martedì, novembre 27, 2007

vayeshev

Questo è il testo del mio primo D'var Torah.

Imagine this scene: Joseph has just been captured by his brothers. Shimon and Gad—says the Midrash—are ready to kill him, he tries to escape, hiding behind Zevulon, the tallest. At this point, the oldest Ruben says out loud: אל-תשפכו דם, “Do not shed blood” (Genesis 37:22). As the eldest, he tries to impose his moral authority.
Judaism, as we all know, puts a great emphasis on blood. Blood is the essence of life, so much so, that our tradition forbids us to embarrass other human beings. Even making someone ashamed is likened to shedding blood, because the face pales. Do not shed blood: that’s a very important moral teaching
Rashi maintains that Ruben feared being blamed for the death of Joseph. Being the firstborn, he carried the responsibility for all brothers’ safety. Several Midrashim explain Ruben’s intercession on Joseph's behalf due to his gratitude for having been included in Joseph's dream among the twelve stars—that is, among Jacob’s sons. Evidently, Ruben held some kind of complex about being excluded from the family and was grateful even to be included in what the other brothers considered an insulting dream.
Beyond this verbal defense, the Sephardi commentators, Abarbanel and Nachmanides, teach that Ruben was planning to rescue his brother from the pit in the desert– that empty pit, in which there was no water.
This apparent redundancy of the text is generally explained by linking water to Torah, a parallel often made by our Sages. The pit, though dry, was populated by snakes and scorpions, that is evil and falseness. The brothers threw Joseph into a place devoid of Torah, distant from life, where even the least sign of respect for the dignity of the human being was completely absent.
From such a place, the Sephardi commentators explain, Ruben planned to rescue Joseph. He tried to be a a mensch (even I am not sure that you can find this word in the Sephardi commentaries) in a place where no one else would be one.
Rabbenu Bakhya pointed out that Ruben says: do not shed dam, blood; and not: damo, his blood, Joseph’s blood. He knew how much they hated Joseph, so he carefully chose his words to convince his brothers to spare Joseph’s life, without antagonizing them. So, he appealed to them not to transgress one of the basic Noachide laws. Bakhya demonstrates a concern for tact and diplomacy in achieving desired ends. Maybe it is not by chance that the commentaries of Bachya, with this peculiar emphasis, were so popular in the era of Machiavelli.
And in this story Ruben is surely aware of the moral requirements of being the eldest brother. Ruben seems hesitant. First he says: “Let us not strike him a mortal blow!”. Then he pauses, and adds “Do not shed blood; throw him into this pit”. We can imagine him as he tries to guess from his brothers’ facial expression if and how they will follow his advice.
Moses Alsheykh notes that Ruben in this part of the story is mentioned by name, while the brothers are a collective anonymous entity. They are full of anger and looking for revenge. Ruben faces them alone. He might have been able to convince them at the moment, but we all know how the story ends. When he got back to the pit, his brother was not there anymore.
What a pitiful end. Ruben has neither been able to maintain his authority as eldest brother, nor to rescue Joseph. Again, imagine the scene: Ruben is alone, near that empty pit. He cannot but admit the failure of his plan.
Throughout this story, Ruben seems to try desperately to maintain his position and his authority as the eldest brother and to lead them to a very unpopular, but moral decision – sparing Joseph’s life.
To me, it appears that Ruben is not the most upright person in the world, but neither is he the basest character in this story. He is somewhere in the middle, in the grey area between black and white. Jacob in his testament in Genesis 49:3, said that Ruben, his firstborn, is יתר שאת ויתר עז excessive in exalting and excessive in strength. I would say that Reuven is excessive in exalting (שאת) by concern for his role of being the first-born, and excessive by his עז, his moral strength.
What can we learn from the misadventure of this distant ancestor of ours? I think the main teaching is: to take moral risks.
We may often feel Ruben’s moral dilemma, his concern for maintaining his position, his authority. But we need to weigh the need to protect our position by the moral imperative to stand up for principle and what is right.
To speak out clearly, at the right time, whenever the dignity of each human being is offended.
May we always have the moral fiber to speak out for those without voice. May we always be sources of inspiration for others, as members of the Jewish family and as human beings.
כן יהיה רצון

