a proposito di cerchi concentrici
In una paio di sedi (la mailing list Kolot e la rivista Ha Kehillah) si sta svolgendo un dibattito quasi sempre cordiale nei toni, ed in risposta a richieste di alcuni ebrei Reform di entrare a far parte delle strutture comunitarie. Può sembrare piuttosto curioso che i Reform chiedano di essere riconosciuti dagli ortodossi e, diciamolo, non è esattamente un sintomo di maturità. Ma la vera bizzarria sta nella situazione italiana, in cui è un ente statale a rispondere alla domanda chi è ebreo? con quel che ne consegue, ed il tutto applicando criteri differenti da quelli dello Stato degli ebrei - dove i Reform, ricordiamolo, sono considerati ebrei a pieno titolo.
L'italica bizzarria sta anche nel fatto che ci si definisce ortodossi (o Modern Orthodox) quando l'osservanza delle mitzwot è bassa o nulla; quando i rabbini italiani non compaiono nelle liste che il rabbinato centrale di Israele considera abilitati a effettuare conversioni. E' vero, il dato dell'osservanza dice poco, perché in ogni comunità ortodossa non c'è sempre un livello alto di osservanza - ma sarebbe comunque interessante curioso comparare il tasso di matrimoni misti in Italia con quello di altre comunità ortodosse. Ma la questione della, diciamo, scarsa considerazione che il rabbinato centrale di Israele riserva ai rabbini italiani dovrebbe far pensare.
Ovviamente a me, da qui, non può interessare il lato politico della faccenda. L'Ebraismo progressivo in Italia è un fenomeno in crescita e una qualche forma di riconoscimento giuridico da parte dello Stato ci dovrà pure essere; e tutti sanno benissimo che l'anomalia istituzionale italiana prima o poi cadrà, visto che non è esattamente congruente con la concezione europea di libertà religiosa. In quale altro Paese occorre un atto notarile per cambiare religione?
Però le argomentazioni di parte ortodossa, quelle sì le trovo interessanti. Sia gli interventi su Kolot che quello su Ha Kehillah non dicono nulla sulla specifica ortodossia italiana, e pensare che solo pochi anni fa questo era l'argomento più diffuso tra chi invitava a non spezzare la bella unità. Ora ci spiegano che il modello italiano consiste nel fatto che un piccolo nucleo di osservanti tiene accesa la fiamma dell'Ebraismo intero, e che tutti gli altri starebbero attorno a questo nucleo, più o meno distanti dal livello di osservanza ideale.
E' una raffigurazione della comunità ebraica che per me è simile a quella di un monastero e degli abitanti dei terreni di proprietà del monastero. Non potendo questi ultimi mantenere lo stile di vita dei monaci, che osservano tutti i precetti, versano una quota delle loro ricchezze ai predetti monaci. Suvvia: siamo tutti (dovremmo essere tutti) consapevoli che lo-ba-shamaiim, la Torah non è nel cielo, né al di là degli oceani, e la Halacha è fatta per esser vissuta da tutti, in maniera egalitaria, senza costituire caste sacerdotali. Vissuta, intendo, anche da chi è omosessuale, che non è una scelta, ma per condizione: ai gay la Torah degli ortodossi cosa ha da insegnare? Che devono, giusta il modello monastico, reprimersi e sublimare? Questa sarebbe la halacha?
Il punto che mi convince di meno di tutto il dibattito è però un altro. Io conosco diversi ebrei progressivi e molti ebrei ortodossi. Non vedo una gran differenza di pratica. Questa storia secondo cui gli ebrei ortodossi sono quelli che praticano di più dei progressivi non regge alla prova dei fatti. In Italia le congregazioni progressive, per dirne una, hanno il minyan più spesso delle sinagoghe ortodosse. I progressivi, in Italia, non celebrano affatto matrimoni misti, e si sposano con maggiore frequenza degli ortodossi delle rispettive città. Ho anche l'impressione che siano pure più sionisti degli ortodossi, e con ragione: Israele dà loro quel riconoscimento che l'Italia ebraica non vuole dare. Se uno è affezionato al modello dei cerchi concentrici sappia che anche all'interno delle comunità progressive c'è chi pratica di più, chi pratica di meno e chi va al tempio solo a Kippur.
