giovedì, maggio 31, 2007

lo Stato dell'apartheid


Questa è la fotografia di una indicazione stradale in Medio Oriente. Come vedete, c'è una strada per gli aderenti a una religione ed una strada separata per chi a quella religione non aderisce. Il che è apartheid. Ma questo Paese non è Israele. Per altri confronti tra Israele e i suoi vicini (su bazzeccole come il permesso di bere alcoolici, di guidare auto, di darsi appuntamento...) consiglio di leggere questo blog.

mercoledì, maggio 30, 2007

Jdub

Jdub Records è una promettente casa discografica. Tris di video, così per gradire. E scusate se è poco.
Balkan Beat Box - Bulgarian Chicks (per chi, come tutti, ama sonorità balcaniche)



Socalled - (These are) The Good Old Days (la Golah è trend)


Soulico (pure Tel Aviv non è male)

martedì, maggio 29, 2007

scritto appena ieri

Vi ricordate di quando il Rav per eccellenza, Joseph B Soloveitchik, rifiutò di diventare rabbino capo in Israele? Rav Eric Yoffie, sul Jerusalem Post spiega bene il come e il quando, qui.
Un paio di citazioni del Rav [quello ortodosso]:
"A rabbinate linked up with a state cannot be completely free" (1959)
"Such a rabbinate will disintegrate. I am sorry that my prophecy was correct. It is now in a stage of disintegration.” (1972).

lunedì, maggio 28, 2007

Lugano bella

Mentre a Milano è tutto uno scoprire lapidi ecco che in Svizzera si produce filatelia più dignitosa.

Mi trovo a ripetere che Primo Levi e Bruno Zevi non erano persone da usare a cuor leggero appellativi come commissario torturatore. Né era gente a cui era facile estorcere una firma. Cioé sapevano di che cosa parlava quell'appello pubblicato da l'Espresso nel giugno del 1971. Avevano conosciuto la polizia italiana durante e dopo il Fascismo. Quella polizia di cui aveva fatto parte -e tuttora faceva parte- Marcello Guida, già direttore del confino politico di Ventotene, poi passato alla Questura di Milano. O il questore Antonio Allegra, processato, condannato, amnistiato (e mai assolto) per aver trattenuto illegalmente nei locali della Questura di Milano il ferroviere anarchico Pino Pinelli. Coloro che stavano dentro quella stanza, come è stato accertato dal giudice D'Ambrosio, mentirono. E Pinelli morì, come è noto.