lunedì, novembre 26, 2007

הדג נחש - שירת הסטיקר

Da queste parti la gente ha l'abitudine di scrivere quel che pensa. OK, anche in Italia. Di scriverlo in forma breve e possibilmente rimata. Va bene, anche in Italia. Con giochi di parole, sovente sarcastici. Sì, lo so, anche in Italia. Qui però non lo scrivono sui muriת a parte quell'ultraortodosso che gira scarabocchiando Homo = filthy nei paraggi dei locali gay (sì, perché a Gerusalemme c'è una vita notturna gay). Qui gli slogan vengono stampati in forma adesiva e appiccicati un po' da tutte le parti. Questo in Italia non succede, almeno per come mi ricordo io. La cosa buffa è che il più delle volte gli slogan fanno il verso alla parte avversa. Uno dei miei preferiti è מדינת הלכה - הלכת המדינה, che tradotto suonerebbe così: Stato della Halakha? Lo Stato se ne va a farsi fott.... Per cui se leggete uno slogan che suona di destra molto probabilmente il tizio che lo ha attaccato alla sua auto, o al pilone, è un militante di sinistra. Un po' di tempo fa un gruppo rap ci ha fatto una canzone, con i testi degli adesivi, canzone che adesso ho trovato anche su You Tube, eccola qua (in rete trovate un sacco di roba su questo gruppo e su questo rap. Partite da wikipedia - oddio come sono didattico).




Gerusalemme si è riempita di teen agers maschi con kippà e di ragazzine in gonna lunga (ma senza parrucca): devono essere i figlioli dei settlers, di cui un gruppo sta sbraitando davanti al consolato USA. Ma io non ho voglia di parlare di Annapolis, se non per dirvi che, curiosaamente, non si vedono molti adesivi, in giro per questa città. Sarà che non si capisce bene cosa ha in testa il governo, quindi nessuno può dire se è d'accordo. Quando passa una macchina della polizia (e in questi giorni ne passano) si sente dire che vanno a portare Olmert in prigione - per dire la fiducia che c'è. Quanto al resto, staremo a vedere. Tra un paio di giorni andiamo al Nord. Ci si rivede.

sabato, novembre 24, 2007

prenotato

Non troverete su questo blog alcun resconto in diretta di cosa si dice nella capitale di Israele a proposito del vertice di Annapolis. Ho prenotato per qualche giorno nel Galil. Perché sì.

venerdì, novembre 23, 2007

la Morgantini e i nazisti

Luisa Morgantini non sapeva che la National Zeitung è quel che è. D'altronde quel che vede a Gaza, poverina, deve davvero traumatizzarla Son cose. Cose, appunto, buone per andare a braccetto con l'estrema destra tedesca, da sempre sostenitice della causa palestinese. E quando si dice sempre, vuol dire sempre.


mercoledì, novembre 21, 2007

jewish rock

c'è in giro questo documentario

lunedì, novembre 19, 2007

trenta anni fa

Il direttore d'orchestra non aveva lo spartito e dovette trascriverne le note ascoltando l'inno egiziano da una radio militare. Avevano avuto a disposizione solo una notte per impararlo. La porta dell'aereo fece fatica ad aprirsi. E per interminabili minuti non ne uscì nessuno, fino a quando comparve il suo sorriso. E il naso "semita" - come commentavano stizziti giornali inglesi, increduli che la pace fosse ottenuta dal fascista Begin.
A imperitura memoria delle piccinerie italiche bisogna pur ricordare che il giorno dell'elezione di Menachem Begin, Repubblica (sai che novità) pubblicò una vignetta infame, in cui simboli ebraici e nazisti venivano mischiato dal solito Forattini.
Comunque adesso c'era quell'uomo alto e magro, che percorreva il tappeto rosso all'aereoporto di Tel Aviv, smmerso da una selva di flash dei fotografi. "Poteva venire prima" commentò stizzita Golda Meir voltandosi verso Rabin. Di cui non conosciamo la risposta.
Begin faceva gli onori di casa. Presentò l'ospite a Ariel Sharon. "Eccoti qua", rise Sadat "la prossima volta che attraversi il mio Canale ..." "Non succederà. Adesso mi hanno messo in ufficio, faccio il ministro dell'agricoltura. Benvenuto in Israele, presidente".
Quando fu di fronte a Golda Meir disse: "Era tanto che volevo parlarle, signora". "Beh, siamo qua" rispose Golda "Shalom".


