ampiamente tutte le storie dell'Ebraismo progressivo. Chi regala al professore una copia del libro di Stanislawski?
Deliziosa poi la precisazione: "dopo tutto" è pur possibile che Tizio ce l'avesse con Caio in nome della fedeltà alla Halakhà. Certo che è possibile, professore - accidenti: ma non si occupava di Riforma dell'Ebraismo nell'Ottocento? Possibile fino all'avvelenamento di una intera famiglia.