martedì, giugno 26, 2007

tradizioni

In una sala del Museo della Diaspora di Tel Aviv campeggia una frase di Israel Salanter: se un rabbino va sempre d'accordo con la sua comunità, c'è qualcosa di sbagliato. Che è a dire che tra i rabbini e il resto del popolo ebraico non c'è mai stato un rapporto sereno, fatto solo di comprensione. Posso assicurare che non è vero sempre, ma quasi sempre sì. Il ruolo dei rabbini è anche quello di indicare confini, e non è sempre gradevole sentirsi dire che oltre quella linea non si può andare. Questo rapporto, diciamo, complesso tra il rabbino e i suoi datori di lavoro è caratteristico di tutte le correnti dell'Ebraismo: Haredi, Ortodossi, Masorti, Reform (o Liberal) e Ricostruzionisti. E questo perché la nostra civiltà è essenzialmente democratica e non è molto facile mettere a tacere ebraicamente qualcuno, facendo appello al principio di autorità. Un ebreo ortodosso in lite con i rabbini ortodossi è e resta un ebreo ortodosso.
Non basta essere in dissenso con i rabbini ortodossi per essere ebrei Reform. Questo è qualcosa che in Italia è difficile capire, perché il fascismo ha costruito una struttura istituzionale unitaria in cui la leadership e la rappresentanza sono affidate ai rabbini ortodossi. E una mentalità secondo cui l'unità viene prima di tutto, anche (e soprattutto, vien da dire) dei princìpi. Sì, piacerebbe anche a me (e a mia figlia) che le donne potessero studiare per diventare rabbino. A dire la verità lo trovo giusto. Però non voglio rompere la nostra unità (=non voglio mettermi contro il rabbino, che è maschio), quindi mi tengo per me i miei princìpi e continuo a frequentare (e, se proprio devo, a finanziare) una sinagoga in cui si insegna che è proibito, perché lo dice Dio (anzi: D-o).
Sta di fatto che i rabbini italiani, negli ultimi anni, come tutti i loro colleghi d'Europa, si sono allineati alle posizioni più retrive. Ed è finita quella che era una ortodossia, si può dire, all'italiana, in cui il rigore dei precetti era temperato dalle caratteristiche di un ebraismo familiare, in cui -all'interno di una stessa città- tutti conoscevano tutti ed erano più o meno imparentati con tutti. Intendiamoci: a me va benissimo che si celebrino matrimoni in cui uomini e donne stanno separati (contrariamente al costume italiano tradizionale) e che il rabbino, che è anche ufficiale di stato civile, dica pubblicamente agli sposi che la halachà è più importante della Costituzione (è successo, è successo). Mi va benissimo, perché si pone così una scelta: gli ebrei d'Italia già affollano le piccole sinagoghe Reform, dove uomini e donne possono sedere accanto tutto l'anno e dove non si spiega che la halachà in contrasto con quella Costituzione per cui i nostri nonni hano dato il sangue. Voglio dire che l'area del dissenso verso l'ortodossia ultimo modello che si vuole imporre/importare in Italia è vasta. Ma l'Ebraismo Reform, o Liberal, non è solo questo dissenso verso le scelte dei rabbini ortodossi. Ha una tradizione ormai più che secolare, che inizia nella Germania napoleonica, avverte con anticipo l'imminenza della catastrofe in Europa e si trasferisce negli USA, realizzando l'esperimento attualmente meglio riuscito di integrazione tra Ebraismo e modernità.
Una storia che conosce certo anche punti di contatto con gli altri movimenti (soprattutto i Masorti) ma che non autorizza certo a considerare l'Ebraismo Reform meno ebraico di altri, più legati alla pratica medievale. Basta scorrere i materiali preparatori della piattaforma di Pittsburgh (ubblicati nel 1985 a cura di Walter Jacob e purtroppo, ad oggi, non sono presenti in alcuna biblioteca italiana) per rendersi conto che non esiste alcun ritorno dei Reform alla tradizione. Peché i Reform stessi sono la tradizione ebraica, che con il mondo non ebraico ha sempre dialogato, sulla base del princìpio ebraico secondo cui una scintilla di divino è presente in ogni essere umano. Semmai sono gli ortodossi a mettersi in contrasto con il mondo intero -e con la massa degli ebrei che in quel mondo ci vivono. Questo per via della loro versione sempre più rigida di quel feticcio che chamano halakhà (lo sapete che di Shabbat non si può -più- prendere in braccio un bambino?), il cui scopo, neanche tanto nascosto, è rafforzare il potere di esponenti maschi di dinastie rabbiniche dai sedicenti quarti di nobiltà. O di partiti politici integralisti, che non è poi tanto diverso.

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