sabato, giugno 09, 2007

te lo do io il Messia

mixed moltitudes scrive, piuttosto irritato, a proposito di una incursione di emissari Chabad nel suo ufficio. Prima o poi qualcuno mi busserà alla porta per chiedermi se ho fatto il mikwe, dice. Come dargli torto. Sul successo di Chabad sono stati versati i proverbiali fiumi di inchostro (e di byte): e chi ha scorso questo blog sa come la penso su di loro - i messianisti mi ispirano diffidenza persino quando hanno il culto di Che Guevara, figurarsi se mi possono stare simpatici quelli col culto di Schneerson. Come la stragrande maggioranza degli ebrei, metto i tefillin quando e come ne ho voglia io (e/o la mia tradizione) e non in mezzo ad una strada e soprattutto assieme a mia moglie.

Però c'è qualcuno a cui piace essere importunato. C'è chi si inorgoglisce nel raccontare che anche lui (lui, mai lei) è stato avvicinato da un signore con la barba armato di lacci di cuoio. Lo prende come un segno di riconoscimento, di appartenenza, di identità. Mentre dall'altra parte c'è del marketing religioso, lo stesso stile, gli stessi strumenti (e lo stesso fervore messianico) dei Testimoni di Geova - e le stesse posizioni reazionarie a proposito del rapporto tra religione e politica.
Sul bisogno di segni esteriori ci sarebbe da fare un lungo discorso. Come pure, in generale, sul bisogno di identità. Certo Chabad sanno cogliere questa domanda (in senso commerciale) e cercano di farla incontrare con la loro offerta. E le comunità liberali hanno poco da offrire a chi va in cerca di appartenenze esibite, di norme e statuti dettati direttamente da Dio. A proposito, bella questa riflessione di Mordechai Kaplan: la concezione tradizionale della rivelazione è immorale perché è incompatibile con i valori ebraici di uguaglianza e di tolleranza.

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