succede così

Campanello.
"E chi sarà?"
"Che ne so, vai tu ad aprire"
Rumore di lavaggio piatti.
Campanello bis.
"Va bene, vado"
E' una ragazza piccola di statura, jeans e maglione, con in mano un blocco e una penna. Per un attimo mi sono venuti in mente i suoi coetanei, che in Italia, fanno le ricerche di mercato, o vendono enciclopedie. O, quando ero un po' più giovane, facevano il censimento. Lavori così, da studente. Pure io ho distribuito elenchi telefonici.
Mi dice una cosa in ebraico con una parola che non capisco, che non ho studiato.
-Per favore, può ripetere in inglese.
-Mi manda il governo, sono qui per ritirare la maschera antigas.
-Ah. Beh no, noi non la abbiamo, siamo qui da luglio...
-Tov, scusate. Ma da dove venite?
-Italia.
-Ah ecco, l'accento non è così comune. Avrei detto Argentina. Comunque shalom.
-Shalom.
Pensi che l'ebraico ogni tanto ti rassicura e non sai perché. La maschera antigas. Succede che a un certo punto ti sembra la cosa più normale del mondo che in casa ci debba essere una maschera antigas. Voglio dire che è probabilmente una bella notizia, in vista del vertice di Annapolis il governo ritira le maschere antigas. Oppure no, c'è una specie di manutenzione e il governo sta prendendo nota di quelli che non la hanno. E, in caso (in caso che?) ce ne recapita di nuove.
Maschere antigas. Gas che uccide. Perché è questo Paese. E tu sei ebreo. E da qualche parte c'è del gas che uccide. Gas pensato per uccidere te, cittadino dell'unico Stato ebraico al mondo. Perché sei un cittadino di questo Stato. E perché questo piccolo Stato è l'unico Stato ebraico sulla faccia del Pianeta Terra.
Sono in tanti che lamentano che Israele non sa fare pubbliche relazioni, che gli israeliani non hanno la pazienza per ascoltare, capire, spiegare. Che se spiegassero meglio ci sarebbe meno incomprensione per le nostre ragioni. Forse meno antisemitismo. Tutto vero. Noi israeliani dovremmo imparare le buone maniere - come tutti i popoli mediterranei, dal resto. E magari potremmo astenerci dallo humour nero (l'ultima che ho sentito è che Sharon è in stato di shemittah) ed evitare quel genere di comportamenti che si riassumono nella camminata strascicata tipo Nu, sentiamo un po' cosa vuole questo qui - il che è oggettivamente poco bello da vedere, specialmente se questo qui sei tu e la camminata è quella di un impiegato che dovrebbe servirti (io qui non servo un cazzo di nessuno, dice quella camminata). Se poi si potesse reagire in maniera diversa e non sempre e comunque con quella alzata di sopacciglio che deriva da qualche shtetl e che vuol dire: C'è senz'altro di meglio in giro, OK, questo sarebbe bellissimo.
Però, guardate, una maschera antigas in casa non è una cosa leggera da portare. Pure se non la hai, solo si suppone che tu la abbia. Ti stanca, ti fa incazzare, e allora ti resta poca pazienza per spiegarti, e infatti non ho nessuna voglia di spiegare come è successo che mi sono trovato ad essere abituato all'idea che a pochi kilometri da qua c'è qualcuno determinato a ammazzare me e mia moglie.

