ebreografie
Davvero bello il recente articolo di Stefano Jesurum pubblicato sul Corriere della Sera. C’è, più o meno, tutta la serie di problemi che gli ebrei italiani stanno attraversando. Lo svuotamento delle piccole comunità, dove le sinagoghe aprono ormai solo per Kippur; l’interesse di massa per la cultura ebraica in località dove non ci sono più ebrei; la contrapposizione tra Roma e Milano, tra una comunità che si identifica con il suo territorio e un’altra che vorrebbe essere melting pot.
C’è anche la crisi della sinistra ebraica. Bidussa dichiara defunto l'ebraismo italiano, mentre Magiar lo elogia, con un delizioso svarione (progressivi e riformati sono sinonimo, ma in riva al Tevere ancora non lo sanno ...) funzionale all'elogio dell'unità all’insegna dell’unità tra ortodossia religiosa e progressismo politico. Tutto questo mentre persiani, libici e libanesi continuano a sentirsi lontani dalle istituzioni ebraiche italiane (perché troppo “politicizzate”, ovvero di sinistra). I giovani emigrano in America o in Israele - questo significa, cari lettori, che per un ebreo vivere a Milano è difficile; non ci sono più le mezze stagioni, ma l’antisemitismo sì. L’ebraico “piccolo mondo antico” italiano sembra scomparire proprio mentre cresce l’interesse generale per l’Ebraismo.
In realtà i fenomeni che attraversano il microcosmo ebraico italiano riguardano tutta la Diaspora. I Lubavitch infatti si allargano e fanno proseliti un po’ ovunque. I modern-orthodox, cui si rifanno i rabbini italiani, e che fuori d’Italia sono una sorta di posizione (minoritaria) intermedia tra integralisti e liberali, sono in crisi un po’ ovunque. Soprattutto: gli esseri umani (ebrei inclusi) non sono delle carote e il feticismo delle radici è estraneo, per fortuna, all’Ebraismo, succede che anche in Italia immigrino ebrei cresciuti in luoghi dove gli ortodossi (modern- o meno) sono una minoranza: USA, Canada, Inghilterra, Argentina, Brasile… Queste famiglie gente nelle sinagoghe ortodosse si trovano molto male: le donne sono abituate a salire a Sefer e si sentono dire in maniera poco cortese che non saranno contate a minyan, le famiglie non amano che il rabbino faccia domande dettagliate sugli alberi genealogici. Quanto alle manifestazioni di “cultura ebraica” per come sono attualmente organizzate, i ragazzi non gradiscono concerti di musica klezmer in cui il pubblico indossa la kefiah. E così via. L’ebraismo italiano nel futuro sarà anche l’ebraismo di queste generazioni. Rabbini e presidenti di comunità, stando all’articolo di Jesurum, sembrano piuttosto impreparati.
C’è anche la crisi della sinistra ebraica. Bidussa dichiara defunto l'ebraismo italiano, mentre Magiar lo elogia, con un delizioso svarione (progressivi e riformati sono sinonimo, ma in riva al Tevere ancora non lo sanno ...) funzionale all'elogio dell'unità all’insegna dell’unità tra ortodossia religiosa e progressismo politico. Tutto questo mentre persiani, libici e libanesi continuano a sentirsi lontani dalle istituzioni ebraiche italiane (perché troppo “politicizzate”, ovvero di sinistra). I giovani emigrano in America o in Israele - questo significa, cari lettori, che per un ebreo vivere a Milano è difficile; non ci sono più le mezze stagioni, ma l’antisemitismo sì. L’ebraico “piccolo mondo antico” italiano sembra scomparire proprio mentre cresce l’interesse generale per l’Ebraismo.
In realtà i fenomeni che attraversano il microcosmo ebraico italiano riguardano tutta la Diaspora. I Lubavitch infatti si allargano e fanno proseliti un po’ ovunque. I modern-orthodox, cui si rifanno i rabbini italiani, e che fuori d’Italia sono una sorta di posizione (minoritaria) intermedia tra integralisti e liberali, sono in crisi un po’ ovunque. Soprattutto: gli esseri umani (ebrei inclusi) non sono delle carote e il feticismo delle radici è estraneo, per fortuna, all’Ebraismo, succede che anche in Italia immigrino ebrei cresciuti in luoghi dove gli ortodossi (modern- o meno) sono una minoranza: USA, Canada, Inghilterra, Argentina, Brasile… Queste famiglie gente nelle sinagoghe ortodosse si trovano molto male: le donne sono abituate a salire a Sefer e si sentono dire in maniera poco cortese che non saranno contate a minyan, le famiglie non amano che il rabbino faccia domande dettagliate sugli alberi genealogici. Quanto alle manifestazioni di “cultura ebraica” per come sono attualmente organizzate, i ragazzi non gradiscono concerti di musica klezmer in cui il pubblico indossa la kefiah. E così via. L’ebraismo italiano nel futuro sarà anche l’ebraismo di queste generazioni. Rabbini e presidenti di comunità, stando all’articolo di Jesurum, sembrano piuttosto impreparati.
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