mercoledì, dicembre 26, 2007

questo non è un post

Quale è la ragione che spinge gli israeliani a dare risposte assurde?
-Vorrei comprare un Ipod da 16 giga.
-Perché piuttosto non ti compri una chitarra elettrica? Guarda qui, con questa è in regalo anche la cinghia e pure delle corde di riserva.
Oppure:
-Scusa hai una sigaretta?
-Tu hai un preservativo?
La ragione principale, secondo me, è la fretta. Non comprare l'ipod, impara a suonare. Oppure: so che mi sai chiedendo una sigaretta perché vuoi che finiamo a letto.
Il fatto è che questa fretta causa delle maledettissime difficoltà di comunicazione con chi vive in luoghi meno stressati. Tipo l'Italia. Negli ultimi giorni mi è capitato di rimuginare sulla visione -diciamo a senso unico- della storia di Israele che molti ebrei di sinistra hanno in Italia. Una versione che mette tra parentesi questioni imbarazzanti, come il razzismo- il Labur ci perse le elezioni, per l'uso poco simpatico di espressioni razziste verso i sefarditi. Ad andare più indietro, all'epoca della Guerra di Indipendenza, si trovano cose ancora meno simpatiche - per esempio, la famosa stagione di caccia. E mi chiedevo: come mai tutte queste storie, che in Israele fanno parte della memoria collettiva, sono ignorate in Italia? Perché in Italia nessuno ne vuole sapere nulla? Probabilmente perché qui le si dà troppo per scontate. E perché là, in Italia, c'è qualcosa che impedisce di capire la sinistra israeliana.
Cioé in Italia l'appartenenza alla sinistra viene in qualche modo a confliggere con quella all'Ebraismo, e questo succede perché la definizione di Ebraismo è lasciata in mano ai rabbini ortodossi, che negli ultimi anni si sono fatti sempre meno inclusivi. A quelli che non sono rabbini, è rimasta poca possibilità di accedere alle fonti, che i rabbini considerano loro esclusivo patrimonio.
Il vuoto è riempito da un sentimento diciamo di appartenenza etnica. Al clero (perché i rabbini, diciamolo, si comportano sempre più da clero) la religione, al popolo la cultura - in tutte le sue accezioni, dal teatro yddish ai libri di cucina. E così si è creato quel kitsch che è fatto di musica klezmer e tanta mitologia - curiosamente, è una mitologia comune alla destra, secondo la quale più gli ebrei sono "autentici" più sono schierati a sinistra. E in ogni caso sono sempre Altrove rispetto all'Occidente. Che è di destra.
Chi coltiva una identità di questo tipo anela per avere musei al posto di sinagoghe. Perché per lui è centrale la Memoria. E gli va malissimo l'ebraismo non ortodosso, che è quello della maggioranza della Diaspora. Va malissimo ideologicamente perché più che coltivare la memoria si preoccupa di porre le basi per il futuro. E va malissimo persino non permette di distinguersi esteticamente dai noi ebrei - che schifo, è roba da americani, quindi roba da assimilati.
Queste sono state, negli ultimi anni, le coordinate culturali della sinistra ebraica italiana, che leggeva Scholem per scoprirci uno che era contro "le sinagoghe riformate" tedesche (e non tutte le sinagoghe tedesche, perché a lui tutti gli ebrei tedeschi, ortodossi inclusi, parevano degli assimilati). Che ha fatto della Memoria (della Shoah, e non di tutta la storia del popolo ebraico) il caposaldo della propria identità e ha lasciato ai rabbini ortodossi la definizione delle condizioni per il futuro.
Ecco, io volevo scrivere un post e raccontare queste mie ruminazioni. Poi apro il nuovo numero di Ha Kehillah e scopro che persino a Torino c'è chi si pone delle domande inedite, del tipo che senso ha per noi continuare a dirci ortodossi, quando il restringimento dell'ortodossia rischia di portare alla fine le nostre gloriose Comunità?
Va bene, nessuno scrive queste esatte parole, ma c'è chi ammette che fuori d'Italia gli ortodossi sono una minoranza e che i rabbini italiani adesso hanno le mani legate. E aggiunge che forse è il caso che di questioni come le conversioni si occupino i Consigli delle Comunità e non i soli rabbini (sarà consapevole l'autrice che questo significa uscire dall'ortodossia)? C'è chi propone il superamento della Comunità riconosciuta a livello istituzionale, al cui interno hanno pari diritto di cittadinanza tutti i diversi ebraismi.
Questo era il genere di domande che io e pochi altri ci ponevamo più di dieci anni fa. E per me queste domande sono diventate quel continuo interrogare i testi che mi ha portato qui.
Quindi, come ripeto, questo non è un post. Non sono nemmeno le mie rimuginazioni. E' che anche io da qui vorrei vedere un film. Solo che per me l'Italia non è uno schermo bianco, perciò immagino una scena in cui una sinagoga barocca torna a riempirsi di luce e di ebrei, e non c'è la mechitza. Non sono uno scroccone, e voglio pagare il biglietto: faccio tanti auguri a quelli di Ha Kehillah. E' bene che di certe cose si parli, che certe idee vengano finalmente enunciate a voce alta o addirittura scritte nero su bianco. Impensabile, fino a poco fa. Voglio sperare nel lieto fine, per il bene dei nostri figli. Cerea, neh.

1 commento:

ariela fajrajzen ha detto...

L'anno scorso mi hanno chiesto di leggere un saggio scritto da un prof del Bar Ilan di cui non ricordo il nome,che trattava degli argomenti che tocchi in questo post. Lui si riferiva particolarmente da una parte all'assimilazione e dall'altra agli ostacoli che deve sormontare un povero disgraziato che decide di diventare ebreo per matrimonio o altre ragioni. E vabbe', ma se non fossimo un po' strani, non saremmo così interessanti, no?
Cerea