cose permesse, cose non permesse
Un tribunale francese autorizza ad affermare che Robert Faurisson è un cacciapalle. Siamo confortati dal parere favorevole del già ministro della Giustizia del Governo d'Oltralpe - governo che non era esattamente pro-Israele, tra l'altro. Tutto ciò detto e stabilito, resta da capire come mai il prof. Claudio Moffa abbia invitato il cacciapalle Faurisson a tenere conferenze in una aula universitaria. Trovate la notizia in rete e, più o meno, su tutti i quotidiani. Il manifesto ha dedicato uno spazio davvero limitato alla vicenda.
Il che, devo dire, mi sorprende. Nel 1994 trovai nella libreria univeristaria della mia città una copia del famoso numero della rivista La lente di Marx ("Ebrei brava gente") con cui il compagno Moffa cercava di richiamare l'attenzione della sinistra italiana sulla "questione ebraica" e sul ricatto morale che gli ebrei esercitavano nei confronti del mondo intero. La rivista era accompagnata da un bell'elenco di nomi, ad uso di commissioni concorsuali, di ebrei o filo-ebrei (pardòn: sionisti) presenti nell'Università italiana. La cosa mi sembrò oltremodo preoccupante, sicché feci qualche telefonata alla mia radio preferita. Mi fecero parlare con una signora che si occupava di libri e recensioni e che non sembrò particolarmente allarmata.
Acquistai allora una copia della rivista e la spedii a Il manifesto e qualche giorno dopo la Rossanda se ne uscì con un articolo memorabile (altro che il trafiletto di cui sopra), in cui diceva al compagno Moffa, più o meno, di tornarsene nelle fogne. All'articolo de Il manifesto seguì, come usava, un ampio dibattito (ricordo un articolo su Linea d'Ombra, per esempio) ed una accorata denuncia collettiva da sinistra. La vicenda ebbe l'effetto di tracciare un confine oltre il quale la critica alle politiche di Israele diventava puro e semplice antisemitismo. Un gran risultato, per quella sinistra che -culturalmente- stava uscendo dalla Guerra Fredda.
E quando i ragazzi del ghetto di Roma fecero la loro passeggiata nella sede del gruppo skinhead (ricordate?) la Rossanda ne scrisse un altro, di memorabile articolo. Non se lo ricorda nessuno, ma la settimana prima erano comparsi, sulle saracinesche delle botteghe del centro, delle stelle gialle, appiccicate (forse) e rivendicate (con orgoglio) dalle teste pelate de cuius. La Rossanda spiegava che gli ebrei avevano fatto, perché potevano farlo, quel che senegalesi, rom e albanesi non potevano fare: autodifesa, in una Italia che andava diventando sempre più schifosamente razzista.
L'appello contro la presenza di Faurisson in un aula universitaria (pubblicato con poco risalto dal quotidiano comunista) è stato firmato anche da docenti (e compagni) per nulla teneri con la politica dello Stato di Israele e persino con la storia della sua formazione. A maggior ragione (e visti i pregressi), mi stupisce il basso profilo de Il manifesto sulla vicenda Moffa-Faurisson. Come dice un personaggio di Altan: mi vengono pensieri che non condivido. Tipo questo: dalle parti di via Tomacelli la negazione della Shoah è diventata politicamente legittima. Oppure: voi ve la sentireste di battervi per la libertà di docenza di un certificato cacciapalle?
Perché in questione non c'è la libertà di parola di Faurisson. Lui può dire quel che vuole, a patto che ne subisca le conseguenze. Gli ultrà della curva, che urlano Zingari, ai forni! non tirano fuori i loro striscioni nei pressi dei campi nomadi. E Umberto Bossi, non va a fare un giro per Spaccanapoli o Secondigliano. Se succedesse, sia l'onorevole ch egli ultrà prenderebbero la loro dose di legnate di autodifesa. Chi apporta questo genere di contributi (le legnate, appunto) di solito è anche pronto a pagarne le conseguenze in tribunale - e sta qui la differenza tra un democratico e un fascista, il fascista pretende di sostituirsi allo Stato, anche quando esercita violenza. Faurisson, tra l'altro, ha la spiacevole abitudine di farsi vedere in luoghi dove passano ebrei: questo non mette a rischio la sua libertà di parola, questo lo espone alla reazione delle vittime di persecuzioni, vittime che sono poi dispostissime a farsi processare. Perché i fascisti non sono loro, il fascista è chi pretende che ci sia una Storia ufficiale (che stabilisce l'esistenza di camere a gas ad Auschwitz) la quale Storia ufficiale va sostituita con un'altra - che stabilisce che i non ebrei sono vittime di una illusione ottica preparata dagli ebrei.
