operazioni impossibili
Oggi mi sono trovato in mail un articolo di David Bidussa. E, ispirato da un post del mitico Uriel, ho deciso di fornirvi una traduzione in lingua italiana, con qualche integrazione che renda comprensibile il pensiero dell'autore. So che l'impresa è ardua, comunque ecco il risultato.
David Bidussa
Non temo il Mein Kampf, ma la mancanza di cultura
in “il Secolo XIX”, 12 giugno 2008, p. 19
E’ possibile che il Mein Kampf di Adolf Hitler, il testo di riferimento teorico dell’ideologia nazista torni a circolare liberamente in libreria in Germania. Non è né una spacconata, né soprattutto, sembra aver suscitato grande clamore. Un’edizione, che dovrebbe essere accompagnata da una commento di adeguate proporzioni. Un’edizione, infine, a cui non si sono apposte le Comunità ebraiche tedesche.
Traduzione: dunque c'è una notizia di cui frega un cazzo a nessuno.
Molti ritengono sorprendente questa notizia. Personalmente non sono di quest’avviso. Non sono contrario alla pubblicazione del Mein Kampf nemmeno in Germania, ma non mi convincono le motivazioni usate per spingere alla sua diffusione. Vale la pena discutere, almeno per tre buone ragioni
Traduzione: ci sarà probabilmente qualcuno a cui questa notizia interessa, ma a me no. Quindi, come posso astenermi dal commentare? Dirò di più, vado a scrivere non uno, non due, ma ben tre commenti. Pronti?
La prima riguarda il fatto che ancora sembra che il nazismo sia un fatto privato degli ebrei. Perché dovrebbe dare il suo assenso la comunità ebraica? Non è questo un atto di deresponsabilizzazione?
Traduzione: Be-reshit barà Adonay... e poi Dio creò l'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e ispirò nel profetico suo Presidente un viaggio in Israele assieme a Gianfranco Fini. Come è noto. doveva trattarsi di una faccenda tutta interna al mondo ebraico, ma ebbe lo strano ed imprevisto effetto dello sdoganamento dei fascisti ad opera degli ebrei e per conto di tutti gli antifascisti. Il vero problema quindi è: come mai non mi hanno invitato?
La seconda riguarda la libera circolazione dei testi. Qualcuno deve aver pensato che nell’epoca di internet quando per leggere il Mein Kampf come I Protocolli dei savi anziani di Sion è sufficiente navigare in rete e scaricare un file, la cultura dell’interdetto non sia efficace. Non è un ragionamento improprio, del resto in Italia circola un’edizione dal 2002 e nessuno se ne è accorto. Ma appunto: perché nessuno se ne è accorto? Non per distrazione, ma perché quell’operazione non ha un valore. A chi si rivolge il commento che accompagnerà l’opera di Hitler?
Traduzione: il secondo problema è: perché nessuno mi ha chiesto di scrivere il commento al Mein Kampf? Eppure avevo già pronta una traccia, eccola.
Se si rivolge a coloro che la studiano come la traccia di una mentalità nei cui confronti occorre preparare degli antidoti, ha il valore di una predica ai convertiti. Se invece intende rivolgersi a chi è affascinato e provare a smuoverlo dalle proprie convinzioni è alquanto improbabile che quell’operazione sia di una qualche efficacia. Semplicemente perché la storia dell’uso di quel testo è eguale a quella del ritorno ciclico dei razzismi come dimostrano Guido Barbujani e Pietro Cheli (Sono razzista, ma sto cercando di smettere, Laterza): pur dopo che si sono dimostrate infondate, in tutti i loro presupposti, ritornano costantemente. Non si rinnovano, semplicemente si ripresentano. Nessuno impara mai dalla sconfitta precedente
Avete visto? c'è pure la bibliografia. E nell'ultima frase accenno a Veltroni. Chissà come mai nessuno ha pensato a chiedermi un commento per l'edizione tedesca del Mein Kampf.
La terza ragione riguarda la convinzione che sia possibile disinnescare una possibile escalation di cultura razzista, immettendo un testo e emblematico ne libero mercato e sottraendolo al circuito della clandestinità, non solo è discutibile, ma è anche troppo semplicistico.
Traduzione: La libertà di parola è una bella cosa ma va assunta a piccole dosi, soprattutto controllate. Lo sanno tutti i danni che ha fatto la televisione privata in Israele.
