martedì, ottobre 30, 2007

tradizione vuole che

Meron è una città nel Nord della Galilea. La tradizione vuole che vi sia sepolto Rabbi Shimon bar Yochai, cui viene attribuita la stesura dello Zohar. Nei pressi della tomba di Shimon bar Yochai si tiene ogni anno (a Lag ba'Omer) un pellegrinaggio, durante il quale si tagliano i capelli ai bambini. Ecco una foto del pellegrinaggio. Non è proprio nuovissima perché (stupoooooore!) non è che gli ebrei da queste parti sono arrivati per la prima volta negli anni Cinquanta, da Brooklyn.

In realtà mancano testimonianze dell'usanza precedenti il XVII secolo e sappiamo tutti che lo Zohar è stato scritto nella Spagna medievale. Cioé, lo sappiamo tutti tranne che la folla che si accalca a Meron e particolarmente mamme e babbi (ima e abba) che portano speranzosi il loro bimbo a farsi tagliare i capelli - cosa che, beninteso, fa bene ed è contro lo gnagnarà. Il mio prof di Talmud la chiama religiosità primordiale, facendo lo slalom concettuale tra il judgemental "patriarcale" e il paternalistico primitivo. E con buone ragioni: i sefarditi di questo Paese sono stati discriminati perché considerati, appunto "primitivi" dall'estabilishment ashkenazita.
In qualche modo speculare alla tomba di Shimon bar Yochai è la spiaggia di Tel Aviv.

Ora vi confesserò un segreto: il posto di Tel Aviv che mi piace di più è la stazione dell'autobus, perché serve per andarsene. Tel Aviv è una città mediterranea come Barcellona o Atene, con la stessa musica, gli stessi colori, lo stesso traffico e le stesse vetrine (che, francamente, sono ben cosa se paragonate a Londra o anche solo a Milano) solo che è tutto in ebraico, il che per una mezza giornata produce un certo straniamento. Poi basta. Ovviamente quando avevo qualche anno di meno le cose mi sembravano molto diverse e una festa sulla spiaggia di Tel Aviv era la cosa più bella del mondo, ho scoperto in questo modo Cheb Khaled e Noa, scusate se è poco, e un signore mi spiegava che Tel Aviv è il posto più bello del mondo.
"Yerushalaiim? Tu fumi? Betakh che fumi. Alla tua età tutti fumano. Ma non fumi ventiquattro ore al giorno, vero? Una sigaretta alla volta. Tu mangi? Barur, certo che mangi. Ma non mangi tutto il giorno, mangi a certe ore, segui un menu, il primo il secondo e tutto il resto. Uguale che preghi. A Yerushalaim preghi preghi e preghi. Tutto il giorno. Nella vita per ogni cosa c'è il suo tempo. Quindi io amo Tel Aviv, concludeva il signore i cui genitori erano nati in Russia e guarda come sono vissuto bene a Tel Aviv, i miei sono arrivati qui quando io ancora non c'ero e adesso ho più di ottant'anni. Dovunque ti volti ci sono ebrei. E' un posto unico al mondo" Io per un attimo ho pensato ai pogrom e alla Shoah e a Stalin e a tutte quello che ha significato per un ebreo russo nascere a Tel Aviv quando iniziava il ventesimo secolo. Quel signore mi ha fornito una convincente lezione di sionismo.
Da queste parti si usa pensare alla spiaggia di Tel Aviv, sempre affollata (anche di Shabbat, anche a Kippur) e con la skyline sullo sfondo, come ad un esito del sionismo socialista, quel movimento intellettuale e politico che voleva creare l'ebreo nuovo, che ovviamente non è uscito proprio come lo prevedevano i padri fondatori. Nel senso che per la gente che vive a Tel Aviv la religione ha ancora la sua importanza e sarebbe impossibile non celebrare il bar o bat mitzwa dei propri figlio. Beit Daniel, sinagoga progressiva, è da anni la sinagoga più popolare di Tel Aviv (notizia mai riportata dai media ebraici italiani), e il successo si deve proprio alla domanda di Ebraismo degli abitanti della città più secolarizzata di Israele, che mal digeriscono i rigori di una ortodossia sempre più medievale. (Per i lettori italiani: ho l'impressione che dalle vostre parti non ve la stiate passando benissimo).
A prima vista la tomba di Simon bar Yochai, lassù a Meron, e la spiaggia di Tel Aviv, sulla sponda del Mediterraneo, sembrano separati da una distanza siderale. Ci sarà ovviamente chi da questa distanza deduce che gli ebrei non hanno nulla in comune - ovvero non esistono o non dovrebbero esistere (non è che i goim sono tutti antisemiti, ci sono anche quelli che fanno fatica capire gli ebrei). E ci sarà chi si compiace della varietà dell'esperienza ebraica contemporanea . che è un bel modo per non prendere posizione nei conflitti che sono attualmente in atto. In realtà c'è molto di comune tra la tradizione sefardita primordiale, e quella identità ashkenazi, che ti porta dalla scuola (dove ovviamente hai studiato Bibbia) alla spiaggia durante Kippur. Ed è che in ambedue i casi il retroterra è di tipo tradizionale. In cui l'autorità si legittima non in base al consenso, ma in base alla tradizione.
Chi è cresciuto nel contesto sefardita orientale non ha conosciuto una vita ebraica caratterizzata dalla democrazia. Anche per chi è immigrato dall'Europa dell'Est l'alya era essenzialmente una ribellione nei confronti della società (ebraica e no) tradizionale. L'Ebraismo è un prendere o lasciare, in cui la decisione finale è demandata alle autorità tradizionali, sia per chi va a Meron a portare i bimbi per il taglio di capelli (e prende), sia per chi va sulla spiaggia di Tel Aviv anche a Kippur (e lascia - o prenderà quando sarà più grande). E, soprattutto, questo Ebraismo è un Ebraismo sponsorizzato dallo Stato, che con concordati e intese con le autorità politiche ne rafforza le strutture (leggi: clero) più retrive e conservatrici. Perché sia a società ebraica tradizionale sefardita che quella ashkenazita non hanno conosciuto l'Emancipazione - e le rispettive autorità religiose ortodosse attuali fanno di tutto per metterla tra parentesi e fingere che non sia mai accaduta - immaginandosi una continuità artificiosa con l'epoca in cui i rabbini avevano davvero potere giudiziario ed esecutivo.
Diverse sono le cose per noi, il movimento più numeroso della Diaspora, il cui libro di preghiera non insiste particolarmente (eufemiiiiismo) sulla recitazione della seconda parte dello Shemah (la preghiera fondamentale dell'Ebraismo), perché democraticamente è stato deciso che non andava d'accordo con i nostri princìpi, perché confligge con la nostra esperienza ebraica e persino con le nostre speranze. Mishkhan Tefillah è uno straordinario esempio di democrazia e di coinvolgimento di uomini e donne ebrei a qualsiasi livello. Purtroppo, dove l'Ebraismo è mantenuto in vita dallo Stato, manca questa esperienza di coinvolgimento dal basso e in sinagoga si va principalmente per ascoltare il rabbino che ti dice di no.
Io, personalmente, sono ottimista. Per quel che vedo, le nuove generazioni di israeliani non hanno molto entusiasmo per una religione fatta di divieti e sentono un bisogno di coerenza intellettuale - che non vedono molto né nei sionisti socialisti, né nel rabbinato ortodosso, la cui presa sulla società israeliana è sempre più in crisi.