sabato, novembre 17, 2007

Lolita

אתי אנקרי ודוד ד'אור

a proposito di cerchi concentrici

In una paio di sedi (la mailing list Kolot e la rivista Ha Kehillah) si sta svolgendo un dibattito quasi sempre cordiale nei toni, ed in risposta a richieste di alcuni ebrei Reform di entrare a far parte delle strutture comunitarie. Può sembrare piuttosto curioso che i Reform chiedano di essere riconosciuti dagli ortodossi e, diciamolo, non è esattamente un sintomo di maturità. Ma la vera bizzarria sta nella situazione italiana, in cui è un ente statale a rispondere alla domanda chi è ebreo? con quel che ne consegue, ed il tutto applicando criteri differenti da quelli dello Stato degli ebrei - dove i Reform, ricordiamolo, sono considerati ebrei a pieno titolo.
L'italica bizzarria sta anche nel fatto che ci si definisce ortodossi (o Modern Orthodox) quando l'osservanza delle mitzwot è bassa o nulla; quando i rabbini italiani non compaiono nelle liste che il rabbinato centrale di Israele considera abilitati a effettuare conversioni. E' vero, il dato dell'osservanza dice poco, perché in ogni comunità ortodossa non c'è sempre un livello alto di osservanza - ma sarebbe comunque interessante curioso comparare il tasso di matrimoni misti in Italia con quello di altre comunità ortodosse. Ma la questione della, diciamo, scarsa considerazione che il rabbinato centrale di Israele riserva ai rabbini italiani dovrebbe far pensare.
Ovviamente a me, da qui, non può interessare il lato politico della faccenda. L'Ebraismo progressivo in Italia è un fenomeno in crescita e una qualche forma di riconoscimento giuridico da parte dello Stato ci dovrà pure essere; e tutti sanno benissimo che l'anomalia istituzionale italiana prima o poi cadrà, visto che non è esattamente congruente con la concezione europea di libertà religiosa. In quale altro Paese occorre un atto notarile per cambiare religione?
Però le argomentazioni di parte ortodossa, quelle sì le trovo interessanti. Sia gli interventi su Kolot che quello su Ha Kehillah non dicono nulla sulla specifica ortodossia italiana, e pensare che solo pochi anni fa questo era l'argomento più diffuso tra chi invitava a non spezzare la bella unità. Ora ci spiegano che il modello italiano consiste nel fatto che un piccolo nucleo di osservanti tiene accesa la fiamma dell'Ebraismo intero, e che tutti gli altri starebbero attorno a questo nucleo, più o meno distanti dal livello di osservanza ideale.
E' una raffigurazione della comunità ebraica che per me è simile a quella di un monastero e degli abitanti dei terreni di proprietà del monastero. Non potendo questi ultimi mantenere lo stile di vita dei monaci, che osservano tutti i precetti, versano una quota delle loro ricchezze ai predetti monaci. Suvvia: siamo tutti (dovremmo essere tutti) consapevoli che lo-ba-shamaiim, la Torah non è nel cielo, né al di là degli oceani, e la Halacha è fatta per esser vissuta da tutti, in maniera egalitaria, senza costituire caste sacerdotali. Vissuta, intendo, anche da chi è omosessuale, che non è una scelta, ma per condizione: ai gay la Torah degli ortodossi cosa ha da insegnare? Che devono, giusta il modello monastico, reprimersi e sublimare? Questa sarebbe la halacha?
Il punto che mi convince di meno di tutto il dibattito è però un altro. Io conosco diversi ebrei progressivi e molti ebrei ortodossi. Non vedo una gran differenza di pratica. Questa storia secondo cui gli ebrei ortodossi sono quelli che praticano di più dei progressivi non regge alla prova dei fatti. In Italia le congregazioni progressive, per dirne una, hanno il minyan più spesso delle sinagoghe ortodosse. I progressivi, in Italia, non celebrano affatto matrimoni misti, e si sposano con maggiore frequenza degli ortodossi delle rispettive città. Ho anche l'impressione che siano pure più sionisti degli ortodossi, e con ragione: Israele dà loro quel riconoscimento che l'Italia ebraica non vuole dare. Se uno è affezionato al modello dei cerchi concentrici sappia che anche all'interno delle comunità progressive c'è chi pratica di più, chi pratica di meno e chi va al tempio solo a Kippur.
L'Ebraismo è policentrico ed inclusivo

Ma il problema, in fondo, è un altro. Lo stile di discussione adottato dalle voci ortodosse di questo dibattito è all'insegna dell'esclusione quando non della scomunica - e non mi pare esattamente felice. Né, per quel che vale, è una dimostazione di forza. Sarebbe invece interessante che chi sta nel cerchio più interno del mondo progressivo venga invitato al dialogo con chi occupa la analoga posizione per gli ortodossi. E che, come nelle discussioni del Talmud, ci si sforzi di trovare non il compromesso, ma la soluzione più inclusiva, che sappia comprendere tutte le posizioni per il bene comune degli ebrei di Italia.
Peccato che questo, per ora, non stia succedendo.

giovedì, novembre 15, 2007

succede questo

Un alto dirigente dei Chabad in Israele arrestato con accuse poco piacevoli. Failed Messiah aveva accennato a queste faccende, più di un anno fa.

martedì, novembre 13, 2007

I was made for love you babe



Il signore qua con la lingua lunga si chiama Chaim Klein Witz, è israeliano e con il nome di Gene Simmons fa il musicista. E' uno che sulla politica estera americana ha le idee piuttosto chiare. Non è obbligatorio andare d'accordo, d'altronde lui di mestiere fa il musicista rock.

