ricette
Un ebreo è uno che a una domanda ti risponde con una domanda. E che invece di scrivere commenti sul blog, pubblici, ti scrive in privato. I tempi e le idee ha molti lettori ebrei, una gran parte dei quali delusa da chi ritiene che di Tempo e Idea ce ne debba essere uno solo. Hanno tutta la mia comprensione, come ho già scritto qui. Purtroppo questo blog è solo il diario pubblico del sottoscritto e non il luogo per discutere del futuro dell’Ebraismo progressivo milanese. Per parte mia, non ho ricette nuove, anzi dico sempre le stesse cose.
Voilà col riassunto. L’Ebraismo italiano attraversa secondo me una crisi che può essere risolta solo con il pluralismo, che significa fare incontrare la più antica comunità della Diaspora con le istanze ed i valori del più grande movimento ebraico, l’Ebraismo progressivo, ovvero post-halakhiko. Cioè con congregazioni aperte a tutti coloro che si sentono a disagio con la attuale svolta in senso fondamentalista, che riguarda tutto il mondo ortodosso, Italia inclusa. Comunità inclusive ed egalitare, in cui si possa condurre una vita ebraica E emancipata - proprio come hanno fatto i nostri nonni, che magari non avevano a che fare con il femminismo ebraico ma sentivano l’esigenza di avere tutta la famiglia sotto il talled per Kippur. E ci riuscivano, senza per questo assimilarsi o smettere di essere ebrei. Non avevano a che fare nemmeno con il sionismo, ma sono diventati sionisti; e adesso il sionismo è parte della cultura di tutti gli ebrei italiani.La mia esperienza mi dice che in Italia c’è lo spazio per far crescere una o più congregazioni Reform, liberali o progressive, anche grazie alla presenza sempre più numerosa di israeliani e di anglosassoni. Difatti attualmente ci sono in Italia due congregazioni progressive, che sono sufficientemente stabili e solide da reperire le risorse per dotarsi di una guida religiosa qualificata. Se ne sono accorti anche i media.
Una terza congregazione, invece, è -a quanto pare- in crisi: non solo non riesce a reclutare nuovi soci -e sarebbe il meno- ma nemmeno riesce a motivare gli (ormai ex) iscritti a rinnovare la quota. Il che non stupisce. Come ho già detto, non è più una congregazione progressiva, ma una versione light dell’ortodossia, dove il riferimento alla halakhà ha sostituito il dibattito democratico. Ma chi vuole l'ortodossia, in Italia sa già dove andare. Non ha bisogno di una nuova sinagoga, tantomeno di un ambiente di questo tipo.
Ai molti che mi chiedono perché non mi ci voglio impegnare rispondo: perché non si vuole indagare sulle ragioni di questa crisi? C’è stata solo una demenziale indagine sul tema “cosa ti aspetti dal nuovo consiglio direttivo” i cui risultati, peraltro, non sono mai stati resi noti.
Mi sembra evidente che per uscire da una crisi si deve trovare un modo per motivare le persone a dare il proprio contributo. Magari si potrebbero creare occasioni per quel dibattito che non può essere condotto interloquendo con l’autore di un blog. Purtroppo questo dibattito avrebbe bisogno di trasparenza. Che è una brutta faccenda per chi vuole una vita ebraica condotta nel segno dell’ortodossia, per chi è impegnato nella gara a chi è più osservante, per chi confonde il rabbino (auto-nominatosi, tra l’altro) con un prete investito da una autorità superiore, che ha sempre e comunque l’ultima parola.
Tanti auguri, comunque, a questa congregazione. Sono certo che nessuno si sottrarrà alle proprie responsabilità, che ci sarà un dibattito, che sarà trasparente e costruttivo, e, quel che più conta, rispettoso del contributo di tutti. Per la nuova sede, proporrei l’acquisto di una fontana, rigorosamente kasher - come vedete nella foto, la si può infatti frequentare solo a capo coperto.
Tanti auguri, comunque, a questa congregazione. Sono certo che nessuno si sottrarrà alle proprie responsabilità, che ci sarà un dibattito, che sarà trasparente e costruttivo, e, quel che più conta, rispettoso del contributo di tutti. Per la nuova sede, proporrei l’acquisto di una fontana, rigorosamente kasher - come vedete nella foto, la si può infatti frequentare solo a capo coperto.
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