domenica, luglio 15, 2007

shel zahav

Gerusalemme è bellissima; c’è anche una vita notturna. Appena fuori delle mura è stato costruito un complesso di negozi di vestiti e locali fashion, ben mimettizate nella bella pietra di queste parti. Ci passeggiano hilonim (israeliani secolari), haredim, donne arabe velate e no, e anche coppie gay. Insomma la stessa gente che vedi per le strade del centro. Forse è vero che lo sviluppo economico è la ricetta per fermare la guerra di religione. In ogni caso fa piacere vedere come la crisi economica sia ormai alle spalle. E che la città si sia riempita di gatti, ed i gatti, si sa, amano la pace.
C ‘è quella frase che ho letta in questi giorni. I traslochi ti portano nelle mani roba che non pensavi nemmeno di avere. Così mi sono ritrovato a leggere gli atti di due colloqui tra intellettuali ebrei europei, organizzati dalla rivista European Judaism.
Nel 1971, a Parigi, Piotr Rawicz, uno scrittore, spiegava che come ebreo francese aveva sempre trovato più affascinante il Non Essere, che l’Essere. Nozione forse cabalistica. C’è, dice, nell’Essere, un nonsoché di banale. In Israele è disorientato, perplesso, perché sente più forte l’essere ebreo (e non il non-essere chessò, cattolico, o comunista). L’anno dopo, a Roma, Aldo Rosselli spiegava che in Italia un gran numero di personalità pubbliche sono stati ebrei, ma che il loro ebraismo era una faccenda personale, intima, privata. Qualcosa che è privo di conseguenze sulla loro vita culturale e le loro attività. Qualcosa che, visto dal campus di Gerusalemme dello Hebrew Union College, assomiglia tanto al non essere.
Al Klita, centro di assorbimento per immigrati, è volata qualche battuta. I funzionari ci chiedevano ma karah be Italia, perché nelle ultime settimane c’è un aumento di olim, di ebrei che se ne vanno dall’Italia per vivere in Israele. Noi ebrei italiani siamo in fuga dall’Italia, a quanto pare. Perché?
Per l’antisemitismo (pardòn: la serrata critica alle posizioni pubbliche degli esponenti dell’Ebraismo italiano) di chi siede al ministero degli esteri (e si guarda bene dal fare simili critiche agli esponenti di altre religioni)? Non credo. Credo, piuttosto, che siamo in fuga dal non essere.
Da quella condizione diasporica e nevrotica secondo cui l’ebraismo è qualcosa che deve essere giustificato, spiegato, se possibile minimizzato. Mai vissuto per sé stesso, sempre messo in relazione ad altro. Sono ebreo E comunista - o di sinistra, o del partito democratico (non ti è mai venuto in mente che anche prima dell’Illuminismo il nesso tra religione e potere era già sato scoperto e sbeffeggiato?). Sono ebreo MA lavoro di sabato, mangio quel che mi va (contento per te, che genere di ebraismo hai trasmesso ai tuoi figli?). Sono ebreo MA per me si può dividere Gerusalemme perché l’ONU eccetera (vai a spiegarlo agli abitanti di Sarajevo). Sono ebreo MA Hitler ha ucciso anche i non ebrei (quale nobiltà di animo, nel ricordarlo; e soprattutto nel dimenticare che li ha uccisi PERCHE’ avevano caratteristiche, secondo lui, comuni agli ebrei). Sono ebreo MA per me tutte le religioni sono uguali - io invece sono ebreo e proprio PERCHE’ lo sono ritengo che tutte le religioni che sollevino la dignità degli esseri umani siano equivalenti e ammirevoli, tanto quanto l’assenza di religione, che è poi fede nel progresso. Per cui ho ragioni piuttosto forti contro il velo, la poligamia e l’infibulazione. E a favore del progresso.
Da questo ebraismo mutilato e mimetizzato si fugge. Qui, infatti, si sta meglio. A viso aperto e, se e quando ne hai voglia, con la kippa sulla testa.

Mi è gradito rinnovare ai fans dell’on. D’Alema che mi stanno tempestando di comunicazioni l’invito a venire a trovarmi a Gerusalemme. Sempre abbiano il coraggio di farsi vedere.

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