strana la vita
Per una serie di strane e tristi ragioni mi trovo a passare delle ore con persone anziane e ammalate. Molto ammalate. Visito, cioé, un normale, e piccolo, ospedale pubblico italiano, né buono né cattivo. No, non voglio parlare della sanità pubblica. Per quel che ci capisco io, in questo ospedale cercano di ritardare il più possibile il doloroso momento. E ci riescono. Ma io non voglio nemmeno parlare del caso Welby. Voglio dire qualcosa sulla vita, sulla morte e sulla storia di questo ultimo secolo. Il secolo che si è aperto con il genocidio degli armeni.
Un mio compagno di scuola media era armeno. Scuole pubbliche - ma, ripeto, non voglio parlare della scuola pubblica italiana, la meravigliosa occasione formativa di venire in contatto con coetanei di diversa formazione e provenienza. Dal mio compagno (ahò so' armeno armeno na canna ce la famo) ho imparato che gli armeni non sono cattolici e se lo sono lo sono a modo loro, che gli armeni hanno il cognome che finisce per -ian, che vuol dire figlio di e che suo nonno si era salvato perché era rimasto vivo sotto un mucchio di cadaveri e quei soldati turchi (nota: non i turchi; nemmeno: i soldati turchi; quei soldati turchi) "non avevano controllato".
Poi lui era uscito da quel mucchio di cadaveri e si era trovato su una nave e poi si era trovato in Francia. Ho imparato che in Italia, come in Francia, come in Turchia, come in Armenia, un armeno è un armeno. Oltre ad essere, se del caso, italiano, turco o francese come Charles Aznavour. Che si chiama Varinag Aznavourijan, perché gli armeni hanno il cognome chie finisce per -ian e che ogni tanto se lo tagliano. Come gli ebrei quando vanno in America. Tanto per chiarire, io ho appreso dell'esistenza di Charles Aznavour da questa trasmissione televisiva. Quando avevo tredici anni ascoltavo i Deep Purple e i Bee Gees, mica Aznavour. Insomma, dal mio compagno armeno, che portava traccia della vita del nonno in un difetto che adesso si sarebbe definito dislessia, ho appreso che Diaspora è una parola che non riguarda solo gli ebrei.
Sono sovranamente indifferente ai tentativi di paragonare la Shoah con l'eccidio degli armeni (uno dei passatempi favoriti dagli antisemiti) fin da quando avevo tredici anni. Età nella quale ho imparato anche a rollare. Ma la Shoah c'è stata.
C'è stata quando erano giovani i signori che se ne stanno andando e che popolano la camera dell'ospedale dove mi capita di passare delle ore. I parenti si incrociano. Raccontano. Le donne sorridono. Siamo in ospedale, c'è qualcuno che se ne sta andando e qualcuno che sorride. Deve essere un modo di farsi coraggio tipico delle donne. La città, dovete sapere, è piccola. I nonni si conoscevano. Si conoscevano non nel senso che si frequentavano, ma sapevano chi erano. Proprio negli anni della Shoah, voglio dire. Uno era nella città, anzi nei paraggi. Gli altri no.
Uno finì in Australia. Nel senso che ce lo portarono gli inglesi; e tornò in Italia "dopo sei anni". Credo voglia dire sei anni dopo l'armistizio firmato da Badoglio. E un altro era al Nord perché era un repubblichino. Ah: e il terzo, quello che si muoveva nei paraggi della città era, avete indovinato, un partigiano comunista. Che sapeva che un altro, quello che non c'è più, si era sposato. Si sta parlando di una conoscenza comune, nel senso che era rimasto parente di uno dei parenti che si muovono in questa stanza d'ospedale che sembra il set di un film neorealista.
Ora qualcuno si chiederà se qualcuno dei tre ha fatto politica, dopo la guerra che li ha visti su fronti diversi e contrapposti. Se per fare politica si intende militare in un partito, la risposta è no; nessuno dei tre ha mai avuto una tessera; nemmeno dell'ANPI, nemmeno della Associazione Combattenti e Reduci. Se si intende votare per il partito che veniva, a torto a ragione, considerato erede della parte politica che si era finito per scegliere negli anni della guerra, allora la risposta è sì. Si potrebbe aggiungere che i tre anziani signori non hanno condiviso la lettura dello stesso quotidiano. Dopo la guerra che hanno combattuto si sono sposati, hanno fatto dei figli e hanno dei nipoti. Tra i nipoti c'è anche chi si è sposato. Hanno la fortuna di avere sempre qualcuno accanto ai loro letti. Una volta un tizio che conosco ha cercato di mettere in piedi una associazione di volontariato per accompagnare la gente negli ospedali. Diceva che a Milano non ci sono famiglie sufficientemente allargate e solide. Invece in questa città piccola ci sono.
Ovviamente questo secolo di guerre ne ha regalate altre, dopo quella che per questi signori è la guerra per definizione. Una di queste guerre è scoppiata, come tuttti sanno, questa estate. Probabilmente le guerre che vediamo noi sono molto più crudeli con la natura, con gli alberi, di quanto lo sia stata quella che ha diviso questi anziani signori che stanno lasciando questo mondo con la stessa dignità con cui hanno vissuto. E dopo le guerre occorre piantare degli alberi. Piantare tanti alberi. Con quello che si dice sul clima, un'altra guerra di cui non si sapeva si doveva combattere.