venerdì, maggio 25, 2007

cose permesse, cose non permesse

Un tribunale francese autorizza ad affermare che Robert Faurisson è un cacciapalle. Siamo confortati dal parere favorevole del già ministro della Giustizia del Governo d'Oltralpe - governo che non era esattamente pro-Israele, tra l'altro. Tutto ciò detto e stabilito, resta da capire come mai il prof. Claudio Moffa abbia invitato il cacciapalle Faurisson a tenere conferenze in una aula universitaria. Trovate la notizia in rete e, più o meno, su tutti i quotidiani. Il manifesto ha dedicato uno spazio davvero limitato alla vicenda.
Il che, devo dire, mi sorprende. Nel 1994 trovai nella libreria univeristaria della mia città una copia del famoso numero della rivista La lente di Marx ("Ebrei brava gente") con cui il compagno Moffa cercava di richiamare l'attenzione della sinistra italiana sulla "questione ebraica" e sul ricatto morale che gli ebrei esercitavano nei confronti del mondo intero. La rivista era accompagnata da un bell'elenco di nomi, ad uso di commissioni concorsuali, di ebrei o filo-ebrei (pardòn: sionisti) presenti nell'Università italiana. La cosa mi sembrò oltremodo preoccupante, sicché feci qualche telefonata alla mia radio preferita. Mi fecero parlare con una signora che si occupava di libri e recensioni e che non sembrò particolarmente allarmata.
Acquistai allora una copia della rivista e la spedii a Il manifesto e qualche giorno dopo la Rossanda se ne uscì con un articolo memorabile (altro che il trafiletto di cui sopra), in cui diceva al compagno Moffa, più o meno, di tornarsene nelle fogne. All'articolo de Il manifesto seguì, come usava, un ampio dibattito (ricordo un articolo su Linea d'Ombra, per esempio) ed una accorata denuncia collettiva da sinistra. La vicenda ebbe l'effetto di tracciare un confine oltre il quale la critica alle politiche di Israele diventava puro e semplice antisemitismo. Un gran risultato, per quella sinistra che -culturalmente- stava uscendo dalla Guerra Fredda.
E quando i ragazzi del ghetto di Roma fecero la loro passeggiata nella sede del gruppo skinhead (ricordate?) la Rossanda ne scrisse un altro, di memorabile articolo. Non se lo ricorda nessuno, ma la settimana prima erano comparsi, sulle saracinesche delle botteghe del centro, delle stelle gialle, appiccicate (forse) e rivendicate (con orgoglio) dalle teste pelate de cuius. La Rossanda spiegava che gli ebrei avevano fatto, perché potevano farlo, quel che senegalesi, rom e albanesi non potevano fare: autodifesa, in una Italia che andava diventando sempre più schifosamente razzista.
L'appello contro la presenza di Faurisson in un aula universitaria (pubblicato con poco risalto dal quotidiano comunista) è stato firmato anche da docenti (e compagni) per nulla teneri con la politica dello Stato di Israele e persino con la storia della sua formazione. A maggior ragione (e visti i pregressi), mi stupisce il basso profilo de Il manifesto sulla vicenda Moffa-Faurisson. Come dice un personaggio di Altan: mi vengono pensieri che non condivido. Tipo questo: dalle parti di via Tomacelli la negazione della Shoah è diventata politicamente legittima. Oppure: voi ve la sentireste di battervi per la libertà di docenza di un certificato cacciapalle?
Perché in questione non c'è la libertà di parola di Faurisson. Lui può dire quel che vuole, a patto che ne subisca le conseguenze. Gli ultrà della curva, che urlano Zingari, ai forni! non tirano fuori i loro striscioni nei pressi dei campi nomadi. E Umberto Bossi, non va a fare un giro per Spaccanapoli o Secondigliano. Se succedesse, sia l'onorevole ch egli ultrà prenderebbero la loro dose di legnate di autodifesa. Chi apporta questo genere di contributi (le legnate, appunto) di solito è anche pronto a pagarne le conseguenze in tribunale - e sta qui la differenza tra un democratico e un fascista, il fascista pretende di sostituirsi allo Stato, anche quando esercita violenza. Faurisson, tra l'altro, ha la spiacevole abitudine di farsi vedere in luoghi dove passano ebrei: questo non mette a rischio la sua libertà di parola, questo lo espone alla reazione delle vittime di persecuzioni, vittime che sono poi dispostissime a farsi processare. Perché i fascisti non sono loro, il fascista è chi pretende che ci sia una Storia ufficiale (che stabilisce l'esistenza di camere a gas ad Auschwitz) la quale Storia ufficiale va sostituita con un'altra - che stabilisce che i non ebrei sono vittime di una illusione ottica preparata dagli ebrei.
La "Storia ufficiale" non esiste. Chiunque può insegnare la storia che crede, purché lui appartenga alla comunità degli storici e si basi su testi, propri o altrui, approvati dalla comunità degli storici. In questione infatti non c'è la libertà di parola di Faurisson, ma quella di docenza. Non si può decidere cosa va insegnato sulla base di una logica che consente di negare l'esistenza di camere a gas ad Auschwitz, oppure di affermare l'esistenza di un complotto ebraico, nel mondo della storia, dell'educazione, dei media (insomma: il controllo dei media) a tutto vantaggio dello Stato di Israele. Ecco, io credo che queste puttanate non vadano insegnate. E un tribunale francese spiega che Faurisson è un cacciapalle, proprio perché nei suoi corsi e nei suoi libri ha cercato di insegnare questa roba.
Quelli de Il manifesto (come la signora della radio, tempo fa), stavolta, probabilmente, non sono d'accordo. E va bene, per loro. Non per me: io voglio essere capace di non sputare quando vedo la mia faccia allo specchio. Ma le loro scelte sono affari loro. Però io vedo un rischio. La mia generazione ha trovato sulle cattedre i primi insegnati formatisi dopo la caduta del Fascismo. Ci è stato insegnato, fin da quando abbiamo imparato a leggere, che Auschwitz è l'orrore puro: c'è chi lo vede come somma di orrori, chi lo vede come parametro per misurare altri orrori, chi lo vede come un buco nero con cui non è possibile alcun paragone. Ma, qualunque sia l'opinione, per la mia generazione una comunità civile è tale, civile appunto, solo se si stabilisce un confine chiaro, quello del mai più. Chi vuole ricostruire Auschwitz va tenuto, come scriveva la Rossanda il secolo scorso, nelle fogne.
Intendiamoci. C'erano, tra i miei coetanei, quelli che si mettevano a berciare cose orrende dagli spalti degli stadi o a scriverli sui muri dei cessi. Roba tipo, chessò: Milanisti al forno, Juventini per contorno - o anche slogan esplicitamente antisemiti. Ci ho discusso, litigato, fatto a botte. E so che erano consapevoli di compiere una trasgressione, quando urlavano di voler ricostruire Aushwitz. Si identificavano con i cattivi, perché in una certa fase della vita l'adolescente piccolo borghese o medio, o proletario è quello che fa. Le prove di identità. Che passano anche attraverso il ruolo del cattivo, quello che nel libro Cuore si identifica come effetto Franti ("e l'infame sorrise").
C'erano, tra i miei coetanei, e non sono neanche poi tanto cambiati, anche cattolici o gente di sinistra. Pure per loro Auschwitz è il confine oltre il quale non si deve andare. Magari parlano di Auschwitz a sproposito, per dirti che non solo gli ebrei sono stati perseguitati. Sai che bella scoperta, mi vien da dire. O per fare paragoni ad minchiam, con gli indio sudamericani o con i palestinesi (e te pareva). Ma nessuno, ripeto, nessuno, si vuole mischiare con i negazionisti. Ti dicono, tutti: sì, è successo, però... E anche se quel però mi fa ribollire il sangue, e quel che segue di solito mi fa girare le orchidee, non è questo il punto. Il punto è il disgusto che i negazionisti ispirano a chi, come me, adesso ha sui trenta-quarant'anni.
Quelli che dicono che ad Auschwitz qualcosa non è successo ci fanno istintivamente schifo; più dei signori che sostengono che la Terra è piatta, che l'uomo non è mai stato sulla Luna e che Paul McCartney è morto nel 1966 - gente bislacca con cui i negazionisti di solito si accompagnano, perché ne condividono il metodo. Che consiste nell'affermare che l'è tutto un complotto e solo i fighi come noi riescono a capire come stanno veramente le cose, riescono a non farsi fregare e soprattutto hanno capito chi ci guadagna e adesso dobbiamo deprogrammare le masse. Non si tratta solo del fatto che noi tutti, più o meno, sappiamo che Paul McCartney è vivo (e fa della musica di merda) e che la Missione Apollo ci piace così come è, con la storia del piccolo passo per un uomo e il grande passo per l'umanità.


Chi sostiene che la Shoah è una favola raccontata dai sionisti, o dai loro sostenitori (naturalmente sempre fanatici) ispira orrore perché si mette al di fuori non solo del buon senso, ma del patto stipulato all'uscita della Seconda Guerra Mondiale, da coloro che hanno formato i nostri docenti e genitori, e che recita: mai più sterminio in serie, industrializzato, mai più esperimenti su esseri umani, mai più società basate sul culto del sangue, mai più organizzazioni collettive con il fine di sterminio e di ridurre in schiavitù. E lo so benissimo che non sempre questo patto è stato osservato (chessò, per esempio in Sudafrica) - anche se dubito che in altri momenti della storia, oltre alla Shoah, la logica dello sterminio sia stata più forte di quella del capitale. Ma questo patto tra formatori c'era: ci sono cresciuti dentro, riuscendo anche ad armonizzare i contrasti derivanti dall'immigrazione, tutti gli italiani che adesso hanno dai venticinque ai quarantacinque anni, pure i fascisti, pure i cattocomunisti, pure i centrosociaroli, pure tutti gli altri - che sono la vastissima maggioranza, come attestano i risultati elettorali.
Ecco, ai redattori de Il manifesto, che questa volta hanno scelto il basso profilo -e non gli articoli della Rossanda- mentre il compagno Moffa invitava in cattedra il cacciapalle Faurisson, vorrei dire che stanno perdendo il contatto proprio con la mia generazione. Che, a lungo andare, non significa rimanere un giornale di nicchia ma proprio un quotidiano senza più lettori. Scelte loro, evidentemente. E, sospetto, alquanto condizionate dalle peculiari prospettive sulla politica mediorientale. Poi certo, come si dice: la memoria è soggettiva, ognuno ne fa quel che gli pare. A me però dispiace che scompaia la memoria del confine tra critica legittima e propaganda antisemita e razzista. Un confine che, forse, ho contribuito a costruire, ficcando una copia di una rivista n una busta e spedendola a Roma, all'attenzione della ragazza del secolo scorso.

