c'era posta per me
Sono riprese le lezioni e a volte non è facile, perché le selichot comunque sono un'ora di sonno in meno e io resto inguaribilmente nottambulo. Nella Diaspora uno poi si riposa la domenica, ma qui la domenica è un giorno di lavoro. Parlerò un'altra volta di tutto questo - e della scoperta di come funziona l'insegnamento delle materie umanistiche in America - e vi assicuro che funziona.
Qualcuno dei miei compagni di studio è stato in Europa e ha visitato Auschwitz. Uno di questi è PJ (che un blog ce l'ha e che devo linkarlo), che a Birkenau ha dei parenti seppeliti e che mi ha fatto venire i brividi quando ha scritto che la sensazione più forte è stata uscire da quel posto.
Ora devo aggiungere che c'è qualcuno dall'Italia che si diverte a spedirmi periodicamente nella casella postale una raccolta di articoli intitolati "Il resto del siclo", messa insieme da negazionisti, antisemiti ed antimperialisti di varia risma, e che vane sono state le segnalazioni all'antispam. Tra l'immondizia dei vari Blondet, Martinez e Mauro Manno ci finiscono dentro anche articoli di autori seri - non mi stupirei collazionata a insaputa degli autori stessi- purché l'argomento sia la menzogna di Auschwitz e quel che ci gira intorno. Parlate male (dei negazionisti) ma parlatene, che fa pubblicità: questo sembra il motto dei coraggiosi, ed anonimi, spedizioneri della monnezza succitata.
E così sono stato informato che Moffa ed i suoi proseguono la loro cagnara con toni sempre più triti, ovvero la solita denuncia del potere sionista nei media e dello studio della Shoah come legittimazione dello sterminio dei palestinesi. Eccoli inalberare trionfanti l'elenco degli accademici che NON hanno firmato la petizione promossa da Mantelli. E tra i firmatari riconosco i nomi di un paio di colleghi, autori anche di articoli (finiti nella monnezza interentdiffusa) in cui tirano in ballo la libertà di parola e il diritto, anche di Moffa e di Faurisson, di dire (o peggio, insegnare) che non è proprio vero che ad Auschwitz si moriva e che chi sostiene questa roba è un sionista assassino di bambini irakeni.
Eseguo un rapido conteggio dei colleghi ebrei che magari non sono esattamente entusiasti di lavorare accanto a chi invoca la libertà di parola per fare questa porcata, e scopro (sarà un caso) che nei dipartimenti in cui lavorano quei giovani, di ebrei proprio non ce ne sono. Uhm... Sapete, non è che l'accademia italiana abbia dato prova di grande coraggio, quando si presenta la possibilità di fare le scarpe a un collega, caduto improvvisamente in disgrazia perché sionista (o ebreo, qualche decennio fa) o "cattivo maestro" attorno al Settantasette. E sarebbe interessante incrociare l'elenco dei nomi dei firmatari in favore della libertà di parola di Faurisson con gli elenchi di chi chiede il boicottaggio accademico di Israele. Si scoprirebbe una concezione, diciamo così peculiare, della libertà di parola, e si potrebbe farne una geografia della diffusione nelle Università italiane, magari ricostruendo cordate e scuole indietro, fino, diciamo, al 1938. O alla (parziale) reintegrazione dei docenti ebrei dopo la Shoah. Sapete come vanno le cose in Italia.
Combinazione vuole che io abbia scoperto di aver ricevuto l'ultimo numero di questa rivista parapornografica mentre controllavo la E mail in biblioteca e che me ne stessi ambulando per i corridoi del College piuttosto amareggiato con persone che stimavo ed ecco che ti incontro PJ. Dico: lui è americano, è appena stato ad Auschwitz, avrà una sua idea della libertà di parola, che magari mi fa riconciliare con qualcosa - perché questi sono i momenti in cui far parte del popolo ebraico sembra essere in conflitto con il far parte della comunità degli intellettuali, o della Repubblica delle Lettere. Così gli ho chiesto se sarebbe in favore di una conferenza di negazionisti in una Università, sempre in nome della libertà di parola o di ricerca. Riporto qui quello che mi ha detto, perché è da un paio di ore che ci sto pensando.
"Probabilmente, quando sarò rabbino, mi troverò ad avere a che fare più di una volta con gente iscritta alla mia sinagoga, che sceglie di litigare con me per urlare che Dio non esiste. Quello che posso fare è mostrare a quella persona che io lo rispetto perché per me è fatto ad immagine di Dio. Forse non dargli la parola in sinagoga - perché non è il suo ruolo- ma durante la discussione della parasha, o durante il Talmud Torah. Allo stesso modo sì, io darei la parola a un negazionista, per quanto assurde siano le sue fesserie; lo farei non perché rispetto le sue posizioni, ma perché ho rispetto di lui. Ho quello che lui non ha. Forse mi fido troppo dell'intelligenza dei suoi interlocutori. Forse sarebbe una buona idea che non fosse solo. Comunque è una buona domanda. La libertà di parola non c'entra, è chiaro che è un pretesto. Il problema è come ti comporti, da ebreo, con chi nega i valori dell'Ebraismo, l'Ebraismo intero e vorrebbe eliminare tutti gli ebrei - con l'ecezione di pochi lunatici masochisti".
Ho dei compagni di scuola molto intelligenti. E ho sempre meno fiducia nell'efficacia di petizioni e mobilitazioni. Oltre che nell'accademia italica, sia chiaro.