Facciamo che non vi dico chi dei tre (un ex repubblichino, un ex partigiano comunista, un ex internato militare) ha deciso di donare dei soldi al KKL. Fatelo anche voi, per rispetto per la parte d'Italia e di umanità con cui condividete di più. La vostra donazione si sommerà alla sua. E buon Tu bi'Shvat a tutti. Che sia capodanno di un secolo migliore.
Poi lui era uscito da quel mucchio di cadaveri e si era trovato su una nave e poi si era trovato in Francia. Ho imparato che in Italia, come in Francia, come in Turchia, come in Armenia, un armeno è un armeno. Oltre ad essere, se del caso, italiano, turco o francese come Charles Aznavour. Che si chiama Varinag Aznavourijan, perché gli armeni hanno il cognome chie finisce per -ian e che ogni tanto se lo tagliano. Come gli ebrei quando vanno in America. Tanto per chiarire, io ho appreso dell'esistenza di Charles Aznavour da questa trasmissione televisiva. Quando avevo tredici anni ascoltavo i Deep Purple e i Bee Gees, mica Aznavour. Insomma, dal mio compagno armeno, che portava traccia della vita del nonno in un difetto che adesso si sarebbe definito dislessia, ho appreso che Diaspora è una parola che non riguarda solo gli ebrei.
Sono sovranamente indifferente ai tentativi di paragonare la Shoah con l'eccidio degli armeni (uno dei passatempi favoriti dagli antisemiti) fin da quando avevo tredici anni. Età nella quale ho imparato anche a rollare. Ma la Shoah c'è stata.
C'è stata quando erano giovani i signori che se ne stanno andando e che popolano la camera dell'ospedale dove mi capita di passare delle ore. I parenti si incrociano. Raccontano. Le donne sorridono. Siamo in ospedale, c'è qualcuno che se ne sta andando e qualcuno che sorride. Deve essere un modo di farsi coraggio tipico delle donne. La città, dovete sapere, è piccola. I nonni si conoscevano. Si conoscevano non nel senso che si frequentavano, ma sapevano chi erano. Proprio negli anni della Shoah, voglio dire. Uno era nella città, anzi nei paraggi. Gli altri no.
Uno finì in Australia. Nel senso che ce lo portarono gli inglesi; e tornò in Italia "dopo sei anni". Credo voglia dire sei anni dopo l'armistizio firmato da Badoglio. E un altro era al Nord perché era un repubblichino. Ah: e il terzo, quello che si muoveva nei paraggi della città era, avete indovinato, un partigiano comunista. Che sapeva che un altro, quello che non c'è più, si era sposato. Si sta parlando di una conoscenza comune, nel senso che era rimasto parente di uno dei parenti che si muovono in questa stanza d'ospedale che sembra il set di un film neorealista.
Ora qualcuno si chiederà se qualcuno dei tre ha fatto politica, dopo la guerra che li ha visti su fronti diversi e contrapposti. Se per fare politica si intende militare in un partito, la risposta è no; nessuno dei tre ha mai avuto una tessera; nemmeno dell'ANPI, nemmeno della Associazione Combattenti e Reduci. Se si intende votare per il partito che veniva, a torto a ragione, considerato erede della parte politica che si era finito per scegliere negli anni della guerra, allora la risposta è sì. Si potrebbe aggiungere che i tre anziani signori non hanno condiviso la lettura dello stesso quotidiano. Dopo la guerra che hanno combattuto si sono sposati, hanno fatto dei figli e hanno dei nipoti. Tra i nipoti c'è anche chi si è sposato. Hanno la fortuna di avere sempre qualcuno accanto ai loro letti. Una volta un tizio che conosco ha cercato di mettere in piedi una associazione di volontariato per accompagnare la gente negli ospedali. Diceva che a Milano non ci sono famiglie sufficientemente allargate e solide. Invece in questa città piccola ci sono.
Ovviamente questo secolo di guerre ne ha regalate altre, dopo quella che per questi signori è la guerra per definizione. Una di queste guerre è scoppiata, come tuttti sanno, questa estate. Probabilmente le guerre che vediamo noi sono molto più crudeli con la natura, con gli alberi, di quanto lo sia stata quella che ha diviso questi anziani signori che stanno lasciando questo mondo con la stessa dignità con cui hanno vissuto. E dopo le guerre occorre piantare degli alberi. Piantare tanti alberi. Con quello che si dice sul clima, un'altra guerra di cui non si sapeva si doveva combattere.
Facciamo che non vi dico chi dei tre (un ex repubblichino, un ex partigiano comunista, un ex internato militare) ha deciso di donare dei soldi al KKL. Fatelo anche voi, per rispetto per la parte d'Italia e di umanità con cui condividete di più. La vostra donazione si sommerà alla sua. E buon Tu bi'Shvat a tutti. Che sia capodanno di un secolo migliore.
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