mercoledì, maggio 23, 2007

neghiah, shnegiah

Che, per informazione sarebbero questi repressi qua. Dategli un'occhiata.
Esatto, è il sito di una organizzazione ortodossa che invita i giovani all'astinenza e tenta di dissuadere dall'uso del profilattico. Gli ideatori dichiarano di essersi ispirato a analoghe campagne cristiane fondamentaliste.
C'è da chiedersi se anche l'UCEI intenda varare campagne di questo tipo (diciamo all'insegna del no trombing), in rottura con la "sensibilità attuale" - come direbbe il rabbino Di Segni e per spiegare ai giovani ebrei che "condom is not the answer". In proposito non mancano certo fonti di ispirazione, in questa terra cattolica.

Tov. Maspik con le battute. E se prendessimo noi liberali l'iniziativa? Davvero pensiamo che siano questioni in cui è meglio lasciare tutto alla famiglia? Certo, meglio la famiglia della pura e semplice repressione comunitaria. Ma se non esiste una posizione liberale a proposito di sesso e teen-agers (come sembra), la si potrebbe comunque trovare. Prendiamo ad esempio Tamar Fox, qui.

Spinozastrasse

In Olanda, negli 80s, si ascoltava questa roba e la chiamavano new wave. Non siete obbligati a essere d'accordo. Era (e rimane) un Paese libero.

Doe Maar - Belle Helene

martedì, maggio 22, 2007

clowns for Israel

Mentre i Neture Karta distribuivano la loro propaganda, rabbi Yonah ha fatto una pacifica irruzione. Effetto assicurato. Non si capisce chi sono i pagliacci: se questi tizi nerovestiti oppure quello più colorato.



foto, qui.


vetrine del centro

Questa non è una foto che ho scattato io. Sta sul blog di Deborah Lipstadt, la studiosa che tempo fa è stata querelata dal negazionista David Irving - il quale ha perso la causa.


La foto è stata scattata ad Amman, capitale della Giordania. E' la vetrina di una libreria. A sinistra si riconosce il noto volume di Jimmy Carter, in cui l'ex presidente USA spiega che in Palestina c'è l'apartheid, mentre accanto si può vedere l'altrettano noto Mein Kampf.
Il mercato editoriale dei Paesi arabi è un settore così prevedibile.

noi, non ne parliamo

Vorrei informare i miei venticinque lettori che ho appena acquistato una macchina fotografica digitale. Questo è un quadro che sta vicino alla mia scrivania ed è ispirato a un racconto manouche, "La storia del riccio", che si trova in uno dei più bei libri del ventesimo secolo. L'autore del quadro è vissuto vicino a me per diversi anni e se per caso sta fra i venticinque lettori è pregato di scrivermi. Che altrimenti vado in Israele senza che ci salutiamo, il che non è bello.


da leggere

Il professor Avrum Ehrlich ha messo on line un suo libro sulla leadership nel movimento Chabad. E' gratis e si può scaricare da qui. (grazie a Failed Messiah per la segnalazione)

lunedì, maggio 21, 2007

giudeo best bloggers

L'edizione 2007-5767 del JB award è arrivata alla fine. Il trionfatore è Dry Bones, le cui vignette si vedono spesso anche in Italia (vince anche nelle sezioni Humour, Culture, News, Pro Israel).
Hirhurim ha ottenuto un buon piazzamento (migliore blog datì, migliore blog sulla Torah): non è il mio genere, ma kol hakavod, l'autore è persona seria e c'è un impressionante serie di link che aiutano ad approfondire il mondo frum.
Molto letto e votato è anche Lazer beams: ai giudeobloggatori evidentemente piace la Kabbalah. E' frum anche l'autore di Emes Ve-Emuna, che assieme ai miei amici di Jewschool e (di nuovo) Dov Bear e Failed Messiah si qualifica bene tra i blog anti-estabilishment. Si piazza bene anche Treppenwitz (sezioni Large Blog, Life in Israel, Personal) che è un buon modo di vedere Israele da vicino.
The Jew and the Carrot ha stravinto nella sezione New. E' un bel blog, di posizioni alquanto radical e con una bella sezione dedicata alla cucina. I miei amici di Jspot vincono la qualifica di migliore blog Left-Wing, Dov Bear si qualifica bene tra gli scettici, assieme al noto ateo nervosetto Fuori dagli USA, si piazzano bene i lusofoni: il miglior blog non inglese è Judaica FM
La giudeoblogsfera è popolata da collettività piuttosto che da individui: il numero di blog con più di un autore mi sembra molto alto. I giudeobloggatori usano la rete, ma senza abbandonare lo studio tradizionale: si ricorre al mezzo informatico prevalentemente come complemento. In linea di massima più l'approccio è tradizionale, meno è intimistico: i bloggers ortodossi mettono materiale a disposizione, i bloggers di sinistra o liberal preferiscono parlare di temi più intimisti e magari tenere un diario del loro percorso spirituale o della loro alya. A proposito: per quanto riguarda Israele il blog è uno strumento per ribattere, più che per proporre. Da qui lo straordinario successo di vignette e battute, ma poca analisi politico-strategica. Che è un poco spiazzante, in Italia chiunque si sente autorizzato a parlare di Israele, soprattutto se non c'è mai stato. Ma di questo parlerò un'altra volta. In ogni caso, i risultati li trovate qui, e buona navigazione.