sabato, novembre 10, 2007

minyan portoghese

Il termine Sefardita ha molti significati. Può indicare in genere gli ebrei di provenienza orientale, oppure il rito in uso dei gruppi hassidici il cui siddur è quello kabbalistico di Itzak Luria. Un particolare minhag sefardita è quello detto portoghese, o Western Sefardi, che è in uso in luoghi come la Esnoga di Amsterdam, Shearith Israel di New York, Bevis Marks di Londra, Livorno e luoghi come il Suriname o Giamaica. Il che spiega come mai molti di questi signori hanno la pelle un po' scura - i sefarditi portoghesi sono stati i primi a convertire anche persone di colore, e questo la dice lunga sulla generale attitudine dei loro rabbini.
Un minyan portoghese esiste anche a Gerusalemme, grazie all'impegno di un signore che è arrivato da Philadelphia che ha distrutto il suo passaporto americano il 19 maggio 1948, un giorno dopo la proclamazione dello Stato di Israele (chi ha detto che i sefarditi non sono sionisti?). Ci si trova una volta al mese nella Stambuli, una delle quattro sinagoghe sefardite della Città Vecchia - in ognuna delle quali c'è un arredamento di origine italiana. E che è questa qua a sinistra (illustrazione del 1835, dedicata a tutti quelli che "ma gli ebrei non sono originari e sono arrivati in Israele solo dopo la seconda guerra mondiale") A parte la bellissima esperienza di dire shachrit proprio nella Città Vecchia, a due passi dal Kotel, (il posto ha una acustica meravigliosa) l'esperienza è davvero degna. Il minhag è ovviamente ortodosso ma non pochi punti sono simili a noi Reform. Per esempio il decoro: niente barbe incolte, niente tzitzit; mai visto così tante cravatte a Gerusalemme. O anche l'uso di salutare tutti i presenti, appena si entra, che dà anche agli sconosciuti la sensazione di essere accolti e rispettati. E poi avere tra le mani il Siddur di David de Sola Pool ha un suo fascino anche per noi Reform. David de Sola Pool che aveva non tenui legami familiari con Mordechai Kaplan, proprio nel periodo in cui un gruppetto di rabbini ortodossi ne bruciava i libri. Siddur che è affascinante non solo perché straordinariamente chiaro e con una bella traduzione in inglese, ma anche perché i riferimenti al messianismo sono, diciamo, contenuti, come è più che naturale aspettarsi, visto che il sabbatianesimo è bastato a vaccinare dalla fascinazione nei confronti del Rebbe. Come da tradizione sefardi, inoltre, non ci sono del tutto le parti meno condivisibili dell'Alenu, quelle che invocano la maledizione sugli idolatri.
Insomma, oggi avevo tra le mani questo Siddur datato 1941, con tanto di traduzione e indicazione dei punti in cui ripetere al cantore. E ho pensato a quanto di noi Reform continuano a sentire il fascino di una cosa che chiamano tradizione e che in realtà è piuttosto nuova, non ha nemmeno una quarantina di anni ed è è l'ideologia di gruppi come gli Aish ha Torah o di altri baale teshuva. Per una ragione o per l'altra, anche all'interno del mondo non ortodosso, c'è chi vuole "più tradizione" e ogni tanto prova a mettere in piedi delle ibridazioni, prevalentemente di origine masorti: minyan ortodossi egalitari in cui se una donna vuole può non essere contata, posti che non hanno la mechitza ma uomini e donne siedono separati e poi c'è anche un terzo settore per le coppie che desiderano stare inisieme, siddur in cui si dice che vogliamo la ricostruzione del Tempio ma lo si dice in ebraico così non siamo obbligati a crederci ecc. ecc.). A me 'ste robe non piacciono per nulla. Io mi considero un ebreo emancipato, credo che lo Shabbat è Shabbat se lo si passa con una comunità che condivide i valori della modernità e non credo sia molto sensato provare a ricreare una volta alla settimana il mondo precedente l'Emancipazione. Però se ho voglia di tradizione, una volta ogni tanto, il minyan portoghese, con la sua gravidura (rispetto) è quello che fa per me.
E poi le melodie sono bellissime.

venerdì, novembre 09, 2007

riveciamo e vlonetirei plubbacihmo

fi yuo cna raed tihs, yuo hvae a sgtrane mnid too.
Cna yuo raed tihs? Olny 55 plepoe out of 100 can. i cdnuolt blveiee taht I cluod aulaclty uesdnatnrd waht I was rdanieg. The phaonmneal pweor of the hmuan mnid, aoccdrnig to a rscheearch at Cmabrigde Uinervtisy, it dseno't mtaetr in waht oerdr the ltteres in a wrod are, the olny iproamtnt tihng is taht the frsit and lsat ltteer be in the rghit pclae. The rset can be a taotl mses and you can sitll raed it whotuit a pboerlm. Tihs is bcuseae the huamn mnid deos not raed ervey lteter by istlef, but the wrod as a wlohe. Azanmig huh? yaeh and I awlyas tghuhot slpeling was ipmorantt! if you can raed tihs forwrad it.