lunedì, ottobre 29, 2007

שבע

ריקוד הנביא - Profet dance

no smoking

Il dibattito scientifico sui danni del fumo è stato preso in considerazione anche dai rabbini di tutte le denominazioni; che quindi hanno deciso di proibire il fumo. Ma i fumatori ebrei non smettono.
L'ebreo fumatore liberale legge il divieto rabbinico, consulta la letteratura medica e poi, in nome dell'autonomia, continua a fumare.
L'ebreo fumatore Reform legge il divieto rabbinico, consulta la letteratura medica e poi, dal momento che la halakhà non è vincolante, compie la decisione informata di continuare a fumare.
L'ebreo fumatore Massorti legge con attenzione il divieto rabbinico, consulta la letteratura storica, formula una opinione favorevole ed una contraria e poi decide di continuare a fumare in casa, ma di evitare di fumare in pubblico.
L'ebreo fumatore ortodosso continua a fumare. Ha affittato i polmoni a un goy.

sabato, ottobre 27, 2007

datemi un test

Sì, uno di quei test che trovi on line, che servono a decidere da che parte stai politicamente, o la tua percentuale di Take That inside, quale è la capitale europea in cui ti troveresti meglio (quello lo ho fatto, e non sono d'accordo con il risultato). Spiegatemi dove devo collocarmi.
Sono un ebreo reform e vivo a Gerusalemme. Ma, contrariamente al 90 per cento degli ebrei reform che sono a Gerusalemme, non sono ashkenazita, cioé quando ho l'influenza non mi curo col brodo di pollo ma col nasello, dire tefillah per me non significa fare la gara chi fa l'assolo più lungo, di Shabbat (e non Shabes) mi metto il talled (e non il tallis) e ho intenzione di regalarne uno a mio figlio quando avrà sette anni (sì, sette, prima che entri a minyan, ovvero il bar mitzeh). Sono convinto che qualsiasi cosa sia più buona se ci sono i pinoli, non vado pazzo per il gefilte fish, non sento alcuna parentela con Bob Dylan. Nelle occasioni sociali mi capita sempre di incrociare gente che è nata (o i cui genitori e nonni sono nati) non tanto lontano da qui, perlomeno dal punto di vista climatico: Libia, Iran, Marocco, Italia, Suriname (e non Bielorussia, Ucraina o Polonia). Con loro condivido la convinzione secondo cui uno che passa la notte al tavolo da gioco e poi va in sinagoga è un bravo ebreo e un ortodosso è uno che di Shabbat va a fare Shachrit in sinagoga e il pomeriggio allo stadio. La havdalah di solito la facciamo in casa. Inoltre dondoliamo (poco) di lato e non davanti, solo in pochi di noi si mettono il tallet sulla testa e quando la sinagoga a Kippur si svuota per l'yzkor ci guardiamo intorno chiedendoci se per caso, barminnan, non ci sia qualcuno che è svenuto. E a Kippur il momento più importante è sotto il talled - tutta la famiglia, ovviamente. E poi c'è quella storia dell'uovo - se è fecondato, noi buttiamo via solo il pezzettino rosso, gli ashkenazi tutto l'uovo. Il Talmud offre sempre due soluzioni, la strada stretta e quella più larga e ho imparato che noi siamo per la seconda. Embrionalmente Reform (sì, pensate pure all'uovo).
E poi c'è quel viscerale, pre-politico, attaccamento ad Israele. Lo condivido con i pochi altri sefarditi studenti miei colleghi - pochini, devo dire: una che ha la mamma di Rodi, uno che ha il babbo egiziano... Non ci piace, bederekh k'lal, partecipare a discussioni su Israele. Non abbiamo molta teoria. Israele certo è importante perché è l'unico posto al mondo che non metterà mai limiti all'immigrazione ebraica, limiti che qualche decennio fa andava di moda mettere. Israele è un esperimento, uno Stato in cui gli ebrei hanno responsabilità politiche, mai tentato prima e che sta dando anche ottimi risultati. Ci emoziona la storia della Haganah e del sionismo socialista, che qui ha un certo grado di ufficialità, ma anche quella del Lehi e dell'Irgun, non fosse altro che perché quella è stata la gente che ha accolto i sefarditi in fuga dal Nord Africa. Per pessime ed ideologiche ragioni, certo. Quando c'è stato da fare la pace con l'Egitto, c'era il Likud, con i suoi elettori bottegai e piccolo borghesi. Che hanno studiato e sono diventati avvocati ed ingegneri. Ne ho conosciuti. Ben Gurion è un nome che a loro non dice niente. Menahem Begin è per loro un eroe.
Ora succede che la mia mailbox è tempestata da gente che si è fissata che io sarei razzista perché sono sionista. Ho degli amici che vorrebbero io cogliessi l'occasione per rimettere le cose a posto e fornire una spiegazione del sionismo secondo le coordinate ideologiche di sinistra - in Italia ho sempre votato DS, Verde o Rifondazione, non dovrebbe essere difficle, mi dicono. Penso a quanti chiedono dei palestinesi e del perché non ne parlo (ma io non parlo nemmeno dei giordani e manco degli egiziani, se per questo: sono oleh chadash, uscire dai confini di questo Stato per questo anno è una faccenda troppo complicata). Ma sottintendono che se veramente io avessi fede nei valori universalistici dell'Ebraismo, allora dovrei vedere le similitudini tra i palestinesi e gli ebrei - però per quel che vedo da qui non c'è nessun piano di sterminio, nessun forno crematorio, nessun esperimento sui bambini, nessun progetto di costruire uno Stato basato su una gerarchia razziale. A tutta questa gente mi viene da rispondere che io mi preoccuperò dei diritti dei palestinesi quando vedrò loro, i difensori dell'umanità universale, indaffararsi per gli ebrei che sopravvivono (male) in Siria, Iran, Libano e posti così. Per la loro, vivaddio, memoria. Gente che ha lasciato là tutti i beni ed è potuta uscire solo in mutande e che in questo Paese ha trovato pane, lavoro e un tetto. Gente come me. Cresciuti magari lontano dalla equazione automatica ebraismo=bolscevismo, che per quel che ne so era più cara agli antisemiti che agli ebrei. Ma certo cresciuti ebrei. Buoni ebrei. C'è qualcosa di male nel fatto che abbiamo trovato casa?

giovedì, ottobre 25, 2007

antistatalisti

Sono antistatalisti, ci spiega Moni Ovadia. Sono antisionisti. E picchiano le donne che non vogliono stare al loro posto. Failed Messiah offre delle interessanti considerazioni. Qui.

martedì, ottobre 23, 2007

12 חשון

יצחק רבין ז''ל

lunedì, ottobre 22, 2007

l'ineffabile quid

Nel secondo tomo degli Annali della Storia d'Italia Einaudi dedicato agli ebrei in Italia, avrebbe dovuto comparire anche un saggio dei curatori, Marino Berengo e Corrado Vivanti, a proposito dell'ingresso degli ebrei italiani nell'Università nell'età dell'Emancipazione. La prima fase del lavoro consisteva naturalmente nell'individuare le biografie da seguire. In una lettera a Vivanti, Berengo li definiva "correligionari", per poi aggiungere: "non mi viene altro termine in mente; è l'ineffabile quid che inseguiamo, non la religione, che ci accosta".