domenica, maggio 20, 2007

ba-midbar

Ieri è stato un grande giorno. C'è chi ha potuto finalmente coronare il sogno di unirsi [per qualcuno riunirsi] al popolo ebraico, dopo anni di studio e di pratica - in qualche caso più di un decennio. Ho avuto l'onore di essere l'insegnante di queste persone eccezionali e di avere parte nel lato "burocratico" della faccenda - portare in Italia quattro rabbini in uno stesso giorno non è una cosa semplice. Un onore, che ho ricevuto dalla mia Congregazione; e che mi ha permesso di superare ferite e delusioni. I risultati si sono visti, e io vedo ancora sorrisi, lacrime di gioia. Gli ebrei hanno questa cosa strana, che quando sono contenti piangono. Vale anche per chi è diventato ebreo da poche ore.
Dopo i colloqui con il Bet Din, dopo la tevillah, c'è stata -ieri- la prima alya a Sefer di questi miei amici. Dico amici, perché hanno studiato così a lungo con me che siamo anche diventati amici. E' stata una cerimonia commovente - piangeva anche la vicepresidente della Congregazione - che sembra un titolo pomposo, invece è una donna adorabile, tanto quanto la presidente (tutte donne, già: sarà per questo che le cose funzionano). Che però non c'era perché ha appena avuto un bambino. E comunque ci sono altre signore in dolce attesa. Che vi devo dire, è una comunità che cresce. Tutto l'Ebraismo progressivo italiano cresce (anche grazie a me, sono orgoglioso di dire).
Queste storie sono belle, commoventi e mi piacerebbe riportarle. Ma non ho chiesto ai miei amici il permesso di parlare di loro. E anche se potessi, non lo farei, perché la nostra tradizione insegna che kol b'nei Adam, e che non esiste sangue più rosso di altro sangue.
Voglio che rimanga qualcosa di questa bellissima giornata. Così vi appiccico qui il discorso che ho tenuto per l'occasione. E siccome c'era un pubblico internazionale (americani, israeliani, italiani, francesi, inglesi...) io ho parlato in inglese e mi sono pure tradotto. Adesso faccio il copincolla dal testo inglese. Le parole in grassetto sono state scandite.
Buona lettura. Firmato Nahum


Questo è uno dei testi che ho usato per preparare le lezioni. E' un manuale per la conversione all'Ebraismo scritto da un rabbino ortodosso - devo ancora capire come mai qualche ortodosso in Italia sostiene che la conversione all'Ebraismo sarebbe impossibile...

The parasha of this week is called Ba-midbar, In the desert. That desert is the place that our forefathers crossed. And the book of Numbers, whose reading begins with this parasha, recounts many meaningfull moments of that wandering.
Take for exemple the description of the Israelites’ camp. We read that each Jew is supposed to camp under his deghel, his standard. What’s a deghel? Why is it mentioned as first in the list of the co-ordinates of this Jewish position?
I might say that this deghel is your community. Community is the place of relations. Community is the natural place of the human being. And we Jews share the holy task of building inclusive communities; to work to transform our general community in more inclusive communities, where each individual is cared and respected as a digniful human being. These are the most precious values of our tradition. This is the principle of betzel Elohim; the man is created as image of God.
And we are blessed to be part of the Progressive movement, the largest Jewish movement in the world, that states such values as the core of Judaism. We are Italian Progressive Jews, that years ago foresaw the need for Progressive Judaism in Italy, because we know that in the coming multicultural society this is the way we can pass our heritage to the coming generations.
This Congregation is our deghel, our standard, under which we camp. I am gratefull to my friends, that gave me the opportunity to a your teacher. As I am gratefull to our Rabbi that taught us, with his exemple as first, the focus on betzel Elohim as the core of Judaism. And I am sure that you all will give a great contribution to this community. For your ongoing commitment, your deep questioning, your warm hospitality, that I had the previlege to experience in the past months. It has really been a great experience.
And since I am still, for some minutes, your teacher, I want to give you a final advice: get involved! This Congregation gave you the opportunity to become Jews; but a Jew is not a Jew if there is not another Jew to pray together, to study together, to build a better world together, even to discuss with. Our tradition teaches that man can’t be alone, and that a Jew can’t be a Jew without a community.
So now it’s time for you to partecipate, to give ideas and contribution to the life and needs of this welcoming Congregation. To volunteer here, to take care of the needs of our fellows, to get involved in the Board, to partecipate to meetings and services. And remember, our God is the eldest One, therefore is a bit deaf. You have to sing loudly, you have to shout, be-kol ram. He knows the words of the prayer, He knows the words inscribed in your hearts, just do your best to pronunciate them. And whatever you’ll have to say, say it loud! For those who didn't catch it: it applies to tefilloth [prayers] as well.
It's time for you to raise the deghel. I am sure you will find here (as is written in the Siddur that long ago I translated from English to fit these formula in the Italian minhag) community, friendship, renewal of purpose and hope, a deeper understanding of our heritage, and a sense of the abiding presence of God. And if we doubt of the latter, as it happens among brilliant, intelligent and liberal persons like we are, let’s find comfort and hope in the formers.
From now on you are no more my pupils, I hope you can count me among your friends, as you already are.
Bruchim ha-baim, my friends. And, as we Jews often say: Shalom!


e questo sono io, prima della cerimonia, assieme a
rav Robert Rothman, rabbino di Shir Hadash (Firenze) e Beth Shalom (Milano)
e rav Joel Oseran, vicepresidente della World Union for Progressive Judaism