Ma il problema, in fondo, è un altro. Lo stile di discussione adottato dalle voci ortodosse di questo dibattito è all'insegna dell'esclusione quando non della scomunica - e non mi pare esattamente felice. Né, per quel che vale, è una dimostazione di forza. Sarebbe invece interessante che chi sta nel cerchio più interno del mondo progressivo venga invitato al dialogo con chi occupa la analoga posizione per gli ortodossi. E che, come nelle discussioni del Talmud, ci si sforzi di trovare non il compromesso, ma la soluzione più inclusiva, che sappia comprendere tutte le posizioni per il bene comune degli ebrei di Italia.
Peccato che questo, per ora, non stia succedendo.
L'italica bizzarria sta anche nel fatto che ci si definisce ortodossi (o Modern Orthodox) quando l'osservanza delle mitzwot è bassa o nulla; quando i rabbini italiani non compaiono nelle liste che il rabbinato centrale di Israele considera abilitati a effettuare conversioni. E' vero, il dato dell'osservanza dice poco, perché in ogni comunità ortodossa non c'è sempre un livello alto di osservanza - ma sarebbe comunque interessante curioso comparare il tasso di matrimoni misti in Italia con quello di altre comunità ortodosse. Ma la questione della, diciamo, scarsa considerazione che il rabbinato centrale di Israele riserva ai rabbini italiani dovrebbe far pensare.
Ovviamente a me, da qui, non può interessare il lato politico della faccenda. L'Ebraismo progressivo in Italia è un fenomeno in crescita e una qualche forma di riconoscimento giuridico da parte dello Stato ci dovrà pure essere; e tutti sanno benissimo che l'anomalia istituzionale italiana prima o poi cadrà, visto che non è esattamente congruente con la concezione europea di libertà religiosa. In quale altro Paese occorre un atto notarile per cambiare religione?
Però le argomentazioni di parte ortodossa, quelle sì le trovo interessanti. Sia gli interventi su Kolot che quello su Ha Kehillah non dicono nulla sulla specifica ortodossia italiana, e pensare che solo pochi anni fa questo era l'argomento più diffuso tra chi invitava a non spezzare la bella unità. Ora ci spiegano che il modello italiano consiste nel fatto che un piccolo nucleo di osservanti tiene accesa la fiamma dell'Ebraismo intero, e che tutti gli altri starebbero attorno a questo nucleo, più o meno distanti dal livello di osservanza ideale.
E' una raffigurazione della comunità ebraica che per me è simile a quella di un monastero e degli abitanti dei terreni di proprietà del monastero. Non potendo questi ultimi mantenere lo stile di vita dei monaci, che osservano tutti i precetti, versano una quota delle loro ricchezze ai predetti monaci. Suvvia: siamo tutti (dovremmo essere tutti) consapevoli che lo-ba-shamaiim, la Torah non è nel cielo, né al di là degli oceani, e la Halacha è fatta per esser vissuta da tutti, in maniera egalitaria, senza costituire caste sacerdotali. Vissuta, intendo, anche da chi è omosessuale, che non è una scelta, ma per condizione: ai gay la Torah degli ortodossi cosa ha da insegnare? Che devono, giusta il modello monastico, reprimersi e sublimare? Questa sarebbe la halacha?
Il punto che mi convince di meno di tutto il dibattito è però un altro. Io conosco diversi ebrei progressivi e molti ebrei ortodossi. Non vedo una gran differenza di pratica. Questa storia secondo cui gli ebrei ortodossi sono quelli che praticano di più dei progressivi non regge alla prova dei fatti. In Italia le congregazioni progressive, per dirne una, hanno il minyan più spesso delle sinagoghe ortodosse. I progressivi, in Italia, non celebrano affatto matrimoni misti, e si sposano con maggiore frequenza degli ortodossi delle rispettive città. Ho anche l'impressione che siano pure più sionisti degli ortodossi, e con ragione: Israele dà loro quel riconoscimento che l'Italia ebraica non vuole dare. Se uno è affezionato al modello dei cerchi concentrici sappia che anche all'interno delle comunità progressive c'è chi pratica di più, chi pratica di meno e chi va al tempio solo a Kippur.
Ma il problema, in fondo, è un altro. Lo stile di discussione adottato dalle voci ortodosse di questo dibattito è all'insegna dell'esclusione quando non della scomunica - e non mi pare esattamente felice. Né, per quel che vale, è una dimostazione di forza. Sarebbe invece interessante che chi sta nel cerchio più interno del mondo progressivo venga invitato al dialogo con chi occupa la analoga posizione per gli ortodossi. E che, come nelle discussioni del Talmud, ci si sforzi di trovare non il compromesso, ma la soluzione più inclusiva, che sappia comprendere tutte le posizioni per il bene comune degli ebrei di Italia.
Peccato che questo, per ora, non stia succedendo.
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