hey Joe ovvero sovranità

"Ma ci sarà pure una differenza tra ebreo e sionista!" bofonchia dall'altra parte di skype l'amico -non ebreo- intenzionato a "legittimare l'antisionismo", cioé a spiegarmi che non di antisemitismo si tratta. Ora, sta di fatto che questo concetto secondo cui a essere perseguitati sarebbero gli antisionisti a me sta sugli zebedei non da ieri, perché sottintende il famoso controllo ebraico dei media, tema che in rete sta avendo una certa popolarità grazie a quello che sembra proprio un provvedimento cretino del governo italiano, di cui si è fatto carico un tizio che si chiama Levi.
Beh sì, certo. Si può affermare che ebreo e sionista non sono sinomini, anche senza tirare in ballo masochisti patologici. L'esposizione più coerente di questo non-sionismo che ho sentito finora viene da un amico americano, che si trova da queste parti. Dice che Israele adesso gode della straordinaria protezione degli USA ("so far"). L'esperimento sionista mirava ad assicuare sovranità degli ebrei nel proprio Stato, e adesso questa sovranità non c'è. Dipendiamo dagli USA, cioé da qualcun altro.
Ora, mettiamo in chiaro una cosa: il mio amico -che si chiama Joe- non mette in questione il diritto degli ebrei ad avere uno Stato, non discute che, perlomeno fino ad un certo punto, questo Stato sia stata una buona idea, non pone questioni di doppia lealtà come quelli che ti chiedono "ti senti più italiano o più israeliano?" - che è la versione soft di: e se succede una guerra tra il mio Paese e quello statarello artificiale, fanatico e criminale di cui parlano i giornali, tu secondo me non ce lo hai mica il coraggio di sottrarti al controllo della poderosa lobby che si arrichisce con le guerre del mondo intero e diventare finalmente uno come me.
La posizione di Joe però ha un limite: viene dagli Stati Uniti d'America. Ovvero dal Paese che ha annullato la sovranità italiana per una serie cospicua di decenni, e il mantenimento di detta sovranità americana è stato pagato dall'Italia con una serie di bombe, che vanno da piazza Fontana all'Italicus.
Su Ustica e Bologna io continuo ad avere dei dubbi, il signor Gheddafi aveva preso poco bene la perdita del controllo su Malta - e comunque anche questa strage sarebbe da mettere nel conto che l'Italia ha pagato per essere alleata degli USA - o per aver rinunciato alla propria sovranità.
Voglio dire che uno Stato completamente sovrano, che non ha bisogno di alleanze per sopravvivere, non esiste. Per sopravvivere occorrono alleanze e l'alleanza con uno più forte di te significa, sostanzialmente, rinunciare a dei pezzi di sovranità. Così vanno le cose in questo mondo, di questi tempo; certo, negli anni formativi del Sionismo questa faccenda non era prevedibile. Israele può ringraziare che la protezione dell'amico americano non è costata la serie di morti che è costata all'Italia e di cui il mio amico Joe non era per nulla a conoscenza.
Adesso Israele ha un grande alleato che si chiama USA. Quando mio babbo era giovane il migliore alleato era la Francia e gli USA erano, perlomeno, scettici verso questo Stato degli ebrei socialisti. Le cose cambiano, le alleanze pure. Non mi sembrano buone ragioni per dichiarare chiuso un esperimento.
Joe ha detto che ci penserà e che, se passa in Italia, va a vedere se la lapide a Pinelli c'è ancora. E' una faccenda, questa del ferroviere anarchico che vola dalla finestra, che lo ha fatto particolarmente incazzare.

domenica, ottobre 21, 2007

yom ehad

Di sabato pomeriggio vado a visitare gli ospiti di una casa di riposo dalle parti di Katamon, uno dei quartieri decentrati di Gerusalemme. Sono uomini e donne che parlicchiano inglese (poco) russo, yddish, ladino ... e soprattutto ebraico, così mi esercito in questa lingua. Quando arrivo al piano vedo una foto che mi ricorda quanto è importante Israele: una soldatessa che aiuta una signora a mettere la maschera antigas. La foto è del periodo della Guerra del Golfo, quando in Italia facevamo le assemblee "contro la guerra" e dicevamo che Saddam aveva le sue ragioni. E la signora è ancora in giro per la casa di riposo, con il foulard intorno alla testa come le contadine russe con il vestito della festa (non chiamatela russa, è ghirusit, georgiana), è piuttosto acciaccata ma è viva ed è contenta di essere scappata ai gas di Hitler (che pure lui, chissà, aveva le sue ragioni) e a quelli di Saddam. Di solito mi siedo al tavolo cui è seduto mar Haim, il signor Haim, un signore di ottanta anni che fa finta di non esserci con la testa e in realtà non gli sfugge niente. E sto ad ascoltare le storie del signor Haim, punteggiate di haverì -amico mio- e che mi ricorda mio nonno, solo che invece di iniziae le frasi con "un bel giorno" (era sempre un bel giorno, per la generazione dei miei nonni) dice "yom ehad", e le finisce con "tov", anziché con "bon", come facevano i miei nonni, ma con la stessa espressione, lo stesso sospiro, la stessa pazienza, lo stesso sguardo. Mar Haim è nato a Casablanca.
Yom ehad mar Haim aveva vent'anni e tutti a Casablanca dicevano bisogna andare a Yerushalaim. Tov, dice lui, andiamo a Yerushalaim. Lui e altri quattro ebrei trovano un passeur che li fa camminare per giorni e notti. Casablanca è una città grande, se sei capace trovi tutto, trovi anche un passeur che ti porta dove vuoi. Pagare, certo, bisogna pagare, haverì. Lunga strada, haverì, da Casablanca a Yerushalaiim. A notte fonda si trovano in un cimitero ebraico, e il passeur gli dice; siete arrivati, fuori i soldi. Loro pagano e tov. Esausti, dormicchiano per qualche ora tra le tombe ma alla mattina si rendono conto che il passeur non li ha affatto portati a Yerushalaiim. Sono in un cimitero ebraico di un paesino algerino appena al di là della frontiera. Chissà quale lungo giro in mezzo al deserto e di notte ha fatto fare il passeur. Giornate intere a camminare nel deserto e dire stiamo andando a Yerushalaim. E loro a crederci. Da lì ci sono quelli incazzati che tornano a Casablanca mentre mar Haim in un paio di settimane riesce ad arrivare a Parigi. Tov, haverì. E da lì a Yerushalaim, come ha fatto me lo spiega un'altra volta.
Arrivato a Yerushalaim, mar Haim ha trovato lavoro come autista. Nessuno prendeva il lavoro di autista, tov, lo ha preso lui. Chevrolet, marca internazionale, lo aveva guidato anche a Casablanca. Doveva passare per Meah Shearim, dove ci sono i datiim. Haverì, in Marocco non ho mai visto gente del genere. Sporchi, che non curano i bambini e vivono di carità. Non sono buone cose, non sono case onorate. Un uomo se ha onore deve lavorare per sé e la sua famiglia. Yom ehad arriva Sukkot. E Meah Shearim è tutta piena di sukka. E mar Haim deve passare con il suo Chevrolet, marca internazionale. Tov. Yom ehad, stufo di sentirsi gli accidenti di chi riceveva le consegne in ritardo e ugualmente stufo di prendersi minacce di multa, mar Haim va dal suo capo e gli dice: come passo per Meah Shearim che c'è tutta quella roba di mezzo? E il boss, che era un irakeno, gli dice in arabo: "Il Signore ha inventato il fuoco". Tov. Mar Haim ha cambiato lavoro, che non voleva rogne con quelli vestiti di nero, ma soprattutto con il Signore.

