martedì, settembre 11, 2007

elogio dei Classical Reform

Tipicamente la sinagoga americana media non è lo shtibl delle barzellette di Moni Ovadia o il santuario italiano post-emancipazione - semideserto, tranne a Kippur. Nella tipica sinagoga americana uomini e donne siedono accanto, e di solito la funzione viene condotta in lingua inglese. In ebraico si canta e il cantore legge dal Sefer (ma quasi sempre con traduzione inglese). La gran parte delle sinagoghe americane, quelle in cui sono cresciuti i miei compagni e i loro geniori, sono sinagoghe così. E si definiscono Classical Reform.
In Italia non ci sono molti libri che spiegano questo concetto - perché agli italiani gli ebrei piacciono esotici, lontani nel tempo, impossibili da imitare e soprattutto perdenti. Mentre le sinagoghe Classical Reform non sono una faccenda di modeste proporzioni. Sono una faccenda iniziata quando gli ebrei tedeschi, poi immigrati in USA nell'Ottocento, hanno preso a distingere tra la parte profetica della Bibbia, gli alti insegnamenti di Amos e Isaia, e la ritualità esteriore, perceputa come caduca e condizionata da elementi non autenticamente ebraici. Sono notevoli le conseguenze di questa operazione intellettuale, che nell'ebraismo non sono una cosa così insolita, una distinzione di questo tipo è operata anche dal chassidismo - che è posteriore al movimento Reform, anche se adesso si presenta con le vesti dell'immutabilità. Gli ebrei tedeschi, a seguito di decisioni della maggioranza dei rabbini dell'epoca hanno potuto tagliarsi la barba, accettare la giurisdizione dello Stato (anziché quella delle corti rabbiniche) e accendere la luce di Sabato. Con una formula: hanno potuto incontrare la modernità.
Da qui vengono generazioni di rabbini e predicatori capaci di prendere posizione contro la schiavitù, di schierarsi a fianco dei minatori in lotta, di presentare il socialismo come orizzonte di emancipazione (nell'America del darwinismo economico...). I miei compagni di studio vengono da questo ambiente, che ovviamente è evoluto a partire dai primi del Novecento -che nei manuali è considerata l'epoca d'oro dei Classical Reform- ma che ha mantenuto intatta l'identificazione dei princìpi dell'Ebraismo con la giustizia sociale.
Tutto il dibattito sulle mitzwot si colloca dentro questo orizzonte. E' infatti ridicolo sostenere che le mitzwot si compiono perché lo ha decretato Dio: sappiamo che la Torah non è il dittafono di Dio, dove l'Onnipotente ha registrato il messaggio per i secoli avvenire. Né ha molto appeal, in America (dove la religione di maggioranza ha un dogma che si chiama predestinazione), predicare che chi fa il cattivo finisce all'inferno e allora nel mondo presente devi fare tanti fioretti che poi andrai in Paradiso. La forza dell'Ebraismo non sono i precetti, ma gli alti ideali etici: non opprimere lo straniero, l'orfano e il figlio della vedova. Che per i Classical Reform sono il filtro attraverso cui far passare la Tradizione, per decidere cosa merita di essere trasmesso alla generazione successiva. E anche questa idea della Tradizione, che vive solo se la si fa passare e la si reinterpreta, è qualcosa di profondamente ebraico e, di nuovo, è parte della cultura (più spesso inconsapevole) dell'Ebraismo americano.
Noi italiani ci arriviamo invece con procedimenti più intellettuali, quando ci arriviamo. Perché di solito tocca inciampare nel prevedibile imbecille che, fresco della lettura di Scholem, sostiene che l'ebraismo americano sarebbe assimilazionista, dal momento che è privo di caffettani neri e yddish (anche se la seconda privazione sarebbe un po' tutta da dimostrare). Che questo imbecille si autodefinisca di sinistra la dice lunga sulla sinistra italiana: da noi si amano gli ebrei quando sono "originari", quando sono pochi e quando sono sconfitti. Se non dai nazisti, perlomeno da Berlusconi. Oppure dal logorio della vita moderna.