mercoledì, maggio 16, 2007

yom Yerushalaim

Alpha Blondy - Jerusalem

martedì, maggio 15, 2007

sempre più del 40%

48 italiani su 100 ritengono che gli ebrei [compreso io] sono più fedeli ad Israele che all'Italia (o all'Europa). In questo blog il tag Israele ricorre un discreto numero di volte. Dovrebbe anche aumentare, il numero di volte, se continuate a leggere capite il perché. Ma dubito si possa parlare di fedeltà solo per questo. Io sono fedele a mia moglie, ma non ne parlo quasi mai. Perché è bravissima a parlare da sola. Controllate qua, chi non ci crede.
42 italiani su 100 ritengono che gli ebrei [compreso io] controllano la finanza mondiale. Io qui non so che link mettere perché noi che controlliamo la finanza mondiale non lo veniamo certo a dire a voi. Comunque una decina di anni fa il ministro Mastella, all'epoca di centro-destra, ha spiegato che la lobby ebraica tramava contro l'economia italiana.
46 italiani su 100 ritengono che gli ebrei [compreso io,] parlino troppo della Shoah. E siccome questo blog non ha il tag Shoah, ne metto uno al dottor Norman Finkelstein - non ancora professore).
Insomma, più o meno il 40% (cioé, sempre più del 40%) dei miei vicini di casa, di miei colleghi, di gente che prende la metropolitana con me, di persone che incrocio nello scompartimento ferroviario ha questo genere di opinioni che riguardano noi ebrei. Chi è interessato alle nude cifre, può andare qua, e trova un sondaggio dell'Anti Defamation League.
Io vorrei capire perché le cifre sono quasi sempre nude.
La signora della cartoleria dove vado a fare le fotocopie (e nessuno che faccia mai un sondaggio per scoprire se gli ebrei fanno troppe fotocopie - io ne faccio un sacco, avendo una stampante che fa schifo) si lamenta del caldo e dice: "Quest'estate poi qui a Milano stiamo davvero male, se continua così". E io rispondo che sarò a Gerusalemme [che è vero, eh]. Almeno per un anno [vero pure questo], poi vedrò, insomma: mi trasferisco [vero anche questo, siete ancora lì? grazie per gli auguri. Vi terrò informati, seguite la tag Israele].
Allora lei mi risponde: "Ah. Allora buon ritorno a casa". Qui devo precisare che la signora ascolta sempre una radio di sinistra, la stessa che ascoltavo io. Tanto di sinistra che è una radio povera e che per mantenersi chiede agli ascoltatori di "abbonarsi", ovvero di spedire ogni tre mesi un bonifico di qualche decina di euro che poi in cambio ti danno i gadget e che la signora deve essere ancora abbonata (io lo ero, poi mi ci sono davvero incazzato) infatti espone i gadget nel negozio. In quella radio le corrispondenze dal medio oriente le teneva un sedicente palestinese con accento romano, e che spiegava che c'erano bordelli con bambine vergini esclusivamente per utenti israeliani - questa storia dei bordelli di Gerusalemme aperti dai sionisti e che accettano solo clienti ebrei è stata inventata dalla rivista dei gesuiti, più o meno un secolo fa. Roba laica, insomma. E devo anche aggiungere che la signora sa che sono ebreo, perché tra la roba che faccio fotocopiare c'è molta roba in ebraico. Comunque, innegabilmente, là fa più caldo. E la signora, dimenticavo, mi ha sorriso.
Io ero confuso e, da compagno a compagna, ho solo saputo dire che, certo, la guerra, il governo, ma insomma, anche qua la sinistra delude, come delude quella di là. Sentivo il bisogno di affermare che sono di sinistra, che ascolto la stessa radio che ascolta lei e mi sono dimenticato che pure questo lo sa già perché, siccome faccio molte fotocopie, che prendono un botto di tempo, abbiamo già chiaccherato un botto di volte e a Milano quando si chiacchera e c'è il sole non puoi dire piove governo ladro ma maledire Berlusconi è un must. Poi le ho detto che quando uno torna a casa non si preoccupa tanto del clima. E adesso mi chiedo se quella signora è una cifra vestita.
Più del quaranta per cento. Minimo quattro su dieci. Due su cinque. Quando va male tre su cinque. Son cose, come dice quello là. Che non credo avrò voglia o tempo di leggere quando sarò in Israele, perché lui racconta Milano, che è in Italia anche se non ci vorresti credere. E io l'Italia me la lascio alle spalle. Con i suoi quattro stronzi su dieci esseri umani.

venerdì, maggio 11, 2007

What a wonderful world


Qui si parla di un libro interessante.

giovedì, maggio 10, 2007

da Mogadisho

Avraham è un ragazzo ebreo che vive a Mogadiscio, che ha un blog e che, quando ci riesce, lo aggiorna. Lui e sua madre sono probabilmente gli ultimi ebrei rimasti in quel Paese. Apro il suo blog ogni due o tre giorni e ogni volta spero di trovarci, come si dice, un segno di vita.

esta noche de Purim


E. Delacroix - Sposa ebrea, Tangeri (1853)
(clikkando sull'immagine si dovrebbe sentire la canzone)

Esta noche de Purim no duermen los haluiyim
haciendo alhaluinadas para las desposadas.
Vivas tu y viva yo y vivan todos los Judios
viva la reina Isther que tanto placer nos Dio.

Aman antes que muriera llamo a su parentela
los puso a su cabecera un dia antes de Purim.
Vivas tu y viva yo y vivan todos los Judios
viva la reina Isther que tanto placer nos Dio.

Y tu mi hijo Porata vende la ropa barata
y no hables con quien tratas en el dia de Purim.
Vivas tu y viva yo y vivan todos los Judios
viva la reina Isther que tanto placer nos Dio.

Dalfon mi hijo segundo ansin tengas preto mundo
tuerto te vayas del mundo en el dia de Purim.
Vivas tu y viva yo y vivan todos los Judios
viva la reina Isther que tanto placer nos Dio.

Calla tu Zereh la loca que hablar a ti no te toca
que por ti hicieron la horca y la estreno en Purim.
Vivas tu y viva yo y vivan todos los Judios
viva la reina Isther que tanto placer nos Dio.

Y Shimshi el escribano se mataba con sus manos
no dejaba hueso sano en el dia de Purim.
Vivas tu y viva yo y vivan todos los Judios
viva la reina Isther que tanto placer nos Dio.

Ester Rofe, Tetuan. Canto per Purim.

mercoledì, maggio 09, 2007

meschinità

Nella sezione Linki di questo blog si trova il link (appunto) alla sezione Antibufala del sito di Paolo Attivissimo. Prova a inserire alcune parole del messaggio all'interno della apposita mascherina, cioé qui la prossima volta che ricevi una mail che non chiede soldi (ce ne sono anche che chiedono soldi...), ma solo di far circolare il messaggio, perché così aiuti la ricerca contro il cancro - o altri nobili scopi.
Scoprirai che in rete ci sono -anche- persone meschine, proprio come nel mondo reale. Meschino non vuol dire malvagio, vuol dire gretto, moralmente limitato. In ebraico meschinità si dice katnuiut, che è parente di katan, piccolo e che non c'entra nulla con la reshaut, la malvagità. Il rashà è uno dei quattro figli della Hagadà: e sta nell'anima di ogni ebreo, tanto quanto il tam (semplice), il haham (sapiente) e quello che non sa domandare. Stanno lì, tutti e quattro, e dibattono furiosamente tra loro, urlano, si picchiano, si maltrattano, si tirano i capelli. A volte uno parla più forte degli altri, o al posto dell'ebreo stesso.
Che è a dire che tutti quanti abbiamo i nostri momenti di semplicità, di scienza, di ignoranza e appunto- di reshaut. La nostra tradizione ci fa ripetere questa faccenda almeno una volta all'anno. Certo è difficile da ammettere per chi è convinto che il male stia solo al di fuori, negli altri. Se tendi a credere di possedere strumenti infallibili per distinguere tra buoni -sempre innocenti, e di cui tu fai parte- e cattivi, sempre colpevoli e soprattutto estranei a te, è sgradevole scoprire che il messaggio per-aiutare-i-bambini-ammalati è stato messo insieme non da un medico alle prese con i tagli alla ricerca, ma da qualche cinico, da persone meschine, da un disonesto. Ma suvvia, ci sono cose peggiori. Abboccare all'amo, per esempio. Che poi se siamo ebrei non possiamo dirci estranei, ma questa è un'altra faccenda.
Usate il servizio antibufala. E' gratuito.

