sull'immaginario rossobruno
Un paio di note a margine del bellissimo articolo di Uriel sui rossobruni e le astrazioni della politica. La storia ideologica dei rossobruni non inizia, cioé, con le recenti circonvoluzioni di Costanzo Preve e del campo antimperialista. Pietro Ingrao, per esempio, è stato uno dei giovani fascisti più brillanti, ed in politica internazionale il fascismo portava avanti un discorso diciamo così antimperialista, all'interno del quale la perfida Albione godeva degli attributi che gli ingraiani di oggi riservano agli USA, pure loro protestanti (ed ebraici, da quando i posti chiave sono occupati dalla lobby neoconplutosionista). I valori in base ai quali Dario Fo si permette di gettare fango complottista sullo Stato degli ebrei ed il sionismo sono gli stessi che lo spingevano ad azioni ben note durante la Seconda Guerra Mondiale. Uno dei miei nonni è stato partigiano nella Repubblica dell'Ossola, dove poi ho passato le estati della mia adolescenza- e guarda che strano il mio gruppo di amici era composto di nipoti di partigiani, mentre quelli con cui ci si scazzottava più volentieri erano i nipoti dei fascisti (di quelli rimasti vivi, voglio dire: perché con un solo gesto contro i tedeschi avevano riscattato un ventennio di servilismi). Posso assicurare che ci sono precise ragioni per cui Dario Fo non si è mai fatto vedere nelle valli che ha percorso da giovane, "a cercare la bella morte", assieme a quei fascisti che continuarono nel loro servilismo.
Dario Fo e Pietro Ingrao sono solo due esempi, e neanche dei più disgustosi, della fauna che popola il pianeta della sovrapposizioni tra fascismo e terzomondismo. Un pianeta che merita di essere indagato, perché sotto le biografie c'è un terreno ideologico comune, fatto di esaltazione della austera e semplice Italia rurale contrapposta alla metropoli imperiale e corruttrice. Un quadro di valori che è stato tirato in ballo anche per fondare la politica estera, che novità, filoaraba. Ma che soprattutto ha fondato un immaginario fatto di opposizioni, Così se la parte del Bene è occupata dal mito dell'idillio immutabile (e gerarchicamente ordinato), la parte del Male è occupata dall'imperialismo (attenzione: da una parte degli uomini, dall'altra una ideologia) che distrugge con il denaro i legami ancestrali tra l'individuo e la terra. Dentro questo quadro ideologico gli ebrei sono, più o meno come tutto il resto, un simbolo. Ma sono un simbolo ambiguo.
Coerentemente con una storia ideologica che comprende anche pagine non proprio entusiasmanti di Marx, gli ebrei sono visti come agenti del capitalismo, che dissolve legami e sradica ulivi per impiantarvi centri commerciali. Ma siccome l'ideologia del sangue e del suolo ha portato alla Shoah, l'immaginario rossobruno, per mantenersi puro, deve manipolare anche la Shoah. Abbiamo quindi sensazionali rivelazioni, sul fatto che non solo gli ebrei ne sono stati vittime (fatto che nessuno nega, anche se forse sarebbe bene distinguere tra internamento e sterminio, per dire), che le sofferenze ebraiche sono state ingigantite per legittimare una catastrofe uguale o peggiore fatta patire ai palestinesi, fino al ridimensionamento, laddove la Shoah diventa solo uno dei tanti capitoli della storia dell'infamia umana. Perché l'uomo è cattivo e peccatore: il sottotesto cattolico di questa lettura della Shoah, così centrata sulle categorie della colpa, è fin troppo evidente.
L'immagine dell'ebreo che popola gli incubi dei rossobruni è infatti la stessa del fondamentalismo cattolico, che l'area antimperialista ha sdoganato, dopo gli anni in cui quel genere di nostalgie erano rappresentate da Irene Pivetti. Grazie a padre Benjamin e alle sue tirate contro i sei milioni (un numero a caso...) di bambini arabi uccisi indovina da chi, personaggi come Maurizio Blondet e Luigi Cuppertino sono usciti dalle fogne, hanno allargato il proprio pubblico in maniera insperata, dopo aver nascosto la camicia nera sotto il manto della religiosità comune a islamici e cattolici, coalizzati indovina contro quale nemico. Esito prevedibile, perlomeno da quando i libri di Israel Shahak hanno iniziato a venir pubblicati per le case editrici lefebvriane. Se l'antisemitismo è, soprattutto, la paura del potere degli ebrei, il cattolicesimo integralista si esercita da decenni ad attribuire al predetto eccessivo potere più o meno tutto quel che succede di male nel mondo, dalla breccia di Porta Pia in poi.
Nell'allucinato immaginario rossobruno, gli ebrei hanno potere perché c'è stata (o perché fanno credere ci sia stata) la Shoah. In altre parole: siccome esiste l'antisemitismo - o siccome gli ebrei sanno usare l'accusa di antisemitismo, gli ebrei (oppure Israele) hanno conquistato il potere di cui attualmente godono; e che, ovviamente, è pericoloso per l'intera umanità. Ecco perché una delle occupazioni preferite dai rossobruni è trvare i nuovi antisemitismi. Non soltanto i brutti libri della Fallaci sarebbero una versione anti-araba dei Protocolli dei Savi di Sion, ma esisterebbe anche un anti-latinoamericanismo (che si esprime quando non si plaude a Chavez e a Castro con il dovuto entusiasmo) ed ovviamente un anti-antifascismo. Le categorie prossime al Bene diventano nientemeno che delle razze e sono così ancora più prossime al bene assoluto. E se si continua a parlare di Shoah o di antisemitismo, si finisce per fare un favore alle forze del Male. E diventa così possibile sostenere che i palestinesi non si stanno ammazzando tra di loro (clan contro clan, più che partito contro partito) ma che muoiono perché il mondo intero è ricattato con l'accusa di antisemitismo.
Come se a Gaza la gente morisse perché bombardata con copie dei libri di Primo Levi.
1 commento:
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hanno allargato il proprio pubblico in maniera insperata,
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Beh , beh, "allargato". Oddio, se il loro pubblico e' ingrassato non lo so, ma a me non sembrano proprio degli scrittori di best seller...
Uriel
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