giovedì, novembre 08, 2007

the classic halachic view

"A great representative of the classic halachic view was Rabbi Benzion Uziel, who served as chief Sephardic rabbi, first in British Mandate Palestine and then in the State of Israel, from 1938 to 1953.
Rabbi Uziel argued that not only may rabbis do conversions in less than ideal circumstances, but they are obligated to do so — even when the would-be convert is not expected to become fully observant religiously. Since so many conversion cases involve intermarriage or potential intermarriage, Rabbi Uziel believed we should perform conversions in order to maintain whole Jewish families that can raise Jewish children within the Jewish community. He viewed himself as being “strict” in his opposition to intermarriage, not as being “lenient” in matters of conversion. Historically, the halacha has allowed rabbis to draw on the full array of halachic sources; to consider the nuances of each individual conversion case; to use their own judgment on whether to accept or reject a candidate for conversion. Now, the halachic options have been sharply curtailed. A rabbinic bureaucracy is usurping the authority of individual rabbis."
A scrivere queste parole, che sono una dura condanna del rabbinato ortodosso contemporaneo non è uno studioso Reform alla ricerca di precedenti all'interno della tradizione (anche perché il gioco della ricerca di questo tipo di antenati è, come minimo, fuori moda). E' nientemeno che rav Marc Angel, persona nota per la pacatezza di toni e da decenni rabbino capo di Shearith Israel, la più importante sinagoga sefardita del mondo. Il testo completo dell'articolo sta qui.
Marc Angel è uno di quei leader ebraici noti per l'alto valore che danno al principio dell'unità del popolo di Israele. Che anche da quell'ambiente si levino voci forti e chiare contro la deriva dell'ortodossia contemporanea dovrebbe fare piuttosto riflettere. Dal mio punto di vista maggioritario (non ortodosso, cioé) mi chiedo cosa avrebbe pensato rabbi Uziel della distinzione tra accettazione delle mitzwot e osservanza delle stesse, che pare sia un artificio che va di moda in Italia.

the Real

The word “real”-- completely vexed foreign word
we use every day– “get real man”-- “reality tv”
oxymoron– not to be confused with the real
in real estate which comes from royal meaning
the king owns the land– no this real means
either the material concrete nubby substantial
toe stubbing, bullet piercing, ass hurting, scar
tissue forming, sidewalk scraping, hot flashing hardware–
or else the highest deepest broadest truest hidden
arrangement of light behind thought behind body
behind deed- the holy of holy of holies
in the high priest’s brain when the Ein Sof shouts down
its lightning and breaks open the heart of the universe
and time stops in its gears to unwind another year’s folly–
and all the people outside bow down muttering and kiss the ground–
their lips in the dust– but a minute later they wipe them off
brush off their clothes, stand up, start up that cycle
of what’s real man, what’s really really real & don’t you know
they get back to their business in a God damned minute?
Rodger Kamenetz (thans to Zeek)