venerdì, ottobre 19, 2007

destra o sinistra

La parasha di questa settimana è Lekh lekha, con la quale inizia la storia di Abramo. Ne parlavamo tra studenti, perché qui si usa parlare di viaggio verso the rabbinate, di spiritual journey ecc. E ci si chiedeva in cosa siamo cambiati, in questi mesi. A differenza dei miei colleghi americani, che quando accendono skype di là dall'Oceano è notte o giù di lì, io quando mi collego al PC trovo più o meno le stesse persone che trovavo in Italia. Un contatto più stretto? Non so.
Questi amici non sono in viaggio con me. Un poco alla volta mi rendo conto che ci sono parole a cui diamo significati diversi. Tipo, chessò, sionismo, pensavo girando al cimitero di Kinneret. In Italia c'è un gran daffare per decidere se il sionismo di sinistra o di destra, con una parte che sottolinea le alleanze imbarazzanti dell'altra - e più passa il tempo in cui sono lontano dall'Italia, meno mi interessa questa battaglia. Mi pare uno sforzo classificatorio che raggiunge il culmine quando si può distinguere tra sionisti di destra e sionisti di sinistra. Il sogno supremo, immagino, sarebbe di metterli l'un contro l'altro e di vedere, finalmente, qui nella Terra Promessa, la destra sconfitta dalla sinistra. Non da un centro-sinistra come quello all'italiana, da una sinistra con bandiere rosse, inni alla fratellanza dei lavoratori e iconografia di stampo sovietico. Bene, tenetevi forte: da queste parti le cose non stanno affatto così.

Il principale discrimine, ora come ora, non è tra destra e sinistra, ma tra i partiti sionisti (destra e sinistra) e quelli antisionisti (i cosiddetti religiosi), il quale è un campo che si va sempre più frammentando. Aprendo a caso Haaretz scopri che il destro Lieberman vuole, nientemeno, conversioni rapide per i nuovi cittadini e che i sionisti religiosi istituiranno propri procedimenti per la conversione, approfondendo la rottura nei confronti del rabbinato centrale.
Pluralismo e cittadinanza sono le questioni centrali, da queste parti. Il nascituro partito democratico mi sembra abbia altri obiettivi, si vede che in Italia piace parlare di altro. Ma, per favore, rendetevi conto che le vostre chiacchiere sono, appunto, chiacchiere. Non unità di misura con cui decidere se questa sponda del Mediterraneo è a destra o a sinistra.

giovedì, ottobre 18, 2007

cimiteri


Nel cimitero di Kinneret sono seppelliti i grandi del Sionismo: la poetessa Rachel, Ber Borochov, Moshe Hess e così via. Tutti personaggi che hanno "fatto" la seconda alya, che ha portato qui, prima della Prima Guerra Mondiale, decine di migliaia di immigrati motivati, socialisti e di alta formazione intellettuale. Tutti determinati a costruire l'ebreo nuovo, rigenerato da una rivoluzione sociale, politica e culturale. Autori della rinascita dell'ebraico, fondatori dei sindacati... per questa gente, le cui figure di spicco qui hanno condotto una vita straordinariamente grama, gli ebrei erano prima di tutto un popolo - qualunque cosa significhi l'espressione- che doveva emanciparsi sia dalla società capitalista che dall'oppressione religiosa. Nei loro progetti avrebbe dovuto essere sostituita da quella specie di religione civica dello Stato di Israele, che è il fondamento dell'ideologia laburista.
Come è andata a finire lo sappiamo tutti (anche se là in Italia sembra lo sappiano in pochi): la religione ebraica non è affatto scomparsa. Quando questo Paese è stato in pericolo, ovvero durante la guerra del Kippur, l'esercito ha saputo dove andare a prendere i soldati - in sinagoga. Siccome gli israeliani vanno in sinagoga, il Paese si è salvato - che poi non fossero le preghiere a far vincere la guerra, questo è un altro discorso, d'altronde non sono molti gli ebrei che vanno in sinagoga per pregare. Ed è piuttosto malandato anche un altro caposaldo dell'ideologia laburista, quello che suona così: noi e i palestinesi siamo compagni, per questo ci possiamo capire. Che i palestinesi capiscano nessuno lo mette in dubbio, che abbiano desiderio di capire, ecco ... lasciamo perdere.
Nota che per malandato intendo che non ha più grande forza di mobilitazione, certo non la ha qui a Gerusalemme, dove la popolazione sefardita non è esattamente bendisposta verso il progetto di sostituire la nostra religione antica e familiare con la fede nelle magnifiche sorti progressive, che nel resto di mondo è appena passata di moda.
Ho camminato per ore dentro questo cimitero, sulle rive del lago di Kinneret; non avevo macchina fotografica, accontentatevi di roba presa qui. Mi ha colpito una cosa: sulle tombe non ci sono immagini. Per essere gente che voleva liberarsi dell'oppressione religiosa, i sionisti della seconda alya avevano ben presenti le proibizioni rabbiniche - però si vantavano di aver rotto il secolare tabù che impediva agli ebrei di impugnare armi; è nella seconda alya che nasce la Hashomer. Ho pensato a cimiteri ebraici italiani, dove vedevo persino delle statue - in una città emiliana pure quella di uno dei "martiri fascisti". Ebrei fascisti, armati e con una statua sulla tomba: forse è questa quella cosa che chiamano assimilazione. Eppure anche il martire fascista emiliano era ebreo. Ebree pure le figlie, che venivano in sinagoga un paio di volte l'anno, con un distintivo con fiamma tricolore sull'angolo del tailleur.
Quando si esce dal cimitero ti rendi conto che non puoi nemmeno fare la netillat yadaim. Niente rubinetti, niente acqua, niente che possa segnare il tuo passaggio dal cimitero al fuori: solo un muro, e neanche tanto alto. I sionisti della seconda alya sapevano cosa distruggere, ma non avevano ben presente con cosa sostituirlo. Il cimitero di Kinneret, così pieno di storie tragiche è anche un luogo molto indeterminato. Sogni e progetti che erano qui raccolti fanno parte della storia, del passato (forse persino della memoria) di tutti. Sionisti religiosi di destra, comunisti, laburisti di varia gradazione, Ortodossi e Reform ... tutti prima o poi visitano il cimitero di Kinneret, spesso in gruppi organizzati, come parte di qualche tyul (gita) che tocca i luoghi storici del Sionismo -poco lontano da qua c'è Degania, il primo kibbutz , C'è anche chi ci viene da solo, per esempio per lasciare un sasso sulla tomba di Naomi Shemer.