Perché presume che a un problema si risponda solo togliendo il fascino del “proibito” sgonfiandone l’interesse trasgressivo. Dietro alla questione del fascino che oggi hanno le parole razziste e dunque della loro possibile diffusione sta una questione diversa.
Traduzione: Si fa in fretta a dire razzismo, bisogna poi specificare con attenzione e fare i distinguo. La discriminazione contro i chamchakim per esempio ha portato la splendida Israele al governo, e loro irriconoscenti hanno votato Likud e adesso non si può più dividere Gerusalemme. Lo vedete che c'erano delle ragioni per tenerli lontani dai posti di responsabilità? Comunque il problema, come sempre, è a monte.
E ora, visto che mi sono ricordato che sono ebreo e gli ebrei fanno un sacco di domande, ce ne metto qualcuna qui. Anche perché se non ero ebreo mica chiedevano a me di commentare questa non notizia.
Come si costruisce una cultura pubblica in grado di non soggiacere alle sirene dell’antisemitismo o dei razzismi risorgenti? Si risponde con un manuale? Si delega alla scuola e agli insegnanti?. Ma non è limitato – e di nuovo troppo facile – pensare che la questione del razzismo riguardi solo gli insegnanti e i programmi scolastici? Il fatto che si presenti questa questione non indica il fatto che sia in atto una crisi culturale complessiva? Rimettere ufficialmente nel circolo librario un testo, il cui solo fatto di acquistarlo costituisce un atto iniziatico, non è di per sé un errore.
Quando ho preparato la mia bella antologia sul sionismo per i tipi di Feltrinelli, che ha avuto una recensione positiva sul manifesto (ben nove righe, eh!) sono stato bene attento ad evitare di includere personaggi come Jabotinsky o Eldad, perché appunto la cultura italiana non subisse quel sulfureo fascino iniziatico.
Ma sarebbe un errore considerare che solo un accurato apparato di commento sia lo strumento efficace per smontarlo.
Infatti io mica ho commentato gli scritti di Jabotinsky, mi son ben guardato dal nominarlo. Eh, che signor commento che ho scritto...
Per rispondere alle banalità del razzismo occorre una preparazione culturale e una sensibilità culturale che non sembrano diffuse
Particolarmente, va detto, tra i sefarditi. Che sono pure un po' negri e, non casualmente, votano Likud.
e che comunque la scuola non è in grado da sola di risolvere. Una cultura e una sensibilità, per di più, e questo è il dato su cui vale la pena riflettere, che nessuno avverte come necessarie. E’ solo perché gli insegnanti non sono preparati?
In questo caso, chiaramente, la colpa è di Begin.
Traduzione: dunque c'è una notizia di cui frega un cazzo a nessuno.
Molti ritengono sorprendente questa notizia. Personalmente non sono di quest’avviso. Non sono contrario alla pubblicazione del Mein Kampf nemmeno in Germania, ma non mi convincono le motivazioni usate per spingere alla sua diffusione. Vale la pena discutere, almeno per tre buone ragioni
Traduzione: ci sarà probabilmente qualcuno a cui questa notizia interessa, ma a me no. Quindi, come posso astenermi dal commentare? Dirò di più, vado a scrivere non uno, non due, ma ben tre commenti. Pronti?
La prima riguarda il fatto che ancora sembra che il nazismo sia un fatto privato degli ebrei. Perché dovrebbe dare il suo assenso la comunità ebraica? Non è questo un atto di deresponsabilizzazione?
Traduzione: Be-reshit barà Adonay... e poi Dio creò l'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e ispirò nel profetico suo Presidente un viaggio in Israele assieme a Gianfranco Fini. Come è noto. doveva trattarsi di una faccenda tutta interna al mondo ebraico, ma ebbe lo strano ed imprevisto effetto dello sdoganamento dei fascisti ad opera degli ebrei e per conto di tutti gli antifascisti. Il vero problema quindi è: come mai non mi hanno invitato?
La seconda riguarda la libera circolazione dei testi. Qualcuno deve aver pensato che nell’epoca di internet quando per leggere il Mein Kampf come I Protocolli dei savi anziani di Sion è sufficiente navigare in rete e scaricare un file, la cultura dell’interdetto non sia efficace. Non è un ragionamento improprio, del resto in Italia circola un’edizione dal 2002 e nessuno se ne è accorto. Ma appunto: perché nessuno se ne è accorto? Non per distrazione, ma perché quell’operazione non ha un valore. A chi si rivolge il commento che accompagnerà l’opera di Hitler?