misheggas

Il Wall Street Journal ha pubblicato un articolo non esattamente tenero nei confronti dei Chabad russi, ed in particolar modo dell'italiano Berel Lazar. Eccolo qua e grazie a Failed Messiah
Un interessante sguardo sui metodi con cui Chabad ha conquistato -e mantiene- la leadership dell'Ebraismo in Russia, pur contando solo su un 5% di affiliati. In breve: Lazar è la versione moderna dell'ebreo di corte. A Mosca c'è lo zar Putin, che ha una certa concezione, diciamo così, della democrazia e Lazar sostiene, sorridendo, che è molto importante avere una buona relazione con le autorità.
Chi scrive ricorda ancora Marco Formentini, sindaco leghista di Milano, invitato all'accensione della Hannukkiah Lubavitch in piazza San Babila nel 1994. Portava la kippah sulla testa e aveva la faccia, come scrisse Enzo Siciliano, di quello che guarda i tuoi libri e ti chiede se li hai letti tutti.

Fausto Bertinotti e il mio servizio civile

A Gerusalemme Bertinotti ha ricevuto una lavata di capo dai rappresentanti degli italkim, gli italiani di Israele.
Vorrei raccontare qualcosa sul servizio civile che ho svolto in mezzo a elettori e militanti del partito di Bertinotti e (all'epoca) Cossutta, sul primo colloquio in cui mi hanno chiesto cosa provavo nel vedere i soldati israeliani che sparano sui bambini palestinesi: argomento di cui avrei parlato volentieri da pari a pari, soprattutto tra compagni, ma in quel caso io ero una recluta, loro -i compagni- i miei superiori. Che mi hanno rifiutato la licenza per le feste ebraiche; perché, dicevano, la legge la prevede per i militari, non per chi fa il servizio civile. E sulla scorta di tale elasticità nell'interpretazione del regolamento mi sono dovuto pagare da solo un sacco di panini, perché casualmente alla mensa servivano sempre maiale, soprattutto da quando era venuta fuori quella storia delle elezioni, che gli ebrei pretendono di obbligare la maggioranza degli italiani a votare quando votano loro. E potrei aggiungere che i compagni si sono divertiti un sacco con battute su Auschwitz anche quando andavo dal barbiere - fuori dall'orario di servizio- oltre a obbligarmi ad incontrare dei sedicenti profughi palestinesi, uno dei quali si rifiutava ghignando di dirmi il suo nome, un altro non aveva nulla contro gli ebrei ma se ti spiego cosa sono i sionisti c'è solo da avere paura sono segreti teribbili e assassini, un altro diceva che il suo migliore amico era ebreo. Uno dei tanti amici ebrei degli antisemiti: conosco pochi ebrei che dicono il mio migliore amico è un palestinese, che strano.
Sì, ero solo contro tre, anzi contro una platea (in cui ho visto facce mai viste in seguito, né prima), però vennero a darmi man forte degli amici radicali, che applaudivano in maniera convincente e soprattutto avevano portato il cronista. Poi c'è stato l'intervento dei frikkettone del paese che spiegava che tutte le religioni portano la guerra infatti anche in India, c'è stato uno dei compagni di Rifondazione che si è sentito in obligo di ripetere per l'ennesima volta che nel 1977 i fascisti gli avevano sparato. Sì, gli avevano sparato, era stato probabilmente un magnaccia locale, fascista ovviamente (quella dell'affinità tra malavita ed estrema destra è una questione interessante) e lui, il compagno, stava andando a puttane, ma questo faceva parte di una tradizione orale della sinistra locale ai cui segreti ero stato ammesso, perché - proprio in quanto ebreo- si presupponeva che della sinistra facessi appunto parte. E così l'iniziativa che si intitolava "Per non perdere la memoria" (quella dei palestinesi) è entrata nel novero delle occasioni perdute. Nulla di male: pochi mesi dopo c'è stato il primo incontro tra Rabin ed Arafat a Camp David e anche in Brianza la sinistra avrà aggiornato i propri riferimenti culturali - se non altro perché quel simpatico frikkettone avrà provato, di nuovo, ad andare in Afghanistan.
Bertinotti a Gerusalemme ha dovuto ascoltare la lettera di Sergio Della Pergola che gli spiegava che gli ebrei italiani che una volta votavano massicciamente a sinistra (80% negli anni Settanta) hanno cambiato idea; o, peggio, è cambiata la sinistra - votata adesso, più o meno, dal 40%. E chiede: cosa è successo? A me è successo, viene da dire, che ho fatto il servizio civile in Brianza. E che poteva andare meglio.