Lo fanno in molti.

un gran shalom a Ruggero

- ma ciò che conta è che ti ho ritrovato
- grazie,!
- non si ringrazia un sentimento che si prova
- si ringrazia chi te lo dice!
- no si ringrazia D_o che ci ha fatti incontrare
(...)
- ho pieno di ricette kasher sul mio blog he he

mercoledì, ottobre 17, 2007

sciopero

Da qualche giorno qui va avanti lo sciopero degli insegnanti. Qui la foto di una manifestazione di studenti in supporto. Ci sono pure i boy scouts.

martedì, ottobre 16, 2007

16 ottobre

Le SS ci spiegarono poi che i giovani erano stati subito eliminati perché immediatamente qualificati di carattere pigro e quindi non adatti al lavoro. Invece un'altra SS mi disse pochi giorni dopo che erano stati subito eliminati perché erano ebrei badogliani che avevano aiutato il re, anche lui di stirpe ebraica ad abbattere Mussolini.
citato in G. Debenedetti, Sabato nero

domenica, ottobre 14, 2007

sei sicuro di essere svizzero

YOU KNOW YOU ARE SWISS IF
1. you complain if your bus/train/tram is more than 5 minutes late. Make that 1 minute
2. you've ever been confused with a Swede
3. you laugh when Americans believe that Swiss Miss is a Swiss product, but then have no clue that Nestlé and Rolex ARE
4. you get frustrated if you go grocery shopping abroad and there aren't at least 10 different kinds of chocolate and 15 kinds of cheese available
5. you have learned three to four languages and think this is completely normal
6. you have ever been asked - upon stating your nationality - whether you live in the mountains and whether you can yodel
7. you can pronounce "Chuchichäschtli" and you know what it means
8. you have ever been asked who the president of Switzerland is and then failed miserably trying to explain why you've lost track
9. you know what "Röschti" are and you have crossed the "Röschtigrabe" at some point
10. you went to a state-funded ski camp every year with your classmates in high school
11. to you, skis are like the extensions of your feet, because you've skied since you could walk
12. you are amused when people ask you what language is spoken in your home country and/or you have to explain that "Swiss" is not a language, that there are four national languages and none of them is called "Swiss"!
13. you owned a Swatch growing up... or still do
14. you've ever seen "Sandmännchen" dubbed into Romansch
15. as a female, you give all your friends three kisses on the cheeks as a greeting
16. you love Migros and you swear that some of their products are better than anything you've ever seen elsewhere
17. you've ever been asked by your non-Swiss friends to intervene in a fight and used "hey, I'm Swiss" as an excuse not to
18. your country has six different public television channels in three different languages - and you don't think this is unusual
19. you get amused when you see Swiss German people being subtitled on German television
20. you firmly believe it is more important to do things accurately than to do them quickly
21. you were legally allowed to drink beer and wine at the age of sixteen
22. you walked to kindergarten without supervision, wearing a large orange triangle around your neck
23. you think it's normal that everyone has a bunker underneath their house, or is registered for one of the public bunkers under the school building, for emergency situations... by the way, here's a fun thing to do: invite over some of your foreign friends (Americans make very good candidates) and take a picture of the look on their face when they SEE the bunker. Priceless!
24. when being asked to explain how certain things work in your country, you have to use the phrase "it differs for each canton, so..."
25. you are asked to vote on a "Referendum" or "Initiative" at least 3 or 4 times a year
26. you are used to drinking from any public fountain in the street unless there is a warning sign that says "no drinking water"
27. you grew up believing all cows must wear bells
28. you think that driving somewhere for four hours is a hell of a long time
29. you get slightly irritated or at least confused if your foreign visitors ask to see a chocolate factory
30. you know what Betty Bossi books and products are and have bought one
31. you know someone that collects the tin foil lids from coffee cream tubs
32. you don't see where the problem is when every male citizen who has been to the army has an assault rifle under his bed
33. you have to pay twice the price for museum entries because you're not a citizen of the EU, although you live in Europe!
34. you are in a non-European country and can hear people talking Swiss German and just go up and strike up a conversation with a complete stranger
35. no matter how much of a "bad-ass" you think you are, you will still pick up your candy wrapper off the floor if an old lady asks you too
36. you think everything is cheap abroad compared to Swiss prices!

Benvenuti nell'unico blog ebraico che ha una sezione umoristica scritta da svizzeri. Ahe.
(thanks to Batshewa)

sabato, ottobre 13, 2007

band's visit


Per via di un errore di pronuncia una banda militare egiziana che era stata invitata a suonare a Petach Tikwa -località un po' scicchettosa-, si trova catapultata in uno sperduto paesino israeliano, che si chiama Beit Hatikwa. Essendo dei ragazzi simpatici (anche se un po' comici, con le loro divise pompose) legano bene con gli abitanti e nasce persino una storia di amore.
Come molti film israeliani recenti, il tema principale sono le barriere linguistiche. Memorabile la versione arabo-ebraica di Summertime, con accompagnamento di violino. Il film doveva essere presentato al Festival del cinema di Cairo, ma per via di una scena di amore tra una israeliana e un egiziano, la proiezione è stata annullata. Stessa storia, per pressione di un sindacato egiziano, al Festival di Abu Dhabi, dove Band's visit avrebbe anche potuto essere il primo film israeliano mai presentato.
Così vanno le cose, in questa parte del mondo.

venerdì, ottobre 12, 2007

più d'uno

-Hai visto quelli de Il manifesto?
-umpf, CCVCMNF (cosa cazzo vuoi che me ne fr...)...
-No, aspetta, Israele non c'entra.
-Ah, no? Allora dimmi.
-Hanno fatto l'album di figurine
-Eh?
-Sì, le figurine dei grandi del comunismo. Ovviamente Panini Modena.
-A-ha. Se mi capita in mano quell'album ci scrivo minian sulla copertina. Anzi: minianim, che ce ne sarà più d'uno, suppongo.

martedì, ottobre 09, 2007

king withouth mashiach

Prendiamola così: dai Chabad si può uscire. Matisyahu, per esempio, anche se non mi pare se ne sia parlato molto in Italia, vai a sapere perché.

lunedì, ottobre 08, 2007

החגיגה נגמרת


לקום מחר בבוקר עם שיר חדש בלב
לשיר אותו בכח, לשיר אותו בכאב
לשמוע חלילים ברוח החופשית
ולהתחיל מבראשית.

e se non potete leggere l'ebraico, non è un problema mio.

domenica, ottobre 07, 2007

rehov Ethiopia

Rehov Ethiopia è una via di Gerusalemme più o meno dalle parti di Meah Shearim, ma non è percorsa dai turisti in cerca di foto tipo-shtetl. L'edificio principale (che dà il nome alla via), è la chiesa etiope e non qualche yeshivah ultra-ortodossa, frequentata dai famosi "ebrei autentici".

