cosmologie
Un ebreo Reform non si riconosce: non porta la kippà 24 ore al giorno, non indossa abiti con gli zizzit… La nostra identità ebraica è quella del 90% degli ebrei: non esibita. Per me questo è un vantaggio, un di più. L’appartenenza vissuta nell’interiorità è senz’altro molto più affascinante e ricca delle uniformi e delle divise. Ma per qualcuno questo è un di meno. Nella bizzara rappresentazione che ha preso piede nei media italici l’Ebraismo è un universo che ha al proprio centro gli shtetl dell’Europa dell’Est, dove una massa di cenciosi proletari (con barba e zizzit) parla pensa e prega in yddish al mercato, mentre le donne stanno in casa. E tutto il resto è fuori dal centro, verso la periferia, ovvero è un di meno di Ebraismo. Un poco lontani dal centro ci sono i Lubavitch, che ahimé sono sionisti, che terribile concessione alla modernità! Poi un passo verso l’esterno e ci sono gli ortodossi, un passo ancora in fuori e ci si toglie la kippà, un altro passo e non c’è più la kasherut ecc. ecc. In fondo in fondo, nell’estrema periferia, inconfondibili dal mondo contemporaneo, ci siamo noi Reform che di ebraismo (o di cultura ebraica) abbiamo meno degli altri.
Questa rappresentazione seduce, anzi: irretisce, chi va alla ricerca di identità forti. Hai voglia a spiegare che l’Ebraismo non è questione di percentuali o di gradi, che o sei ebreo o non lo sei, che lo puoi diventare (e lo diventi solo se superi un dato confine), che non ci sono i gradi intermedi. Tutto inutile: il bisogno di identità forti va di pari passo con la autenticità immaginata. Ovvero: tanto tu senti il bisogno di avere una identità forte, da esibire tramite simboli esterni, tanto immagini che da qualche parte (tipicamente, in qualche villaggio polacco prima della Shoah) sia esistito un Ebraismo pieno, autentico e immune dagli sconvolgimenti che la storia porta con sé. Una specie di “quando i mulini erano bianchi” in cui l’osservanza della Torah traccia i confini di un ordine sociale e naturale al tempo stesso – cioè un ordine sociale immaginato come naturale. Con le donne, appunto, relegate al ruolo di madri e mogli e gli uomini che portano i pantaloni. E la barba. E hanno gli tzitzit
Questa fantasia collettiva potrebbe essere uno dei casi in cui la cultura del narcisismo di matrice consumista, va di pari passo con le fantasie di matrice cattolica sulla storia come caduta dall’Eden nel peccato e della contaminazione: un incrocio di temi che secondo me è la caratteristica di fondo dell’ideologia italiana. Prometto di occuparmene.
Qui invece vorrei solo dire la tristezza che mi ispirano coloro che va alla ricerca di una identità (ebraica) forte e visibile e ne escono con indosso la divisa. Tristezza, perché svalutano enormente quello che sono o quel che sono stati fino al momento in cui han deciso di diventare “più osservanti”. A volte, non sempre, diventano “più studiosi”, il che non è affatto male – magari sarebbe meglio se si riuscisse anche a distinguere tra la Mishnah e gli aneddoti sulla vita del Rebbe…
Questa rappresentazione seduce, anzi: irretisce, chi va alla ricerca di identità forti. Hai voglia a spiegare che l’Ebraismo non è questione di percentuali o di gradi, che o sei ebreo o non lo sei, che lo puoi diventare (e lo diventi solo se superi un dato confine), che non ci sono i gradi intermedi. Tutto inutile: il bisogno di identità forti va di pari passo con la autenticità immaginata. Ovvero: tanto tu senti il bisogno di avere una identità forte, da esibire tramite simboli esterni, tanto immagini che da qualche parte (tipicamente, in qualche villaggio polacco prima della Shoah) sia esistito un Ebraismo pieno, autentico e immune dagli sconvolgimenti che la storia porta con sé. Una specie di “quando i mulini erano bianchi” in cui l’osservanza della Torah traccia i confini di un ordine sociale e naturale al tempo stesso – cioè un ordine sociale immaginato come naturale. Con le donne, appunto, relegate al ruolo di madri e mogli e gli uomini che portano i pantaloni. E la barba. E hanno gli tzitzit
Questa fantasia collettiva potrebbe essere uno dei casi in cui la cultura del narcisismo di matrice consumista, va di pari passo con le fantasie di matrice cattolica sulla storia come caduta dall’Eden nel peccato e della contaminazione: un incrocio di temi che secondo me è la caratteristica di fondo dell’ideologia italiana. Prometto di occuparmene.
Qui invece vorrei solo dire la tristezza che mi ispirano coloro che va alla ricerca di una identità (ebraica) forte e visibile e ne escono con indosso la divisa. Tristezza, perché svalutano enormente quello che sono o quel che sono stati fino al momento in cui han deciso di diventare “più osservanti”. A volte, non sempre, diventano “più studiosi”, il che non è affatto male – magari sarebbe meglio se si riuscisse anche a distinguere tra la Mishnah e gli aneddoti sulla vita del Rebbe…
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