Qualcuno dei miei compagni di studio è stato in Europa e ha visitato Auschwitz. Uno di questi è PJ (che un blog ce l'ha e che devo linkarlo), che a Birkenau ha dei parenti seppeliti e che mi ha fatto venire i brividi quando ha scritto che la sensazione più forte è stata uscire da quel posto.
Ora devo aggiungere che c'è qualcuno dall'Italia che si diverte a spedirmi periodicamente nella casella postale una raccolta di articoli intitolati "Il resto del siclo", messa insieme da negazionisti, antisemiti ed antimperialisti di varia risma, e che vane sono state le segnalazioni all'antispam. Tra l'immondizia dei vari Blondet, Martinez e Mauro Manno ci finiscono dentro anche articoli di autori seri - non mi stupirei collazionata a insaputa degli autori stessi- purché l'argomento sia la menzogna di Auschwitz e quel che ci gira intorno. Parlate male (dei negazionisti) ma parlatene, che fa pubblicità: questo sembra il motto dei coraggiosi, ed anonimi, spedizioneri della monnezza succitata.
E così sono stato informato che Moffa ed i suoi proseguono la loro cagnara con toni sempre più triti, ovvero la solita denuncia del potere sionista nei media e dello studio della Shoah come legittimazione dello sterminio dei palestinesi. Eccoli inalberare trionfanti l'elenco degli accademici che NON hanno firmato la petizione promossa da Mantelli. E tra i firmatari riconosco i nomi di un paio di colleghi, autori anche di articoli (finiti nella monnezza interentdiffusa) in cui tirano in ballo la libertà di parola e il diritto, anche di Moffa e di Faurisson, di dire (o peggio, insegnare) che non è proprio vero che ad Auschwitz si moriva e che chi sostiene questa roba è un sionista assassino di bambini irakeni.
Eseguo un rapido conteggio dei colleghi ebrei che magari non sono esattamente entusiasti di lavorare accanto a chi invoca la libertà di parola per fare questa porcata, e scopro (sarà un caso) che nei dipartimenti in cui lavorano quei giovani, di ebrei proprio non ce ne sono. Uhm... Sapete, non è che l'accademia italiana abbia dato prova di grande coraggio, quando si presenta la possibilità di fare le scarpe a un collega, caduto improvvisamente in disgrazia perché sionista (o ebreo, qualche decennio fa) o "cattivo maestro" attorno al Settantasette. E sarebbe interessante incrociare l'elenco dei nomi dei firmatari in favore della libertà di parola di Faurisson con gli elenchi di chi chiede il boicottaggio accademico di Israele. Si scoprirebbe una concezione, diciamo così peculiare, della libertà di parola, e si potrebbe farne una geografia della diffusione nelle Università italiane, magari ricostruendo cordate e scuole indietro, fino, diciamo, al 1938. O alla (parziale) reintegrazione dei docenti ebrei dopo la Shoah. Sapete come vanno le cose in Italia.
Combinazione vuole che io abbia scoperto di aver ricevuto l'ultimo numero di questa rivista parapornografica mentre controllavo la E mail in biblioteca e che me ne stessi ambulando per i corridoi del College piuttosto amareggiato con persone che stimavo ed ecco che ti incontro PJ. Dico: lui è americano, è appena stato ad Auschwitz, avrà una sua idea della libertà di parola, che magari mi fa riconciliare con qualcosa - perché questi sono i momenti in cui far parte del popolo ebraico sembra essere in conflitto con il far parte della comunità degli intellettuali, o della Repubblica delle Lettere. Così gli ho chiesto se sarebbe in favore di una conferenza di negazionisti in una Università, sempre in nome della libertà di parola o di ricerca. Riporto qui quello che mi ha detto, perché è da un paio di ore che ci sto pensando.
"Probabilmente, quando sarò rabbino, mi troverò ad avere a che fare più di una volta con gente iscritta alla mia sinagoga, che sceglie di litigare con me per urlare che Dio non esiste. Quello che posso fare è mostrare a quella persona che io lo rispetto perché per me è fatto ad immagine di Dio. Forse non dargli la parola in sinagoga - perché non è il suo ruolo- ma durante la discussione della parasha, o durante il Talmud Torah. Allo stesso modo sì, io darei la parola a un negazionista, per quanto assurde siano le sue fesserie; lo farei non perché rispetto le sue posizioni, ma perché ho rispetto di lui. Ho quello che lui non ha. Forse mi fido troppo dell'intelligenza dei suoi interlocutori. Forse sarebbe una buona idea che non fosse solo. Comunque è una buona domanda. La libertà di parola non c'entra, è chiaro che è un pretesto. Il problema è come ti comporti, da ebreo, con chi nega i valori dell'Ebraismo, l'Ebraismo intero e vorrebbe eliminare tutti gli ebrei - con l'ecezione di pochi lunatici masochisti".
Ho dei compagni di scuola molto intelligenti. E ho sempre meno fiducia nell'efficacia di petizioni e mobilitazioni. Oltre che nell'accademia italica, sia chiaro.
1 commento:
Il tuo collega di studi e' anglosassone. Il fatto di non aver mai avuto un regime nazista puo' essere un bene , o un male.
Mancano anticorpi, per esempio. Io il negazionista non lo farei parlare. Farei il negazionista: prima li pesti e poi dici che sono caduti per le scale.
Uriel
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