Proprio di fronte alla chiesa etiope c'è la casa in cui ha vissuto Eliezer ben Yehuda, l'individuo visionario che è all'origine della rinascita dell'ebraico. Beninteso, l'ebraico da queste parti si parlava anche prima che Eliezer ben Yehuda si trasferisse qui dall'Europa, a scrivere i primi sei volumi del suo vocabolario. Era una specie di lingua franca, comunque molto scarna, con cui i gruppi di ebrei comunicavano tra di loro. Ma è stato grazie a ben Yehuda che è diventato possibile chiedere un biglietto del tram in ebraico, o scrivere un testo universitario di ingegneria. Ed è difficile negare che questo è uno dei miracoli del nostro tempo.

In quel riquadro a destra ci dovrebbe essere una targa celebrativa. Ma rehov Ethiopia, come ho detto, confina con Meah Shearim.

E i signori che abitano da queste parti non sono ammiratori del miracolo della rinascita dell'ebraico. Per loro ben Yehuda era un individuo pericoloso e blasfemo, pertanto tutte le targhe commemorative sono state danneggiate e strappate.

Rimane quindi, questo spazio vuoto, perché quei signori hanno le idee chiare su cosa è permesso e cosa no. Qualche buontempone li ha definiti, con ammirazione, "antistatalisti". Ci sarebbe da chiedere agli scrittori e agli intellettuali israeliani una opinione su questo genere di antistatalismo.

sabato, ottobre 06, 2007

un continente di a-ha

Quando ci troviamo, gli americani mettono insieme delle folle, noi europei sempre dei gruppetti. Va a sapé perché. Counque stasera siamo un piccolo gruppo di israeliani e persone che pensano se diventare israeliani, tutti cresciuti in Europa. Ovviamente si parla anche di politica. Che è una passione tipicamente europea.
Così il discorso cade sul candidato sindaco di Gerusalemme. Un tizio che farebbe l'imprenditore, che ha fatto un sacco di soldi, che ama vantare le sue origini umili, che è ferocemente anticomunista, che è in odore di mafia e traffici illeciti, che è diventato molto popolare dopo aver acquistato una squadra di calcio e averla portata a vincere campionati. E che adesso vuole entrare in politica. La reazione di noi italiani è sai che novità. E via a parlare di Berlusconi. Finché qualcuno, che sarebbe pure un compagno, ti interrompe e dice: "Meglio Berlusconi capitalista di quello che avevate prima, quello di sinistra corrotto, che faceva affari con gli arabi [e qui per un attimo ho pensato: ce l'ha con le coop rosse?] e che poi è andato a finire in Tunisia".
Ecco, e qui ho pensato: da dove cavolo inizio a spiegargli la gloriosa storia del partito di Nenni finito poi nelle tangenti? Provo a immaginare come raccontare tutta la faccenda. "C'era una volta la Democrazia Cristiana, che era brutta e cattiva, e poi c'era il Partito Comunista che non poteva vincere le elezioni, così se ne è fatto forte il Partito Socialista in cui sono entrati degli imprenditori molto corrotti..." E qui, lo so, arriva la domanda: E gli ebrei cosa votavano? Come cavolo faccio a spiegare a uno che viene dalla Russia sovietica che sì votavano (votavamo) comunista (o a volte un po' più in là). Votavamo lo stesso partito che ha applaudito all'invasione dell'Ungheria. Come lo spiego che in Italia qualcuno era comunista, a lui, che i comunisti erano quelli che ti stampavano un segno di riconoscimento sul passaporto se eri ebreo, che si divertivano a renderti la vita impossibile, che avevano il potere ed il potere aveva deciso che eri una spia e le spie, in tempo di guerra, vengono controllate molto attentamente. Come gli spiego, a uno della mia età, che quando ero giovane io era tutta un'altra storia. Una storia troppo lunga, forse troppo privata e forse diventata troppo spudoratamente pubblica (come in uno dei film brutti di Nanni Moretti). Un universo di valori di segno che sapevi positivo, e adesso vedi come chiuso dentro una parentesi e che qualcuno ci ha messo il segno meno davanti.
E quindi ho detto solo un paio di fesserie sul fatto che Berlusconi era amico di Craxi e che l'amicizia in un paese mediterraneo si chiama mafia. Tipo i russi in Israele, non so se hai presente. Già, tutti hanno presente. La storia del kaddish per Stalin me la tengo per un'altra volta.
Poi la conversazione si è spostata. "(...) perché in Svizzera funziona così. Un paio di anni fa, in pieno centro a Zurigo, è stato accoltellato un rabbino. La televisione apre spiegando che non è antisemitismo, che l'accoltellatore è un pazzo. Quindi non andrà in prigione ma in manicomio, dove verrà curato. E poi esce. A Ginevra danno fuoco a una sinagoga. La televisione apre spiegando che l'attentatore è un pazzo, non un antisemita. Quindi non va in prigione ma in manicomio, dove verrà curato. Ed esce. Questa, la Svizzera. Allora tu non sai mai se dire che sei ebreo. Quando dirlo. Come dirlo. A chi dirlo. Ed essere ebreo diventa come il peso di uno zaino che ti porti dietro, che gli altri non vedono".
La Svizzera è il Paese da cui viene questa amica. E' il Paese dove ho dei parenti. Ed è anche il Paese che stava a pochi kilometri dal frammento di provincia dove ho passato gran parte dell'adolescenza. E quello che ha provato questa amica è esattamente quello che ho provato io. Chi lo sa, ci saranno ragioni geografiche. "E' il Paese degli A-ha. Sei ebreo? A-ha!, ti dicono. Oppure A-ha! Sei ebreo". E tu non sai mai cosa significa. Cosa può nascondersi dietro quell' a-ha! Forse, sconfinata ammirazione. Forse, sospetto. Forse un misto di tutte e due. O la ammirazione che si tramuta in qualcosa di altro non appena viene scoperto che sei una persona normale.
Concordiamo. Siamo, dicevo, un gruppo piccolo, giudeo-grafia europea. Chi è cresciuto in Inghilterra, chi è nato in Germania, chi è immigrato da bebé in Austria (da Bukhara), chi è nata, appunto, in Svizzera. E siamo tutti d'accordo. Abbiamo sentito molti di quegli a-ha!
Il primo A, secondo me, è un omaggio alla storia degli ebrei in Europa. A ghetti, genio, borghesia, emancipazione e persecuzioni. Poi viene il secondo ha!, quello con la acca e il punto esclamativo: quello è Israele. E in mezzo c'è un trattino, una non lettera. Una pausa, un silenzio. Una cesura. Perché -comunque- là in Palestina (cioé, qua, in Israele) c'era qualcun altro, prima, e noi siamo venuti da conquistatori. Questa fissazione su chi c'era prima è tipico dello stile europeo, con cui là in Europa si pensa di risolvere questioni secolari, appellandosi a una specie di diritto di precedenza. D'altronde è proprio in Europa che si sono combattute guerre al grido di "c'ero prima io!".
E quindi in Europa, dopo la storia A viene una cesura e poi qualcosa di più forte e assertivo. Arrogante come un punto esclamativo fuori posto. Cioé Israele. Così ci vedono, da quelle parti. Saranno le famose radici cristiane. Il Cristianesimo si presenta come superamento dell'Ebraismo. Come dire che i cristiani non possono fare a meno degli ebrei. La mancata conversione degli ebrei è un grosso problema teologico per molti cristiani. Il fatto che non ci convertiamo alla vera fede deve in qualche modo essere spiegato, e la spiegazione più semplice è che ci guadagnamo qualcosa, nel rimanere ebrei. Ed ecco così comparire il mito del potere ebraico.
A-ha!, ecco perché sei ebreo - e non cristiano. Ma per condividere la fede questo mito non c'è mica bisogno di essere cristiani, di credere alle radici cristiane dell'Europa. Basta sentirsi deboli e diventa naturale immaginare che c'è qualcuno più forte di te. A-ha!, ecco perché sei ebreo (e non comunista). Perché ci guadagni. Perché la superpotenza ti appoggia. Perché dentro la superpotenza, a Hollywood o nella First Avenue comanda gente che è più simile a te che a me. Comandi tu. Avete vinto la guerra e adesso quelle persecuzioni a hanno il punto esclamativo. Ebreo. A-ha!
Oggi la stampa israeliana dà notizia delle nuove sparate di Ahmadinedjaad, che chiede agli europei di riprendersi gli ebrei, perché la Shoa -se poi c'è stata- è tutta una colpa dei soli europei. Per quel che vedo da qui né Corriere né Repubblica sembrano dare grande spazio alle sparate del presidente iraniano. Però Sergio Luzzatto, che sarebbe di sinistra, pubblica una recensione in cui parla di Ben Gurion che strumentalizza sei milioni di morti e che si inventa il nazismo arabo. Evidentemente i poveri allievi di Sergio Luzzatto ignorano molto di quel che la Seconda Guerra Mondiale ha significato fuori dall'Europa. Intanto altri compagni si affrettano a firmare petizioni che paragonano Gaza (dove, fino a prova contraria circolano armi e la fazione vincente celebra persino matrimoni) allo sterminio di Auschwitz. Che è Europa. A-ha.