mercoledì, novembre 07, 2007

dispute interne alla tribù

Il Pirké Avot spiega che ci sono due tipi di makhlokhet (dispute). Quelle le-shem ha Shamaim (in nome dei cieli), tipo quella tra Hillel e Shammai, e le altre, il cui modello è quella di Korach, e che non sono le-shem ha Shamaim. La principale differenza, e so che non sono originale, è che la competizione per il potere è più evidente nel caso di Korach che tra Hillel e Shammai. Per questo la storia di Korach ha una fine, quella di Hillel e Shammai no: e ha a che fare non con il potere ma principalmente con Dio. La differenza tra una disputa e una makhlokhet, una disputa ebraica, è che la seconda implica un terzo partecipante, che può essere Dio o -più comunemente- una cosa chiamata tradizione ebraica ed espressa in testi straordinariamente densi, vecchiotti, compulsivamente pluralisti fino alla auto-contraddizione ripetuta. O, più semplicemente è una disputa tra ebrei. Chi è ebreo? Ci sono definizioni diciamo giuridiche (figlio di madre ebrea, genitore di figli ebrei) che comunque cambiano con il tempo (cavolo, lo si può dire, senza che crollino i cieli) e che sono in ultima analisi autoreferenziali. Non vuol dire che se ne può fare a meno, vuol semplicemente dire che c'è anche dell'altro. Mettiamola così: un senso, secondo me poco verbalizzabile, di comune appartenenza.
Quando io so che qualcuno è ebreo, anche so lo incontro in metropolitana, sento di avere qualcosa in comune con lui. Posso invitarlo a cena, e so anche quando (perché abbiamo un calendario in comune, per esempio). Oppure lui può invitare a cena me. O se ci sono problemi possiamo andare al ristorante insieme. E' tribale? Certo che è tribale. Non vedo cosa ci sia di male. E' proprio facendo riferimento a questa tradizione tribale che riesco ad amare concetti generali come umanità, libertà, giustizia, in larga parte nati all'interno della mia tradizione, per quel che vale un atto di nascita di questo tipo e che senza il loro contesto mi sembrano terribilmente astratti e distanti. E diventano strumenti ideologici di visioni totalitarie. Tipo gli assistenti sociali che, per mostrare che sono utili a qualcosa (altrimenti perdono il lavoro) si imbarcano in liti senza fine con la famiglie Rom, in nome del "bene dei bambini" - il quale non è stare coi genitori, ma essere rieducati.
Dirò di più. Della tribù, secondo me, fanno parte anche persone con le quali il disaccordo ideologico e politico non potrebbe essere più grave. Tipo quei signori che vivono al di là della linea verde. E' un disaccordo ebraico, una makhlokhet: abbiamo in comune un tavolo su cui ci sono aperti gli stessi testi, forse su pagine diverse, che certo leggiamo in maniera diversa, ma gli stessi testi. E pestiamo i pugni sul tavolo nello stesso modo. Il gioco si interrompe solo se una delle parti scomunica l'altra, sostiene che della tribù non fa (più) parte. E succede abbastanza spesso, il che significa che non funziona neanche tanto. Perché non c'è una autorità che abbia il potere di ratificare questa scomunica, la quale quindi rientra tra gli episodi di questa disputa infinita.

lunedì, novembre 05, 2007

bendigamos

Esistono molte religioni che ringraziano Dio prima di mangiare. Noi ebrei ringraziamo soprattutto dopo, quando -soddisfatti per il pasto- si rischia di dimenticare che non siamo autosufficienti. La Birkat haMazon, per quanto possa essere divertente -e spesso lo è, tipo qui - a volte può essere un po' lunghetta. Io e mia moglie di solito diciamo (espressione sefardita per cantilenare) il Bendigamos, una preghiera diffusa tra i marrani. Prende meno di cinque minuti e consente di "uscire d'obbligo" perché ha tutte le benedizioni prescritte dalla tradizione. Questo il testo nell'edizione di rav David de Sola Pool

Bendigamos al Altísimo,
Al Senor que nos crió,
Démosle agradecimiento
Por los bienes que nos dió.
Alabado sea su Santo Nombre,
Porque siempre nos apiadó.
Load al Senor que es bueno,
Que para siempre su merced.
Bendigamos al Altísimo,
Por su Ley primeramente,
Que liga a nuestra jente
Con el cielo continuamente,
Alabado sea su Santo Nombre...
Bendigamos al Altísimo,
Por el pan segundamente,
Y también por los manjares
Que comimos juntamente.
Pues comimos y bebimos alegremente
Su merced nunca nos faltó.
Load al Senor que es bueno,
Que para siempre su merced.
Alabado sea su Santo Nombre...
Bendita sea la casa esta,
El hogar de su presencia,
Donde guardamos su fiesta,
Con alegría y permanencia.
Alabado sea su Santo Nombre...

anonimi

Quando ho aperto il blog ho deciso di non pubblicare commenti anonimi - che diventano troppo spesso occasione di interminabili litigi, di nessun interesse per i lettori, frastornati dalle identità che si sovrappongono. Fino a qualche tempo riuscivo comunque a leggere i commenti di anonimi, che poi rifiutavo, assieme a quelli di insulti, che -apparentemente- sono una costante per qualsiasi ebreo che abbia un blog, figurarsi se è israeliano. Proprio perché la rete è quella che è, mi sono dotato di antivirus e ho preso l'abitudine di non aprire mai gli allegati. Adesso, per qualche roba strana che deve avere a che fare con l'antivirus, non riesco nemmeno ad aprirli, i commenti degli anonimi lettori. Poco male, tanto non li avrei pubblicati lo stesso. Chi ha voglia di commentare, o anche solo di farmi leggere quel che pensa, deve -a quanto sembra- registrarsi come utente. Eddai, che vi costa. Se ce la ho fatta io non deve essere così difficile.

sabato, novembre 03, 2007

"i conti si fanno alla fine"

