lunedì, gennaio 28, 2008

e poi un fiasco d'olio

Il lirismo degli antisemiti si scatena quando possono avere a che fare con un cadavere.
I sinistri (o quasi) autori che popolano l'italica rete, particolarmente quelli che, non essendo ebrei, non hanno mai rischiato di venire dirottati dalla banda capeggiata da Georges Habash, abbrunano le proprie bandiere (1) e rendono omaggio al loro eroe, ovviamente morto in miseria perché sono fighi solo quelli che perdono - sennò questi come si identificano.
Apprendiamo così che Habbash era cristiano, laico, nazionalista, marxista e islamista. Insomma urla silenziose sotto il gelido solleone a mezzanotte quando il sole è alto in cielo e il cancello in mezzo al mare è spalancato per pemettere la fuga del cavallo morto. L'ANSA si accoda: nel comunicato stampa nessuna menzione delle vittime del FPLP.
A volte penso che si potrebbe tradurre in italiano qualcuna delle poesie di Uri Greenberg. Giusto per far vedere che anche da queste parti, quanto a retorica, non si scherza. Poi uno potrebbe fare il paragone tra la attività di Greenberg e quella di Habash. Un parlamentare che siedeva allo stesso tavolo dei suoi nemici più irriducibili (ed esterni al suo partito) e uno abituato a risolvere con il revolver le questioni ideologiche interne al suo movimento.

(1) In vita mia ho letto una sola volta questa espressione. Era sui manifesti che annunciavano il cordoglio per un leader del movimento operaio. Il quale si chiamava Giuseppe Saragat: il suo partito era il PSDI, laddove S stava per socialista. Ma il partito è passato alla storia per la regolare occupazione del Ministero dei Lavori Pubblici nell'epoca in cui le autostrade italiane collegavano la capitale con remoti angoli di provincia, che erano però collegi elettorali di parlamentari del predetto PSDI. Tutto questo asfalto avrà portato un gran contributo al movimento operaio e al progresso dell'umanità verso un futuro di pace. Ma Habash nemmeno quello.

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