La "Storia ufficiale" non esiste. Chiunque può insegnare la storia che crede, purché lui appartenga alla comunità degli storici e si basi su testi, propri o altrui, approvati dalla comunità degli storici. In questione infatti non c'è la libertà di parola di Faurisson, ma quella di docenza. Non si può decidere cosa va insegnato sulla base di una logica che consente di negare l'esistenza di camere a gas ad Auschwitz, oppure di affermare l'esistenza di un complotto ebraico, nel mondo della storia, dell'educazione, dei media (insomma: il controllo dei media) a tutto vantaggio dello Stato di Israele. Ecco, io credo che queste puttanate non vadano insegnate. E un tribunale francese spiega che Faurisson è un cacciapalle, proprio perché nei suoi corsi e nei suoi libri ha cercato di insegnare questa roba.
Quelli de Il manifesto (come la signora della radio, tempo fa), stavolta, probabilmente, non sono d'accordo. E va bene, per loro. Non per me: io voglio essere capace di non sputare quando vedo la mia faccia allo specchio. Ma le loro scelte sono affari loro. Però io vedo un rischio. La mia generazione ha trovato sulle cattedre i primi insegnati formatisi dopo la caduta del Fascismo. Ci è stato insegnato, fin da quando abbiamo imparato a leggere, che Auschwitz è l'orrore puro: c'è chi lo vede come somma di orrori, chi lo vede come parametro per misurare altri orrori, chi lo vede come un buco nero con cui non è possibile alcun paragone. Ma, qualunque sia l'opinione, per la mia generazione una comunità civile è tale, civile appunto, solo se si stabilisce un confine chiaro, quello del mai più. Chi vuole ricostruire Auschwitz va tenuto, come scriveva la Rossanda il secolo scorso, nelle fogne.
Intendiamoci. C'erano, tra i miei coetanei, quelli che si mettevano a berciare cose orrende dagli spalti degli stadi o a scriverli sui muri dei cessi. Roba tipo, chessò: Milanisti al forno, Juventini per contorno - o anche slogan esplicitamente antisemiti. Ci ho discusso, litigato, fatto a botte. E so che erano consapevoli di compiere una trasgressione, quando urlavano di voler ricostruire Aushwitz. Si identificavano con i cattivi, perché in una certa fase della vita l'adolescente piccolo borghese o medio, o proletario è quello che fa. Le prove di identità. Che passano anche attraverso il ruolo del cattivo, quello che nel libro Cuore si identifica come effetto Franti ("e l'infame sorrise").
C'erano, tra i miei coetanei, e non sono neanche poi tanto cambiati, anche cattolici o gente di sinistra. Pure per loro Auschwitz è il confine oltre il quale non si deve andare. Magari parlano di Auschwitz a sproposito, per dirti che non solo gli ebrei sono stati perseguitati. Sai che bella scoperta, mi vien da dire. O per fare paragoni ad minchiam, con gli indio sudamericani o con i palestinesi (e te pareva). Ma nessuno, ripeto, nessuno, si vuole mischiare con i negazionisti. Ti dicono, tutti: sì, è successo, però... E anche se quel però mi fa ribollire il sangue, e quel che segue di solito mi fa girare le orchidee, non è questo il punto. Il punto è il disgusto che i negazionisti ispirano a chi, come me, adesso ha sui trenta-quarant'anni.
Quelli che dicono che ad Auschwitz qualcosa non è successo ci fanno istintivamente schifo; più dei signori che sostengono che la Terra è piatta, che l'uomo non è mai stato sulla Luna e che Paul McCartney è morto nel 1966 - gente bislacca con cui i negazionisti di solito si accompagnano, perché ne condividono il metodo. Che consiste nell'affermare che l'è tutto un complotto e solo i fighi come noi riescono a capire come stanno veramente le cose, riescono a non farsi fregare e soprattutto hanno capito chi ci guadagna e adesso dobbiamo deprogrammare le masse. Non si tratta solo del fatto che noi tutti, più o meno, sappiamo che Paul McCartney è vivo (e fa della musica di merda) e che la Missione Apollo ci piace così come è, con la storia del piccolo passo per un uomo e il grande passo per l'umanità.
