sabato, ottobre 27, 2007

datemi un test

Sì, uno di quei test che trovi on line, che servono a decidere da che parte stai politicamente, o la tua percentuale di Take That inside, quale è la capitale europea in cui ti troveresti meglio (quello lo ho fatto, e non sono d'accordo con il risultato). Spiegatemi dove devo collocarmi.
Sono un ebreo reform e vivo a Gerusalemme. Ma, contrariamente al 90 per cento degli ebrei reform che sono a Gerusalemme, non sono ashkenazita, cioé quando ho l'influenza non mi curo col brodo di pollo ma col nasello, dire tefillah per me non significa fare la gara chi fa l'assolo più lungo, di Shabbat (e non Shabes) mi metto il talled (e non il tallis) e ho intenzione di regalarne uno a mio figlio quando avrà sette anni (sì, sette, prima che entri a minyan, ovvero il bar mitzeh). Sono convinto che qualsiasi cosa sia più buona se ci sono i pinoli, non vado pazzo per il gefilte fish, non sento alcuna parentela con Bob Dylan. Nelle occasioni sociali mi capita sempre di incrociare gente che è nata (o i cui genitori e nonni sono nati) non tanto lontano da qui, perlomeno dal punto di vista climatico: Libia, Iran, Marocco, Italia, Suriname (e non Bielorussia, Ucraina o Polonia). Con loro condivido la convinzione secondo cui uno che passa la notte al tavolo da gioco e poi va in sinagoga è un bravo ebreo e un ortodosso è uno che di Shabbat va a fare Shachrit in sinagoga e il pomeriggio allo stadio. La havdalah di solito la facciamo in casa. Inoltre dondoliamo (poco) di lato e non davanti, solo in pochi di noi si mettono il tallet sulla testa e quando la sinagoga a Kippur si svuota per l'yzkor ci guardiamo intorno chiedendoci se per caso, barminnan, non ci sia qualcuno che è svenuto. E a Kippur il momento più importante è sotto il talled - tutta la famiglia, ovviamente. E poi c'è quella storia dell'uovo - se è fecondato, noi buttiamo via solo il pezzettino rosso, gli ashkenazi tutto l'uovo. Il Talmud offre sempre due soluzioni, la strada stretta e quella più larga e ho imparato che noi siamo per la seconda. Embrionalmente Reform (sì, pensate pure all'uovo).
E poi c'è quel viscerale, pre-politico, attaccamento ad Israele. Lo condivido con i pochi altri sefarditi studenti miei colleghi - pochini, devo dire: una che ha la mamma di Rodi, uno che ha il babbo egiziano... Non ci piace, bederekh k'lal, partecipare a discussioni su Israele. Non abbiamo molta teoria. Israele certo è importante perché è l'unico posto al mondo che non metterà mai limiti all'immigrazione ebraica, limiti che qualche decennio fa andava di moda mettere. Israele è un esperimento, uno Stato in cui gli ebrei hanno responsabilità politiche, mai tentato prima e che sta dando anche ottimi risultati. Ci emoziona la storia della Haganah e del sionismo socialista, che qui ha un certo grado di ufficialità, ma anche quella del Lehi e dell'Irgun, non fosse altro che perché quella è stata la gente che ha accolto i sefarditi in fuga dal Nord Africa. Per pessime ed ideologiche ragioni, certo. Quando c'è stato da fare la pace con l'Egitto, c'era il Likud, con i suoi elettori bottegai e piccolo borghesi. Che hanno studiato e sono diventati avvocati ed ingegneri. Ne ho conosciuti. Ben Gurion è un nome che a loro non dice niente. Menahem Begin è per loro un eroe.
Ora succede che la mia mailbox è tempestata da gente che si è fissata che io sarei razzista perché sono sionista. Ho degli amici che vorrebbero io cogliessi l'occasione per rimettere le cose a posto e fornire una spiegazione del sionismo secondo le coordinate ideologiche di sinistra - in Italia ho sempre votato DS, Verde o Rifondazione, non dovrebbe essere difficle, mi dicono. Penso a quanti chiedono dei palestinesi e del perché non ne parlo (ma io non parlo nemmeno dei giordani e manco degli egiziani, se per questo: sono oleh chadash, uscire dai confini di questo Stato per questo anno è una faccenda troppo complicata). Ma sottintendono che se veramente io avessi fede nei valori universalistici dell'Ebraismo, allora dovrei vedere le similitudini tra i palestinesi e gli ebrei - però per quel che vedo da qui non c'è nessun piano di sterminio, nessun forno crematorio, nessun esperimento sui bambini, nessun progetto di costruire uno Stato basato su una gerarchia razziale. A tutta questa gente mi viene da rispondere che io mi preoccuperò dei diritti dei palestinesi quando vedrò loro, i difensori dell'umanità universale, indaffararsi per gli ebrei che sopravvivono (male) in Siria, Iran, Libano e posti così. Per la loro, vivaddio, memoria. Gente che ha lasciato là tutti i beni ed è potuta uscire solo in mutande e che in questo Paese ha trovato pane, lavoro e un tetto. Gente come me. Cresciuti magari lontano dalla equazione automatica ebraismo=bolscevismo, che per quel che ne so era più cara agli antisemiti che agli ebrei. Ma certo cresciuti ebrei. Buoni ebrei. C'è qualcosa di male nel fatto che abbiamo trovato casa?

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