Mi spiego. Proviamo a immaginare un confronto tra un ebreo ortodosso e un Classical Reform. Il primo è convinto che occorre seguire tutte le mitzwot perché così ha deciso Dio. E che aborre qualsiasi tentativo di distinguere, p. es. tra gli insegnamenti eterni e le disposizioni transitorie, dovute alle coordinate culturali dell'epoca (di cui comunque fanno parte anche gli ebrei) o a influenze esterne al mondo ebraico. Perché se si comincia a distinguere si finisce a ragionare come i cristiani, che distingendo tra materia e spirito della Legge hanno fondato qualcosa di esterno all'Ebraismo. In realtà la vita pratica dell'ebreo ortodosso è una serie di compromessi tra quel che non si dovrebbe fare e quello che purtroppo si è costretti a fare. Non si usa l'auto di Shabbat, significa: si va al tempio in auto e si parcheggia l'auto a distanza conveniente per non essere notati. Gli ortodossi più liberali sanno che le cose vanno così e allora parlano di gradi diversi di osservanza, in uno sforzo, a volte eroico, di ricondurre l'universo mondo dell'agire umano nelle categorie della halakha'. L'approccio Reform, è che gli esseri umani hanno sempre operato delle scelte tra quali mitzwot seguire e quali no. Peculiarità del Classical Reform è che il criterio in base al quale decidere sono i valori dell'insegnamento dei Profeti: in breve, la giustizia sociale. Spero sia chiaro perché gli ebrei americani hanno sostenuto in massa il movimento per i diritti civili e perché, ancora adesso, sono piuttosto diffidenti verso la amministrazione Bush.
Le sinagoghe Classical Reform non hanno il mikwe non perché si sono dovute prendere determinate decisioni finanziarie, e il mikwe costa troppo, e allora lo costruiremo un'altra volta. Non funziona così. Per i Classical Reform il mikwe è un esempio di stravolgimento dei valori dell'Ebraismo, perché collega l'impurità al corpo femminile, e in questo modo viene legittimata, anzi santificata, l'oppressione della donne. Non sto dicendo che sono d'accordo: in effetti, ci devo pensare. Sto solo facendo un esempio. E sono esempi che si potrebbero moltiplicare. E' questo approccio che ha fatto la grandezza dell'Ebraismo americano - il più riuscito esempio di integrazione di nuovi immigrati in una altra società. Viene da chiedersi perché non lo si potrebbe proporre ai musulmani che giungono in Europa, ma questo non è il punto. E' solo una riflessione sull'undici settembre, visto da qui.
Nota a margine: cattolici e ebrei, ambedue minoranze, hanno una lunga storia di intese e battaglie comuni, Oltreoceano. Ma c'è un significativo punto di distacco, ed è del 1926, nel pieno della affermazione dei Classical Reform. Le organizzazioni cattoliche iniziarono una battaglia contro la pubblicità di preservativi, che stava per essere legalizzata. Si aspettavano di trovare solidarietà tra gli ebrei, preoccupati come loro di questa degenerazione dei costumi. Ma la Conferenza dei Rabbini Americani rispose che il centro della morale familiare ebraica era la fedeltà reciproca e che il controllo delle nascite poteva essere un metodo per affrontare il problema della povertà. E così, nel 1929, gli ebrei furono la prima religione in America a favorire la contraccezione. Le chiese protestanti liberali avrebbero, poi, seguito il loro esempio.
Ma, ovviamente, qui parliamo solo di storia.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Sebbene capisca il senso di quello che dici spesso su Sholem, nell'ambito del dibattito dell'ebraismo italiano, continuo a pensare che "regalare" Sholem (e magari anche Benjamin) agli ortodossi sia un errore. Quella che andrebbe rifiutata è l'attualizzazione distorta di alcun tesi giovanili di Sholem, questo senza dubbio. Ma, al di là dei limiti del loro pensiero, in Sholem ed in Benjamin è presente una tensione alla dimensione profetica dell'ebraismo ed al tiqqun olam che mi pare li porti lontano dalla tradizione ortodossa prevalente - e credo che questo andrebbe altrettanto sottolineato.
Buon Rosh Hashanà,
A

alear@iol.it