Chi sostiene che la Shoah è una favola raccontata dai sionisti, o dai loro sostenitori (naturalmente sempre fanatici) ispira orrore perché si mette al di fuori non solo del buon senso, ma del patto stipulato all'uscita della Seconda Guerra Mondiale, da coloro che hanno formato i nostri docenti e genitori, e che recita: mai più sterminio in serie, industrializzato, mai più esperimenti su esseri umani, mai più società basate sul culto del sangue, mai più organizzazioni collettive con il fine di sterminio e di ridurre in schiavitù. E lo so benissimo che non sempre questo patto è stato osservato (chessò, per esempio in Sudafrica) - anche se dubito che in altri momenti della storia, oltre alla Shoah, la logica dello sterminio sia stata più forte di quella del capitale. Ma questo patto tra formatori c'era: ci sono cresciuti dentro, riuscendo anche ad armonizzare i contrasti derivanti dall'immigrazione, tutti gli italiani che adesso hanno dai venticinque ai quarantacinque anni, pure i fascisti, pure i cattocomunisti, pure i centrosociaroli, pure tutti gli altri - che sono la vastissima maggioranza, come attestano i risultati elettorali.
Ecco, ai redattori de Il manifesto, che questa volta hanno scelto il basso profilo -e non gli articoli della Rossanda- mentre il compagno Moffa invitava in cattedra il cacciapalle Faurisson, vorrei dire che stanno perdendo il contatto proprio con la mia generazione. Che, a lungo andare, non significa rimanere un giornale di nicchia ma proprio un quotidiano senza più lettori. Scelte loro, evidentemente. E, sospetto, alquanto condizionate dalle peculiari prospettive sulla politica mediorientale. Poi certo, come si dice: la memoria è soggettiva, ognuno ne fa quel che gli pare. A me però dispiace che scompaia la memoria del confine tra critica legittima e propaganda antisemita e razzista. Un confine che, forse, ho contribuito a costruire, ficcando una copia di una rivista n una busta e spedendola a Roma, all'attenzione della ragazza del secolo scorso.
Il che, devo dire, mi sorprende. Nel 1994 trovai nella libreria univeristaria della mia città una copia del famoso numero della rivista La lente di Marx ("Ebrei brava gente") con cui il compagno Moffa cercava di richiamare l'attenzione della sinistra italiana sulla "questione ebraica" e sul ricatto morale che gli ebrei esercitavano nei confronti del mondo intero. La rivista era accompagnata da un bell'elenco di nomi, ad uso di commissioni concorsuali, di ebrei o filo-ebrei (pardòn: sionisti) presenti nell'Università italiana. La cosa mi sembrò oltremodo preoccupante, sicché feci qualche telefonata alla mia radio preferita. Mi fecero parlare con una signora che si occupava di libri e recensioni e che non sembrò particolarmente allarmata.
Acquistai allora una copia della rivista e la spedii a Il manifesto e qualche giorno dopo la Rossanda se ne uscì con un articolo memorabile (altro che il trafiletto di cui sopra), in cui diceva al compagno Moffa, più o meno, di tornarsene nelle fogne. All'articolo de Il manifesto seguì, come usava, un ampio dibattito (ricordo un articolo su Linea d'Ombra, per esempio) ed una accorata denuncia collettiva da sinistra. La vicenda ebbe l'effetto di tracciare un confine oltre il quale la critica alle politiche di Israele diventava puro e semplice antisemitismo. Un gran risultato, per quella sinistra che -culturalmente- stava uscendo dalla Guerra Fredda.
E quando i ragazzi del ghetto di Roma fecero la loro passeggiata nella sede del gruppo skinhead (ricordate?) la Rossanda ne scrisse un altro, di memorabile articolo. Non se lo ricorda nessuno, ma la settimana prima erano comparsi, sulle saracinesche delle botteghe del centro, delle stelle gialle, appiccicate (forse) e rivendicate (con orgoglio) dalle teste pelate de cuius. La Rossanda spiegava che gli ebrei avevano fatto, perché potevano farlo, quel che senegalesi, rom e albanesi non potevano fare: autodifesa, in una Italia che andava diventando sempre più schifosamente razzista.
