domenica, febbraio 10, 2008

potere della parola

Sono stato a Hebron tanto, tanto tempo fa. Non so cosa succeda adesso. Quel che mi raccontano è più o meno quel che riporta la stampa, tipo qui e mi viene da crederci.
Io non vivrei a Hebron. Ci sta qualche fanatico, gente che non registra più nemmeno i figli all'anagrafe: mi piacerebbe poter dire che è una scheggia impazzita, sono certo che si dà a loro troppo risalto e che finiscono per diventare simbolo di una realtà molto più complessa. Il grave è che a loro questo ruolo piace un sacco. A Hebron piombano regolarmente gruppi di "pacifisti" in cerca di scazzottature e notorietà. E trovano quel che cercano.
Detto questo, vorrei ricordare ai lettori italiani che i palestinesi non sono quel blocco monolitico che ci immaginiano, che è una società divisa per clan più che per ideologie. Così, un po' di tempo fa, uno sceicco ha proibito a un gruppo di "pacifisti" di distruggere una sinagoga edificata sui suoi terreni. Forse voleva fare dispetto a un altro clan. Forse temeva che avrebbe innescato una serie di rivalse da parte dei coloni, una volta che i "pacifisti" fossero tornati in città. Adesso lo sceicco, con un paio di altri sceicchi (rappresentativi più o meno dei clan principali) si sono incontrati con i locali leader dei coloni. Sembra che la atmosfera sia stata cordiale e che abbiano provato a immaginare una tregua, o forse una convivenza. Curioso che per mettersi d'accordo non abbiano avuto bisogno di un mediatore. Ho una mia spiegazione: si tratta di persone molto intelligenti, a Hebron gli stupidi non sopravvivono.
Peccato che sia anche successo questo, a testimonianza che le violenze non vengono da una parte sola. La fonte è Yediot Aharonot, che non è un quotidiano molto tenero con i fanatici che stanno a Hebron - meno di due anni fa mise infatti on line un video in cui si vedevano chiaramente le angherie di una donna "colona" contro una famiglia araba, scoppiò un casino e anche un caso giudiziario.
E' anche successo, nelle stesse ore, che stavo al telefono con un amico e parlavamo dell'era messianica, e lui diceva che si immaginava un mondo più o meno come quello in cui viviamo ora, ma in cui i conflitti si risolvono con le parole e non con le armi. In questa città siamo convinti che le preghiere arrivano direttamente al cielo se, diciamo, passano per di qua.
Forse quella di oggi era una preghiera che è stata ascoltata e non solo una discussione. Ma, dopo tutto, che differenza c'è tra pregare e discutere?

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