Traduzione: il secondo problema è: perché nessuno mi ha chiesto di scrivere il commento al Mein Kampf? Eppure avevo già pronta una traccia, eccola.
Se si rivolge a coloro che la studiano come la traccia di una mentalità nei cui confronti occorre preparare degli antidoti, ha il valore di una predica ai convertiti. Se invece intende rivolgersi a chi è affascinato e provare a smuoverlo dalle proprie convinzioni è alquanto improbabile che quell’operazione sia di una qualche efficacia. Semplicemente perché la storia dell’uso di quel testo è eguale a quella del ritorno ciclico dei razzismi come dimostrano Guido Barbujani e Pietro Cheli (Sono razzista, ma sto cercando di smettere, Laterza): pur dopo che si sono dimostrate infondate, in tutti i loro presupposti, ritornano costantemente. Non si rinnovano, semplicemente si ripresentano. Nessuno impara mai dalla sconfitta precedente
Avete visto? c'è pure la bibliografia. E nell'ultima frase accenno a Veltroni. Chissà come mai nessuno ha pensato a chiedermi un commento per l'edizione tedesca del Mein Kampf.
La terza ragione riguarda la convinzione che sia possibile disinnescare una possibile escalation di cultura razzista, immettendo un testo e emblematico ne libero mercato e sottraendolo al circuito della clandestinità, non solo è discutibile, ma è anche troppo semplicistico.
Traduzione: La libertà di parola è una bella cosa ma va assunta a piccole dosi, soprattutto controllate. Lo sanno tutti i danni che ha fatto la televisione privata in Israele.
Perché presume che a un problema si risponda solo togliendo il fascino del “proibito” sgonfiandone l’interesse trasgressivo. Dietro alla questione del fascino che oggi hanno le parole razziste e dunque della loro possibile diffusione sta una questione diversa.
Traduzione: Si fa in fretta a dire razzismo, bisogna poi specificare con attenzione e fare i distinguo. La discriminazione contro i chamchakim per esempio ha portato la splendida Israele al governo, e loro irriconoscenti hanno votato Likud e adesso non si può più dividere Gerusalemme. Lo vedete che c'erano delle ragioni per tenerli lontani dai posti di responsabilità? Comunque il problema, come sempre, è a monte.
E ora, visto che mi sono ricordato che sono ebreo e gli ebrei fanno un sacco di domande, ce ne metto qualcuna qui. Anche perché se non ero ebreo mica chiedevano a me di commentare questa non notizia.
Come si costruisce una cultura pubblica in grado di non soggiacere alle sirene dell’antisemitismo o dei razzismi risorgenti? Si risponde con un manuale? Si delega alla scuola e agli insegnanti?. Ma non è limitato – e di nuovo troppo facile – pensare che la questione del razzismo riguardi solo gli insegnanti e i programmi scolastici? Il fatto che si presenti questa questione non indica il fatto che sia in atto una crisi culturale complessiva? Rimettere ufficialmente nel circolo librario un testo, il cui solo fatto di acquistarlo costituisce un atto iniziatico, non è di per sé un errore.
Quando ho preparato la mia bella antologia sul sionismo per i tipi di Feltrinelli, che ha avuto una recensione positiva sul manifesto (ben nove righe, eh!) sono stato bene attento ad evitare di includere personaggi come Jabotinsky o Eldad, perché appunto la cultura italiana non subisse quel sulfureo fascino iniziatico.
Ma sarebbe un errore considerare che solo un accurato apparato di commento sia lo strumento efficace per smontarlo.
Infatti io mica ho commentato gli scritti di Jabotinsky, mi son ben guardato dal nominarlo. Eh, che signor commento che ho scritto...
Per rispondere alle banalità del razzismo occorre una preparazione culturale e una sensibilità culturale che non sembrano diffuse
Particolarmente, va detto, tra i sefarditi. Che sono pure un po' negri e, non casualmente, votano Likud.
e che comunque la scuola non è in grado da sola di risolvere. Una cultura e una sensibilità, per di più, e questo è il dato su cui vale la pena riflettere, che nessuno avverte come necessarie. E’ solo perché gli insegnanti non sono preparati?
In questo caso, chiaramente, la colpa è di Begin.
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