martedì, ottobre 02, 2007

למי למי



Adesso c'è un altro giro di feste, poi c'è Shabbat. Siamo allegrotti e vi regalo un pezzo di Kasablan, vero e proprio film di culto che ha fatto e fa impazzire un po' tutti.
Ci sentiamo tra un po' di giorni.

bandierismi

Mi accorgo che tra i lettori di questo blog ce ne è qualcuno che ignora il significato dell'espressione bandierista. Si tratta di una delle pagine più dolorose dell'Ebraismo italiano. La nostra bandiera era la rivista di un gruppo di ebrei fascisti e antisionisti, che si trovarono a fronteggiare il periodo delle leggi razziste e gli anni dell'invasione tedesca. Non si trattava di personaggi di secondo piano: occorre ricordare che i dirigenti delle comunità italiane erano in buoni rapporti con il Fascismo -e come avrebbe potuto essere diversamente, in un regime totalitario? Dopo l'emanazione delle leggi razziste, i bandieristi pensarono bene di adottare una linea di consenso. Il loro ragionamento era il seguente: tra le ebraiche fila ci sono dei sionisti (o degli antifascisti); occorre isolarli, così riconquisteremo la fiducia del Regime. Mi pare anche che venne progettata una spedizione squadrista. Come è finita? Per farla molto breve, gran parte di quei signori furono inghiottiti dalla Shoah. A poco valeva aver preso le distanze. Da allora, nel lessico ebraico italiano, bandierista è chiunque voglia isolare altri ebrei, di solito sionisti, accusati di irritare i non ebrei. O di causare antisemitismo, con il loro estremismo, radicalismo o rifiuto del dialogo.
Io trovo che in Italia, nei confronti dei sionisti religiosi, o dei coloni (che poi non sono la stessa cosa), il bandierismo è una tentazione a cui non ci si riesce a sottrarre. Loro si presentano come la somma più coerente degli attributi ebreo e sionista. E si fa l'errore di credergli. Chi vive nella Diaspora, particolarmente in realtà molto minoritarie (e, diciamolo pure, in cui il termine sionista non ha più una buona fama), può rimanere affascinato da questa retorica, da quel rifiuto del compromesso, da quella identità integrale. Il colono diventa così l'ebreo all'ennesima potenza.
Sta di fatto che in Italia (e dopo l'Ottantanove, particolarmente, a sinistra) le identità integrali piacciono giustamente poco, ed il sospetto di portarsene una indosso piace ancora meno. Così viene naturale prendere le distanze. Di più: trasformare quella distanza in un atto di accusa. Questo è esattamente il punto in cui l'analisi, per così dire, sbarella. Il sionismo religioso diventa l'ostacolo alla pace non con i vicini di Israele (che è una posizione insostenibile: piaccia o meno, la pace con l'Egitto non è una vittoria dei laburisti) MA con la sinistra italiana. Come se, dicendo che i coloni sono brutti e cattivi si potesse annullare una storia di incomprensioni che inizia -perlomeno- con la Guerra dei Sei giorni, che comprende la famosa bara vuota lasciata davanti al Tempio Maggiore di Roma una settimana prima della morte di Stefano Taché e che arriva a pericolose commistioni con l'estrema destra - fortunatamente segnalate, forse contenute, mai cancellate.
Solo che i sionisti religiosi se ne strasbattono, sempre per così dire, di quel che pensano di loro quelli che rimangono nella Diaspora. Secondo la loro prospettiva la Diaspora esiste solo per finire, prima o poi. E per cui dargli addosso, dall'Italia, ha politicamente lo stesso senso che ha parlare del costo delle patate durante una conferenza sul volo delle farfalle, basandosi sul noto assioma del battito d'ali a Shangai e del tifone in Marocco. Se poi serva a legittimarsi agli occhi della sinistra che è sempre più affezionata all'antisionismo, questo non lo so, ma anche MMAX non sembra molto ottimista.
Soprattutto, mi pare che la sua risposta non colga il punto essenziale dell'articolo del Jerusalem post che ho citato. Che è questo: in Israele (e anche in Italia) gli ortodossi sono privilegiati dallo Stato, che li considera i rappresentanti ufficiali dell'ebraismo, per una serie di questioni che vanno dallo stato civile alla kasherut. Non esiste una legge che decreta questo stato di cose, ma una serie di decisioni, di valore (più o meno) costituzionale, che pertanto possono essere modificate con strumenti giuridici e politici - e difatti, lo sono. Di questo stato di cose i sionisti religiosi, che sono tutti ortodossi, si sono giovati, e da questo nasce quella impressione di "benedizione" rabbinica nei confronti degli insediamenti. Poi è successo lo sgombero da Gaza e prima ancora si sono affermati nel rabbinato centrale posizioni antisioniste, rifiutano legittimità allo Stato di Israele. L'esistenza di un rabbinato centrale, di un diritto di rappresentanza per tutto l'Ebraismo, riconosciuto dallo Stato a una entità che ne rappresenta solo una parte, è il problema più grave che riguarda Israele oggi, e che ha non poche conseguenze anche nella Diaspora. L'Italia non vive una situazione molto diversa; ed è una situazione da cambiare al più presto, se non si vuole che la storia degli ebrei italiani venga stritolata dal binomio Memoria (i c.d. laici, per i quali il passato è tutto) - Religione (gli ortodossi, che si sono arrogati il compito di controllare il futuro). O che finisca del tutto.
Un'altra volta spiegherò perché, secondo me, qui in Israele i laburisti non hanno mai voluto affrontare il problema, nemmeno quando era al massimo dei consensi e la costruzione dell'ebreo nuovo sembrava quasi completata. Per essere poi interrotta dalla guerra del Kippur, vinta perché si è saputo dove trovare i soldati, ovvero in sinagoga. E' una storia ben nota. Ma restiamo al presente. Cogliendo l'occasione della shemittah, i sionisti religiosi organizzano, pare, un proprio sistema di kasherut, per prodotti che evidentemente hanno un mercato. Siccome quel mercato serve a mantenere i rabbini, è del tuto prevedibile (ragiona così l'articolo del Jerusalem Post) che questi rabbini costituiranno i propri Batei Din per questioni tipo i divorzi, le conversioni ecc. Allo stato attuale delle cose il rabbinato centrale non può contrastare questo sviluppo. Ciascun israeliano potrà quindi scegliere non solo tra diversi marchi di kasherut, ma anche il rito matrimoniale che sente più consono, che magari comprenda condizioni più egalitarie per quel che attiene al divorzio.
Stando così le cose, va incoraggiata ogni sfida al monopolio del rabbinato centrale, e a questa bizzarra ibridazione tra religione e politica, che porta alla creazione di un clero ebraico - una bella contraddizione in termini, per una religione che si vanta di essere egalitaria e di non conoscere mediazioni tra uomo e Dio. Un clero ebraico che per di più è pure legittimato dallo Stato - e quando la religione si mischia con lo Stato, abbiamo quel fenomeno noto come adorazione dello Stato, ovvero Fascismo. Casualmente, anche in Italia l'istituzione di una Unione delle Comunità Israelitiche, con poteri ben definiti nelle mani dei soli rabbini ortodossi è proprio una idea dei fascisti. E perché la sinistra in Italia non abbia posto tanto impegno per porvi rimedio è una questione che magari spiegherò un'altra volta. Ma è una questione urgente.