L'appello contro la presenza di Faurisson in un aula universitaria (pubblicato con poco risalto dal quotidiano comunista) è stato firmato anche da docenti (e compagni) per nulla teneri con la politica dello Stato di Israele e persino con la storia della sua formazione. A maggior ragione (e visti i pregressi), mi stupisce il basso profilo de Il manifesto sulla vicenda Moffa-Faurisson. Come dice un personaggio di Altan: mi vengono pensieri che non condivido. Tipo questo: dalle parti di via Tomacelli la negazione della Shoah è diventata politicamente legittima. Oppure: voi ve la sentireste di battervi per la libertà di docenza di un certificato cacciapalle?
Perché in questione non c'è la libertà di parola di Faurisson. Lui può dire quel che vuole, a patto che ne subisca le conseguenze. Gli ultrà della curva, che urlano Zingari, ai forni! non tirano fuori i loro striscioni nei pressi dei campi nomadi. E Umberto Bossi, non va a fare un giro per Spaccanapoli o Secondigliano. Se succedesse, sia l'onorevole ch egli ultrà prenderebbero la loro dose di legnate di autodifesa. Chi apporta questo genere di contributi (le legnate, appunto) di solito è anche pronto a pagarne le conseguenze in tribunale - e sta qui la differenza tra un democratico e un fascista, il fascista pretende di sostituirsi allo Stato, anche quando esercita violenza. Faurisson, tra l'altro, ha la spiacevole abitudine di farsi vedere in luoghi dove passano ebrei: questo non mette a rischio la sua libertà di parola, questo lo espone alla reazione delle vittime di persecuzioni, vittime che sono poi dispostissime a farsi processare. Perché i fascisti non sono loro, il fascista è chi pretende che ci sia una Storia ufficiale (che stabilisce l'esistenza di camere a gas ad Auschwitz) la quale Storia ufficiale va sostituita con un'altra - che stabilisce che i non ebrei sono vittime di una illusione ottica preparata dagli ebrei.
La "Storia ufficiale" non esiste. Chiunque può insegnare la storia che crede, purché lui appartenga alla comunità degli storici e si basi su testi, propri o altrui, approvati dalla comunità degli storici. In questione infatti non c'è la libertà di parola di Faurisson, ma quella di docenza. Non si può decidere cosa va insegnato sulla base di una logica che consente di negare l'esistenza di camere a gas ad Auschwitz, oppure di affermare l'esistenza di un complotto ebraico, nel mondo della storia, dell'educazione, dei media (insomma: il controllo dei media) a tutto vantaggio dello Stato di Israele. Ecco, io credo che queste puttanate non vadano insegnate. E un tribunale francese spiega che Faurisson è un cacciapalle, proprio perché nei suoi corsi e nei suoi libri ha cercato di insegnare questa roba.
Quelli de Il manifesto (come la signora della radio, tempo fa), stavolta, probabilmente, non sono d'accordo. E va bene, per loro. Non per me: io voglio essere capace di non sputare quando vedo la mia faccia allo specchio. Ma le loro scelte sono affari loro. Però io vedo un rischio. La mia generazione ha trovato sulle cattedre i primi insegnati formatisi dopo la caduta del Fascismo. Ci è stato insegnato, fin da quando abbiamo imparato a leggere, che Auschwitz è l'orrore puro: c'è chi lo vede come somma di orrori, chi lo vede come parametro per misurare altri orrori, chi lo vede come un buco nero con cui non è possibile alcun paragone. Ma, qualunque sia l'opinione, per la mia generazione una comunità civile è tale, civile appunto, solo se si stabilisce un confine chiaro, quello del mai più. Chi vuole ricostruire Auschwitz va tenuto, come scriveva la Rossanda il secolo scorso, nelle fogne.
Intendiamoci. C'erano, tra i miei coetanei, quelli che si mettevano a berciare cose orrende dagli spalti degli stadi o a scriverli sui muri dei cessi. Roba tipo, chessò: Milanisti al forno, Juventini per contorno - o anche slogan esplicitamente antisemiti. Ci ho discusso, litigato, fatto a botte. E so che erano consapevoli di compiere una trasgressione, quando urlavano di voler ricostruire Aushwitz. Si identificavano con i cattivi, perché in una certa fase della vita l'adolescente piccolo borghese o medio, o proletario è quello che fa. Le prove di identità. Che passano anche attraverso il ruolo del cattivo, quello che nel libro Cuore si identifica come effetto Franti ("e l'infame sorrise").