Io credo che la Lega Lombarda, con il suo portato di disgustoso razzismo maschilista, sia un perfetto prodotto della sua area di origine. Che è quella in cui sono cresciuto io. Là ogni posizione politica o filosofica deve passare l' esame dei fatti. Marx e Lenin non c'entrano niente, è piuttosto una componente della concezione del mondo di Aurelio Borghi, l'industriale semianalfabeta che fece tanti soldi negli anni Cinquanta riempendo l'Italia di frigoriferi e che era noto per l'intercalare "sa'l custa?" - quanto costa?, traduco per i non celtofoni.
L'esame dei fatti lombard-style funziona così: tu sostieni che le cose stanno in questo modo. Se ci fai i soldi, vuol dire che hai ragione. Questo è stato lo stile che ha sancito il trionfo di Berlusconi, di Comunione e Liberazione e la sconfitta (teoretica prima che politica) del comunismo - che mi risulti dalla provincia lombarda non sono venuti dirigenti di rilievo del PCI. Da ragazzino ho visto nascere innumerevoli beghe che si sono poi protratte all'infinito perché almeno una delle parti proseguiva urlando: Lo dico io come andrai a finire (sottinteso: solo ed in miseria). Siccome la seconda parte non finisce né sola né in miseria (per solito prosegue urlando lo steso refrain della prima parte) la bega prosegue all'infinito, tra ripicche e - se ci sono di mezzo i dané- spesso anche delle querele. Ogni successo della parte avversa è visto come premessa della sconfitta finale e il redde rationem è rinviato all'infinito - "i conti si fanno alla fine", quante volte ho sentito questa espressione.
Ci si può esercitare per ore a trovare le radici di questa mentalità. Io credo sia stata la Controriforma borromaica - che ha creato le strutture per l'alfabetizzazione- e la rivoluzione industriale che vi si è sovrapposta. Gli effetti in termini di controllo sociale sono pesantissimi. Chi cresce in questo genere di ambiente impara che esiste una gerarchia, che devi rspettare il sindaco, che rispetta il parroco (al quale ci si confessa), che rispetta il vescovo, che è rispettato dal prefetto e via crescendo. O ti conformi o sei fuori, e se sei fuori, dal momento che non ci sono spazi di mediazione ed ogni associazione è controllata da un esponente della gerarchia, finisce che spari al mondo intero perché non ne puoi più. La provincia lombarda ha prodotto pochi dirigenti PCI, ma molto cattocomunismo e diversi terroristi.
Aree, dicevo, profondamente cattoliche. Solo che è un cattolicesimo strano, quello secondo cui la ricompensa, per essersi conformati alla gerarchia, sta tutta nell'aldiqua. Pure la punizione, cioé l'inferno, sta nell'aldiqua. Se si dovesse un giorno contare tutti quelli che dicono di aspettare il cadavere del loro peggiore nemico (che è sempre un parente) sulla sponda del fiume, ci si spiegherebbe come mai nella provincia lombarda ci sono così tanti fiumi. Di regola, avvelenati.
Dopo diversi anni passati in una città (brutta e volgare, come) Milano, e in altre città, per poi approdare da queste parti, osservo da lontano le idiosincrasie di quello che una volta è stato il luogo dove abitavo. Diciamo che mi giungono echi, perché da quelle parti ho mantenuto diversi amici, che più passa il tempo più sono stufi dell'inacidirsi complessivo del loro ambiente -pure il governo di centrosinistra non ha cambiato un granché nella mentalità collettiva, e i nuovi capri espitori sono i rumeni, cioé gli zingari; faccio i migliori auguri ai miei amici Sinti lombardi, italianissimi e lombardissimi anche se vivono in roulottes, so che sono attrezzati a sopravvivere, in ogni caso non sembra che le cose si stiano mettendo meglio, per loro.
Sarà pur vero che i conti si fanno alla fine, e che alla fine significa che certamente i cattivi (cioé gli altri) moriranno in miseria e col mal i denti mentre i bravi diventeranno ricchi e contenti. Ma se qualcuno, ogni tanto, prova a fare il saldo, magari si rende conto che c'è stato qualcosa di sbagliato, da qualche parte. Perché tutti possono avere delle ragioni, o qualcosa di interessante da raccontare. Anche quelli che rimangono soli o quelli che sicuramente lo rimarranno, perché, certo, "i conti si fanno alla fine" e bla bla.

giovedì, novembre 01, 2007

sionisti

Una volta rav Isaac Zev "Velvl" Soloveichick sentì uno dei Neture Karta maledire lo Stato di Israele e commentò così: "Quest'uomo è un sionista. Se fosse in Russia o in Polonia non potrebbe certo maledire il governo. Riconosce che la nascita dello Stato di Israele ha cambiato anche lui".