le misteriose vie del pluralismo

La shemittah è una questione -tanto per cambiare- complicata, che nasce dalla prescrizione biblica di lasciar riposare la terra di Israele ogni sette anni. Le librerie di questa città sono piene di libri sulle implicazioni di questo divieto (cioé, come e quanto gli ebrei in Terra di Israele lo abbiano osservato prima e dopo il sorgere dello Stato di Israele) e le librerie datì hanno anche un sacco di testi su come applicare queste norme al giardinaggio -che è una roba (il giardinaggio, dico) che a me faceva girare le scatole quando ero sedicenne e mio babbo mi informava che c'era da tagliare il giardino - oh, l'ellittico lessico familiare.... Insomma, chiedo venia, ma sono allergico a questo particolare settore della halakha. Però devo dire che mi piace la sensibilità ecologica che pervade la nostra tradizione, e viene anche riscoperta anche da noi progressivi - io ho spesso trovato imbarazzante il secondo paragrafo dello Shemah, con le idee di ricompensa e punizione, eppure in tempi di riscaldamento globale si rimane colpiti da quelle parole: "se seguirete le Mie vie darò la pioggia a suo tempo".
Con il ritorno della sovranità ebraica sulla Terra di Israele, queste questioni sono uscite dall'ambito teorico ed è diventato famoso lo heter mechirah, la vendita fittizia e temporanea della terra a un vicino non ebreo, che si presta a fingere di fare l'acquirente e ovviamente viene pagato. Se ci si pensa bene è un buon modo di costruire un futuro di pace, l'agricoltura non ama la guerra, particolarmente se distrugge il raccolto tuo, o la possibilità per te di ricevere una parte dei profitti del raccolto - che è poi quello che i non ebrei hanno da guadagnarci in questa faccenda. L'espediente venne inventato da rav Avraham Kook in occasione della carestia del 1910. Ah, lo sapevate che gli ebrei erano tanti da queste parti già prima del 1948? No che non lo sapete, per cui prima o poi lo spiegherò. Comunque nel 1910 c'erano molti agicoltori ebrei, gli ebrei erano maggioranza in diversi posti, l'Impero ottomano cadeva a pezzi, le vie di comunicazione erano inagibili e vi era per molti il serio rischio di morire di fame.
A una parte crescente del mondo ortodosso lo heter mechirah non va più bene, o meglio non vedono l'agricoltura israeliana allo stesso modo in cui la vedeva rav Kook. E mica gli puoi dare torto, in condizioni di crescita economica. Al tempo stesso l'industria alimentare non è esattamente felice di perdere il certificato di kasherut rilasciato dal rabbinato centrale. L'occasione è stata subito colta dai sionisti religiosi, che dall'espulsione da Gaza sono in una crisi ideologica e politica piuttosto grave, acuita anche dalla recente scomparsa del loro leader Avraham Shapira. Qualcuno prevede che la questione della shemittah sarà l'occasione per far nascere un terzo sistema di certificati di kasherut - accanto a quello Badaz, cioé ultra-ortodosso- e a quello legato al rabbinato centrale. In termini di mercato, la domanda di questo certificato, c'è. E c'è anche la dovuta offerta di manodopera qualificata per fornirla.
Come osserva il Jerusalem Post di ieri, in un articolo non firmato, quindi attribuibile al direttore, si aprono prospettive interessanti per il pluralismo religioso. Scrive l'articolo che è tempo di lasciare ai rabbini la libertà intellettuale di decidere da soli (=senza il ricatto del rabbinato centrale e della perdita del posto di lavoro) a quale filone della halacha fare riferimento e che una analoga libertà va garantita a tutti gli ebrei che desiderano rimanere dentro la tradizione anche per quanto riguarda il divorzio - e l'articolo si riverisce alla questione delle agunot, le donne cui il marito non vuole concedere il divorzio e al cui proposito i rabbini ortodossi dimostrano una stolidità senza uguali - un altro segno della crescente influenza degli ultraortodossi sul rabbinato centrale. E' interessante il riferimento a Paesi in cui gli ortodossi hanno il monopolio della vita religiosa, loro riconosciuto dallo Stato - come, per esempio l'Italia. Dice l'articolo che è tempo di imparare dagli USA, dove il pluralismo arricchisce l'intera vita ebraica.
Ci sono, quindi, ottime ragioni per solidarizzare con i sionisti religiosi e il loro nascente sistema di kasherut. Per quanto paradossale, molte delle loro esigenze sono anche nostre. Non me ne voglia MMAX, ma trovo la sua opinione veramente troppo affrettata: noi progressivi abbiamo molto da guadagnare nel consolidarsi dei sionisti religiosi. E poi, per quanto antipatici quelli di Mafdal possano essere -e assicuro che a me stanno davvero antipatici- è infantile pensare che tutto un universo politico sia derivato dalla fantasia fanatica di un cattivo maestro. Il sionismo religioso si sarebbe sviluppato anche senza personalità come quella di Shapira - che assicuro, mi stava davvero antipatico. Se non si tiene presente questo fatto ci si riduce alla caccia al capro espiatorio, da mostrare poi al mondo non ebraico per presentare sé stessi come gli ebrei buoni che non hanno nulla a che fare con gli altri ebrei, quelli settari, particolaristici e cattivi. In Italia questa roba si chiamava bandierismo. Siamo sicuri che sia una buona idea?