cattive compagnie

Nell'imminenza del Dies Familiae proclamato dai cattolici, il rabbino Riccardo Di Segni - attento ai rischi di assimilazione - ha pensato bene di spiegare che gli ebrei italiani hanno il dovere religioso di opporsi al riconoscimento giuridico dei diritti a persone conviventi dello stesso sesso.
Secondo Di Segni i DICO equivalgono a incoraggiare idolatria, omicidio ed incesto, anche se questa affermazione può sembrare "poco politically correct secondo la sensibilità attuale".
La quale sensibilità attuale minaccia, sempre secondo Di Segni, l'intera società ebraica italiana, perché le nostre famiglie ne hanno fatto propri i modelli di organizzazione. Si fanno meno figli, ci ci sposa tardi, crescono matrimoni misti e convivenze, insomma: un ciclone demografico, un disastro - ammesso a chiare lettere, a cui Di Segni propone di rimediare facendo propria la difesa della famiglia tradizionale. Quella, per intenderci, dei tempi in cui le donne non lavoravano fuori casa, in cui la polizia non ficcava il naso alla ricerca di prove di stupro o di incesto, e i figli omosessuali venivano cacciati di casa. A dire il vero questa è un'usanza che non sembra così estranea alla sensibilità attuale: se persino a San Francisco, è omosessuale quasi il 40% degli homeless (vedi qui), chissà che succede altrove.
Ma cosa chiede Di Segni (ripeto: nell'imminenza del cattolicissimo Dies Familiae)? Politiche per la famiglia dice lui. In questo periodo è una formuletta di moda: pochi infatti chiedono politiche per la prevenzione dei suicidi dei teen agers sfottuti da coetanei che li definiscono froci. Nella sensibilità attuale deve essere una questione di cui si occupa la famiglia. Non si capisce in che modo questa difesa della famiglia tradizionale (leggi: cattolica) dovrebbe frenare il ciclone demografico, i cui effetti già si vedono nelle comunità italiane, la cui consistenza numerica è ridotta ormai del 45% rispetto a trent'anni fa - a medio termine, dice il rabbino, analoghi effetti sono previsti anche a Roma.
Gli ortodossi propongono di affrontare la crisi in questo modo: creare un nucleo di famiglie di osservanti duri, puri ed integrali, cui affidare la sopravvivenza religiosa della comunità e il futuro demografico. Stando a quel che succede a Torino, dove il modello è stato presentato con nettezza dal rabbino, non sembra che questa soluzione sia così popolare. Insomma, non si vedono i vantaggi che la difesa della famiglia cattolica dovrebbe arrecare all'Ebraismo italiano.
Ma io non vedo nemmeno le ragioni. Per noi ebrei il matrimonio è un contratto tra due sopggetti e può essere sciolto. Per i cattolici la famiglia si fonda sul matrimonio, che è un sacramento indissolubile, infatti in Italia i tempi delle separazioni sono massacranti e tutta la giurisprudenza è pensata per costringere i separandi a rimanere sotto lo stesso tetto fino alla maggiore età dei figli. Probabilmente nella testa del legislatore vedere papà e mamma che dormono separati rafforza il benessere psicologico degli adolescenti, cioé li convince a scopare di meno. Il che dubito sia un valore ebraico.
Mentre invece sono sicuro che l'Ebraismo insegna che ogni essere umano è creato be-tzel Elohim, ad immagine di Dio. Forse Dio non esiste, certo in ognuno di noi, etero o omosessuali, c'è una scintilla che chiede dignità e rispetto. E quindi è difficile dubitare del carattere ebraico di ogni richiesta di allargamento di diritti. Invece no: Di Segni, e con lui gran parte degli ortodossi attuali, sembrano convinti che Dio è andato in esilio quando è iniziata l'Emancipazione. Ma nel resto del mondo ebraico le cose stanno in maniera diversa.
In Israele sono sempre validi i matrimoni celebrati all'estero, anche tra persone dello stesso sesso. Questa è la posizione maggioritaria nella Diaspora: Judaism, for the most part, seems to view the traditional prohibitions against homosexuality as mores from a bygone age, mores now replaced with clearer understandings.
Dove sta andando, invece, l'Ebraismo italiano?

giovedì, maggio 03, 2007

they tried to kill us, they failed

Ogni volta che noi ebrei facciamo festa è per ricordare che hanno cercato di ucciderci, non ci sono riusciti, quindi mangiamo. Gli Yidcore, gruppo hardcore yddish, bevono anche.

Adon Olam

Milano cambia

Una volta a Milano c'era il C.T. quello che riempiva i marciapiedi di scritte in stampatello maiuscolo, e spiegava anche a chi lo conosceva di persona che la Chiesa uccide con l'onda, che ogni edificio dedicato al culto cattolico rinchiude una macchina che produce un raggio assassino. E tutto questo molto prima che il preservativo fosse posto all'Indice.
Adesso c'è Lucifero. Cioé un tizio che in ogni stazione del metro lascia traccia del suo furore contro Lucifero (o Baal) che secondo lui è culo, troia, infame, cesso, mondezza, pedofilo, infame, cacacazzi, ladro. A volte mi sono chiesto a chi appartiene cotanto furore. Essendo io monoteista non posso condividere l'ipotesi comparsa su Urban, secondo cui l'autore delle scritte potrebbe essere un angelo, dal momento che combatte contro un demone. Preferisco la teologia narrativa, anzi diciamo pure il midrash, emerso anche lui dalla metropolitana. Lo leggete qui
Qualcuno si è preoccupato di documentare la produzione di questo furibondo avversario di Lucifero. Ecco qua le foto. E, come poteva mancare, c'è pure il merchandising (non lo linko, trovatevelo). Chi non desidera, oggi come oggi, una maglietta con su scritto Lucifero culo.

nice try

Engage segnala un opuscoletto per contrastare le tendenze antisemite nella sinistra che in Italia si chiama antagonista. A mio modesto avviso dalla sinistra che si definisce riformista c'è poco da aspettarsi: sono impegnati a costruire il loro compromesso storico bonsai (laddove la laicità dello Stato non è una priorità) e fanno prove di politica mediterranea. Tipo quando l'ineffabile D'Alema ha spiegato che gli ebrei italiani possono essere utili all'Italia se e solo se si dividono - per seguire lui. I nostri riformisti volano troppo alto per preoccuparsi dei giudeucci. Chiunque ci abbia a vuto a che fare ne conosce la spocchia con la quale rivendicano di essere sempre stati dalla parte giusta, pure quando dal loro Partito si lamentava l'eccesso di provvigioni in favore degli ebrei (per usare il linguaggio dell'epoca: anni 40 del XX secolo).
Nella sinistra che si definisce antagonista ho personalmente trovato molta più voglia di rimettere in discussione i presupposti teorici, di arricchirli anche ammettendone i fallimenti. Spesso ho percepito un genuino desiderio di conoscere: ci sarà probabilmente da ringraziare i riformisti di cui sopra se i programmi della scuola dell'obbligo permettono di dipingere Israele come l'avanposto dell'imperialismo USA e gli italiani brava gente, soprattutto se cattolici, estranea al razzismo antisemita - che quello dell'URSS era antisionismo, sia chiaro.
In ogni caso, quello segnalato da Engage è un buon lavoro. L'autrice è April Rosenblum il pamphlet si intitola: The Past didn't go anywhere. Io lo linko, magari a qualcuno verrà voglia di tradurlo.

mercoledì, maggio 02, 2007

il kotel senza mechitza


(Dedicato a tutti quelli che si è sempre fatto così)
La foto risale ai primi anni del 20° secolo. Fino al 1948 uomini e donne non erano separati. Solo nel 1969 venne introdotta la mechitza.

