martedì, gennaio 29, 2008

burka

Klal Israel. Si può tradurre con "completezza di Israele". E' una bella cosa, il principio secondo il quale ognuno di noi c'entra con (o addirittura è responsabile per) qualcun altro. Implica che ognuno di noi ebrei è una parte del popolo ebraico, non lo rappresenta per intero. Il problema, secondo me, inizia quando questo principio viene tradotto in una istituzione sostenuta dallo Stato: perché ritengo che questo coinvolgimento dello Stato in faccende religiose non sia affatto un bene.
Lo Hartman Institute è una prestigiosa istituzione fondata e diretta da un rabbino ortodosso di idee molto liberali - e fa parte di quell'arcipelago che viene chiamato inter-denominazionale, in cui si cerca di mettere in pratica il principio del Klal Israel. Un po' di giorni fa David Hartman ha annunciato che avrebbe esteso la semicha, l'ordinazione rabbinica, anche alle donne. Avremo quindi donne rabbino ortodosse. Non che ci sia da montarsi la testa, ma comunque è una bella notizia.
Il problema è che in Italia, dove il principio del Klal Israel si traduce in una istituzione statale (l'UCEI, a direzione rabbinica ortodossa), a questa notizia è stato dato un risalto esagerato. Come a testimoniare che l'ortodossia intera si starebbe spostando a sinistra e che quindi non esisterebbe più l'esigenza di un pluralismo interno al mondo ebraico - ovvero un ebraismo indipendente dalla benedetta istituzione statale di cui sopra. Benedetta nel senso che la benedicono rabbini ortodossi, ovvero gente per la quale i Neture Karta sono ebrei e chi si è convertito con sinagoghe conservative, no.
Ora, io ho molto rispetto per chi cerca di spingere l'ortodossia su posizioni più moderne e magari inclusive. Ben venga la signora rabbina ortodossa. Però vorrei ricordare che in Israele, tra gli ortodossi le cose vanno più spesso in questo modo.


Sì, è un burka. La foto e la notizia sono tratte mica da un sito di provocatori o di anarchici contro il muro, o di deficienti che vogliono raccontare che da queste parti ci sarebbe una teocrazia. E' il blog di un tale che non è esattamente una colomba, e anzi uno che ha le sue buone ragioni per difendere lo Stato di Israele e la sua immagine: ecco qua, per esempio, cosa scrive sulla sceneggiata di Gaza a luci spente.
Insomma: ci sono donne ebree ortodosse che si mettono il burka in osservanza della loro interpretazione della tziniut. E scommetto che in Italia a tale notizia verrà data poca risonanza, eppure riguarda molte più donne della singola -di solito americana- che decide di diventare una rabbina senza sapere bene se, una volta finiti gli studi, troverà un lavoro che le permetterà di pagare i debiti fatti per studiare. A lei va tutto il mio rispetto. Rispetto meno chi la strumentalizza, e poi tace la storia di Bet Shemesh e i problemi che tali comportamenti suscitano.
Che poi coloro che tacciono su Bet Shemesh siano anche ideologicamente vicini a Moni Ovadia, è un'altra faccenda divertente. Sì, perché secondo Moni Ovadia, quelle signore col burka sarebbero parte degli anti-statalisti che verrebbero discriminati dallo Stato di Israele. Mentre il colono che rende nota la notizia anche a chi non legge l'ebraico, sarebbe un personaggio pericoloso. Io non la penso affatto così. Riguaratevi la foto. Non è Kabul. E' Israele, anno ebraico 5768. E quello è un burka. Sì, è vero, l'ortodossia si sta muovendo. Verso dove, mi sembra evidente.
Ah, io a quella gente farei fare il militare, perché Israele ha bisogno di essere difesa e perché quel genere di costumi tribali si sconfiggono con le maniere forti, tipo Afghanistan. So che Moni Ovadia la pensa in maniera diversa su tutti gli eserciti perchè nei quadri di Chagall gli eserciti non ci sono. Ma nemmeno i burka, aggiungo io. E tanti saluti a Moni Ovadia e ai suoi fan che mi scrivono scandalizzati.

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