C'erano, tra i miei coetanei, e non sono neanche poi tanto cambiati, anche cattolici o gente di sinistra. Pure per loro Auschwitz è il confine oltre il quale non si deve andare. Magari parlano di Auschwitz a sproposito, per dirti che non solo gli ebrei sono stati perseguitati. Sai che bella scoperta, mi vien da dire. O per fare paragoni ad minchiam, con gli indio sudamericani o con i palestinesi (e te pareva). Ma nessuno, ripeto, nessuno, si vuole mischiare con i negazionisti. Ti dicono, tutti: sì, è successo, però... E anche se quel però mi fa ribollire il sangue, e quel che segue di solito mi fa girare le orchidee, non è questo il punto. Il punto è il disgusto che i negazionisti ispirano a chi, come me, adesso ha sui trenta-quarant'anni.
Quelli che dicono che ad Auschwitz qualcosa non è successo ci fanno istintivamente schifo; più dei signori che sostengono che la Terra è piatta, che l'uomo non è mai stato sulla Luna e che Paul McCartney è morto nel 1966 - gente bislacca con cui i negazionisti di solito si accompagnano, perché ne condividono il metodo. Che consiste nell'affermare che l'è tutto un complotto e solo i fighi come noi riescono a capire come stanno veramente le cose, riescono a non farsi fregare e soprattutto hanno capito chi ci guadagna e adesso dobbiamo deprogrammare le masse. Non si tratta solo del fatto che noi tutti, più o meno, sappiamo che Paul McCartney è vivo (e fa della musica di merda) e che la Missione Apollo ci piace così come è, con la storia del piccolo passo per un uomo e il grande passo per l'umanità.
Chi sostiene che la Shoah è una favola raccontata dai sionisti, o dai loro sostenitori (naturalmente sempre fanatici) ispira orrore perché si mette al di fuori non solo del buon senso, ma del patto stipulato all'uscita della Seconda Guerra Mondiale, da coloro che hanno formato i nostri docenti e genitori, e che recita: mai più sterminio in serie, industrializzato, mai più esperimenti su esseri umani, mai più società basate sul culto del sangue, mai più organizzazioni collettive con il fine di sterminio e di ridurre in schiavitù. E lo so benissimo che non sempre questo patto è stato osservato (chessò, per esempio in Sudafrica) - anche se dubito che in altri momenti della storia, oltre alla Shoah, la logica dello sterminio sia stata più forte di quella del capitale. Ma questo patto tra formatori c'era: ci sono cresciuti dentro, riuscendo anche ad armonizzare i contrasti derivanti dall'immigrazione, tutti gli italiani che adesso hanno dai venticinque ai quarantacinque anni, pure i fascisti, pure i cattocomunisti, pure i centrosociaroli, pure tutti gli altri - che sono la vastissima maggioranza, come attestano i risultati elettorali.
Ecco, ai redattori de Il manifesto, che questa volta hanno scelto il basso profilo -e non gli articoli della Rossanda- mentre il compagno Moffa invitava in cattedra il cacciapalle Faurisson, vorrei dire che stanno perdendo il contatto proprio con la mia generazione. Che, a lungo andare, non significa rimanere un giornale di nicchia ma proprio un quotidiano senza più lettori. Scelte loro, evidentemente. E, sospetto, alquanto condizionate dalle peculiari prospettive sulla politica mediorientale. Poi certo, come si dice: la memoria è soggettiva, ognuno ne fa quel che gli pare. A me però dispiace che scompaia la memoria del confine tra critica legittima e propaganda antisemita e razzista. Un confine che, forse, ho contribuito a costruire, ficcando una copia di una rivista n una busta e spedendola a Roma, all'attenzione della ragazza del secolo scorso.
1 commento:
le stelle le merde le attaccorono a viale libia e via tuscolana, al centro all'epoca non avevano assolutamente la forza ed il coraggio di avventurarsi.
(purtroppo molte cose son cambiate)
altri episodii di antirazzismo ed antifascismo memorabili furono l'assedio al tribunale militare a via degli acquasparta dopo la vergognosa assoluzione di priebke (compiuta congiuntamente da ebrei ed autonomi) e la contestazione di georg heider (stavolta separatamente ma fisicamente nello stesso posto).
piccola nota a margine sulle stelle: pare fossero stampate dalla famigeraterrima nsdap-ao (con sede nei "sionisti" stati uniti) il quale referente italiano all'epoca, almeno in base ai "si dice" giornalistici, era il genero di pino rauti, l'attuale onorevole ed ex-ministro gianni alemanno.
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