martedì, maggio 01, 2007

l'ebreo virtuale

Poniamo che tu non sei ebreo (vabbé, succede, no?) e che decidi di avvicinarti all’Ebraismo per qualche ragione. Possono essere le più diverse: ti identifichi con le vittorie dell’esercito israeliano, ti piace Elie Wiesel, ti sei fidanzato con una ragazza ebrea conosciuta in Brasile, ti sei convinto che solo mettendoti da un punto di vista ebraico riesci a comprendere Woody Allen e/o Spinoza, non riesci a immaginare nulla di più atroce della Shoah (diciamo che solo qui mi sentirei di darti ragione) e ritieni che se qualcuno ha deciso di perseguitare così tanto gli ebrei questo si deve in qualche modo a loro (ecco, non siamo più d’accordo). OK, poniamo che le cose siano così; siccome l’Ebraismo è una specie di elastico che più cerchi di allontanartene, più ti risbatte al centro di sé (o in direzione opposta), viene il momento in cui qualcuno, ebreo o non-ebreo non importa, ti chiede se sei ebreo.
E tu, come Leonard Zelig, rispondi sì. Solo che non si tratta di aver letto o meno il Moby Dick. Quando si dice una roba (meglio: una palla) di questo tipo, si inaugura una nuova condizione esistenziale: l’ebreo virtuale. Quello che ce la mette tutta per convincere il mondo intero, incluso sé stesso, della propria origine ebraica: spesso collocata da qualche parte nella cosmologia di cui sopra. Tipicamente, se non è possibile che si tratti di un ghetto polacco, si cerca un ghetto italiano. E via con l’invenzione degli antenati.
Quando il percorso dell’ebreo virtuale incrocia quello delle sinagoghe Reform non dà quasi mai luogo a una unione di lunga durata. L’ebreo virtuale è alla ricerca di autenticità, di origine, di integrità, di identità forti, da esibire. Le comunità Reform sono spesso luoghi di dibattito aperto e feroce, dove capita di mettersi in gioco in maniera profonda.
Ma a volte, per qualche ragione misteriosa, l’ebreo virtuale decide di rimanere, prima o poi anche qui qualcuno gli chiede se è ebreo e a questo punto i casi sono due. O l’ebreo virtuale prosegue a raccontare palle -perché questo ambiente di dementi non merita che lui dica la verità, oppure perché la sua reale identità è qualcosa di cui si vergogna. Oppure decide di convertirsi, “che tanto i Reform convertono tutti” - così gli ha detto l’immancabile amico ortodosso. A questo punto la palla è, per così dire, nel campo della comunità: laddove esiste una forte identità collettiva il percorso di conversione è anche un modo di aumentare la auto-stima di chi passa da uno stadio virtuale a uno stadio reale. Lo ho visto accadere diverse volte.
Ma se la comunità si auto-considera una versione alleggerita dell’ortodossia il percorso diventa contorto e, soprattutto, non porta da alcuna parte. Ebreo virtuale e comunità condividono la cosmologia di cui sopra, in cui il vero e integrale ebraismo (il centro) è quello degli ortodossi. E sia l’ebreo virtuale che la comunità sono in cerca di approvazione da parte dei rabbini ortodossi, che diventano una specie di Super-Ego, con cui non si ha alcun contatto reale e continuativo – il più delle volte un rabbino ortodosso non entra nemmeno in una sinagoga Reform; certo non per tre Shabbat consecutivi. Prendono così piede posizioni del tipo: questa sinagoga deve essere accogliente per tutti. Sottinteso: per tutti gli ortodossi, gli ebrei veri, che prima o poi giungeranno. Quindi dobbiamo aumentare il livello di kasherut, quindi dobbiamo introdurre una qualche forma di separazione tra uomnini e donne, quindi dobbiamo considerare ebreo chi è di madre ebrea, quindi dobbiamo limitare le conversioni. Questo lo ho visto accadere una volta sola; e spero di non vederlo più.

cosmologie

Un ebreo Reform non si riconosce: non porta la kippà 24 ore al giorno, non indossa abiti con gli zizzit… La nostra identità ebraica è quella del 90% degli ebrei: non esibita. Per me questo è un vantaggio, un di più. L’appartenenza vissuta nell’interiorità è senz’altro molto più affascinante e ricca delle uniformi e delle divise. Ma per qualcuno questo è un di meno. Nella bizzara rappresentazione che ha preso piede nei media italici l’Ebraismo è un universo che ha al proprio centro gli shtetl dell’Europa dell’Est, dove una massa di cenciosi proletari (con barba e zizzit) parla pensa e prega in yddish al mercato, mentre le donne stanno in casa. E tutto il resto è fuori dal centro, verso la periferia, ovvero è un di meno di Ebraismo. Un poco lontani dal centro ci sono i Lubavitch, che ahimé sono sionisti, che terribile concessione alla modernità! Poi un passo verso l’esterno e ci sono gli ortodossi, un passo ancora in fuori e ci si toglie la kippà, un altro passo e non c’è più la kasherut ecc. ecc. In fondo in fondo, nell’estrema periferia, inconfondibili dal mondo contemporaneo, ci siamo noi Reform che di ebraismo (o di cultura ebraica) abbiamo meno degli altri.
Questa rappresentazione seduce, anzi: irretisce, chi va alla ricerca di identità forti. Hai voglia a spiegare che l’Ebraismo non è questione di percentuali o di gradi, che o sei ebreo o non lo sei, che lo puoi diventare (e lo diventi solo se superi un dato confine), che non ci sono i gradi intermedi. Tutto inutile: il bisogno di identità forti va di pari passo con la autenticità immaginata. Ovvero: tanto tu senti il bisogno di avere una identità forte, da esibire tramite simboli esterni, tanto immagini che da qualche parte (tipicamente, in qualche villaggio polacco prima della Shoah) sia esistito un Ebraismo pieno, autentico e immune dagli sconvolgimenti che la storia porta con sé. Una specie di “quando i mulini erano bianchi” in cui l’osservanza della Torah traccia i confini di un ordine sociale e naturale al tempo stesso – cioè un ordine sociale immaginato come naturale. Con le donne, appunto, relegate al ruolo di madri e mogli e gli uomini che portano i pantaloni. E la barba. E hanno gli tzitzit
Questa fantasia collettiva potrebbe essere uno dei casi in cui la cultura del narcisismo di matrice consumista, va di pari passo con le fantasie di matrice cattolica sulla storia come caduta dall’Eden nel peccato e della contaminazione: un incrocio di temi che secondo me è la caratteristica di fondo dell’ideologia italiana. Prometto di occuparmene.
Qui invece vorrei solo dire la tristezza che mi ispirano coloro che va alla ricerca di una identità (ebraica) forte e visibile e ne escono con indosso la divisa. Tristezza, perché svalutano enormente quello che sono o quel che sono stati fino al momento in cui han deciso di diventare “più osservanti”. A volte, non sempre, diventano “più studiosi”, il che non è affatto male – magari sarebbe meglio se si riuscisse anche a distinguere tra la Mishnah e gli aneddoti sulla vita del Rebbe…