sabato, marzo 24, 2007

kabbalah a Kabul

Tra le tante fortune che porta con sé il fatto di appartenere alla più antica collettività monoteista, ci sta che gli altri monoteisti (cristiani di varia denominazione ed islamici) si chiedono come mai non ti converti alla loro religione. Oppure perché non cerchi di convertire loro alla tua. Cristiani e musulmani sono convinti che l'attività missionaria sia più o meno conseguente al monoteismo stesso. Il che secondo me spiega il grande contributo che nella storia musulmani e cristiani hanno dato alla evoluzione delle tecnologie belliche.
Sta di fatto che noi ebrei non cerchiamo di convertire alla nostra religione. E questo è un bel mistero, per gli altri monoteisti. I quali sovente non si fanno ragione della nostra indifferenza agli splendori delle loro fedi e sospettano che abbiamo qualche segreta capacità di resistenza. O che rimanendo ebrei ci guadagnamo qualche cosa. Nasce così, secondo me, quello stereotipo secondo cui noi ebrei siamo tutti potenti e ricchi. A proposito di gente ricca: qui e qui ci sono foto di abitazioni arabe nei territori occupati.
Insomma, si dice che possediamo dei segreti. Segreti utili a fare soldi, per esempio. O anche per creare dal nulla delle riproduzioni di camere a gas e sulla base di quelle conquistare il controllo dei media, dell'immaginario globale e anche di un pezzo di Medio Oriente. O forse tutto. Almeno così la pensano nei Paesi arabi. Dove a quanto pare ha messo solide radici il mito europeo della cospirazione ebraica-sionista mondiale, secondo cui tutti gli ebrei (a parte una piccola minoranza di dissidenti coraggiosi e anticonformisti, come il signor Friedman) sono legati da una specie di patto di reciproca non aggressione, che li obbliga a dare dell'antisemita a chiunque critichi Israele.
Non serve a nulla che io, che sono ebreo, neghi questa cospirazione: gli imbecilli che vi credono prendono la negazione per una conferma che il segreto, dunque, c'è. Ma questo non è un post dedicato al mito della cospirazione ebraica mondiale. Parla piuttosto di poteri segreti e di una storia curiosa.
La storia curiosa è quella di Itzak Levin e Zebulon Simantov, gli ultimi due ebrei di Kabul. Durante gli anni del regime talebano i due, che tra l'altro erano pure parenti, hanno vissuto in due stanze della antica sinagoga di Kabul. Nel 1870 a Kabul c'erano decine di migliaia di ebrei, che si sono poi trovati a gustare la famosa tolleranza islamica, sicché nel 1948 ne erano rimasti 5000, nel 1969 più o meno 300 e dopo l'invasione sovietica erano meno di una decina di famiglie. Attualmente vivono in Israle più di diecimila ebrei di origine afghana. Nel Queens c'è una sinagoga afghana di cui fanno parte 200 famiglie (a volte God bless America non è solo una formula).
A Kabul, negli anni del regime talebano, Itzak e Zebulon hanno tirato avanti ciascuno a modo suo. Zebulon vendendo tappeti e Itzak, il più vecchio, già shammash della sinagoga, ha vissuto di carità ed espedienti. Non hanno smesso per un solo giorno di litigare ferocemente, accusandosi a vicenda di ogni possibile delitto: ricettazione, magia nera, spionaggio internazionale. Uno dei due accusava l'altro di spionaggio a favore del Turkmenistan, mentre quell'altro lo ha denunciato perché voleva aprire un bordello nei locali della ex sinagoga. Ogni tanto i Talebani cercavano di capire cosa ci fosse di vero in questa accuse, così mettevano in galera uno dei due e cercavano di farlo parlare con i loro metodi (vulgo: tortura). Ad un certo punto si sono stufati di questi due e li hanno lasciati in pace. Beninteso, la sinagoga è stata svuotata degli arredi, i libri sono stati bruciati, il Sefer Torah (dal valore di un mezzo milione di dollari) se lo è preso uno che adesso è a Guantanamo - nemmeno i nazisti ebbero il coraggio di bruciare tutti i Sefer Torà di cui si appropriavano nella loro avanzata.
Ora Itzak è morto ed è stato seppellito a Gerusalemme, sul Monte degli Ulivi. Zevulon si è rifiutato di dire il kaddish, perché sostiene che Itzak si era convertito all'Islam, e quando parla di lui lo chiama "il mullah". Itzak peraltro dichiarava di essere l'ultimo e unico ebreo afghano, perché in realtà Zevulon era un ebreo turkmeno (e una spia). Attualmente Zevulon sta pensando di trasferirsi in Israele, dove a tempo debito ha mandato moglie e figli per farli fuggire dalle attenzioni dei talebani. Chissà a cosa serve, oggi, uno Stato ebraico...
Ah: pare che, cacciati i talebani, qualche famiglia ebraica adesso sia rientrata ad Herat.
Nel 2004 Dan Aleze, un regista belga, ha girato un documentario sugli ultimi due ebrei di Kabul e in rete si iniziano a vederne qualche parte. Mentalblog ha postato questo spezzone in cui si vede che il povero Itzak z.l. sbarcava il lunario sfruttando la convinzione dei suoi concittadini nei poteri magici della lingua degli ebrei. A cui, ovviamente, credeva anche lui. Lo vediamo "curare" una signora afghana - che è priva di burka: viene qualche pensiero sulla guerra.
Naturalmente qui non è in questione la validità degli esorcismi dell'ebreo di Kabul. Per come la vedo io, i suoi poteri terapeutici esistono nella misura in cui, all'interno del suo sistema culturale, c'è gente che ci crede. Voglio dire che non mi interessa l'efficacia delle sue pratiche, ma il fatto che queste pratiche siano basate sulla conoscenza della lingua ebraica.
Uno dei più diffusi mantra degli antisemiti contemporanei è che con la proclamazione dello Stato di Israele l'Occidente ha umiliato gli arabi, che con la Shoah non c'entravano nulla, e che con gli ebrei sono sempre vissuti in pace. Sarebbe stato interessante sentire in proposito la testimonianza del signor Itzak Levin, conoscitore della galere talebane e discendente di una famiglia di ebrei afghani che ha assaporato questa meravigliosa tolleranza islamica da molto prima della proclamazione dello Stato di Israele. Ma il signor Levin non c'è più. C'è però un film che parla di questa storia di ebrei nemici. Uno dei quali è lui. Ed è commovente ascoltarlo che canta il misheberach. Ecco qui.