venerdì, gennaio 18, 2008

yad vashem

E così, dopo sei mesi che sono a Gerusalemme, ho trovato il modo, il tempo, la voglia e una specie di coraggio di visitare Yad Vashem.

Poco prima di uscire di casa un tizio italiano mi ha chiesto via Internet in maniera strafottente che cosa mi aveva spinto a fare alyah. Probabilmente si aspettava un parere sull'antisemitismo in Italia. Che esiste, e che ho incontrato. Ma non ha nulla a che fare, almeno credo, con la mia decisione di venire fin qua per avere un passaporto dello Stato di Israele.
Comunque, mentre scendevo dall'autobus uno dei jingle di Radiopopolare continuava a saltellarmi in testa. Una roba allegra, scanzonata. Ma non mi sentivi fuori luogo. A Milano, città in cui ho vissuto, Radiopopolare è una presenza costante. Diciamo che la popolazione Lombardia si divide in due: quelli che ascoltano Radiopopolare perché sono dalla parte giusta, e quindi perdono le elezioni, e quelli che invece le vincono. E Yad Vashem fa parte di quell'insieme di ragioni storiche che mi hanno spinto in quella che continuo a ritenere la parte giusta.
Sulla nuova Yad Vashem, riorganizzata da qualche mese, ho poco da dire. Come molti musei israeliani, c'è un uso sapiente della luce naturale. Come molti musei contemporanei, le vicende storiche ci ampio respiro sono punteggiate da quelle individuale. Non ha l'obiettivo di mostrare più cose possibile (come era l'ultima volta che lo avevo visitato, anni fa), ma di mostrare vicende esemplari. Non segue più tutta l'Operazione Barbarossa, ma quello di uno dei "rami", lo Einsantzgruppen C, che percorse Ucraina e Galizia.
Funziona, questo nuovo sistema? Nel senso: insegna qualcosa alle generazioni più giovani? Non lo so. Vedremo tra qualche anno. Ho lavorato come storico per una decina di anni, nelle Università. Mi sono reso conto, parlando con i giovani che iniziano adesso "il bellissimo mestiere degli studi storici" (come diceva un grande maestro) che il rapporto con il passato sta cambiando, e nessuno sa ancora in che direzione.
Ho visitato tutto con attenzione, anche tenendomi sotto controllo. Appena superato l'ingresso sono tornato indietro a prendere un taccuino, di cui poi, durante la visita, ho riempito solo un paio di pagine. Ma comunque dovevo scrivere qualcosa. Dovevo comunque essere un po' scosso, perché ad un certo punto mi sono sentito battere una mano sulla spalla, ed era uno del Museo. Due chiacchere. La sua famiglia vive a Gerusalemme da tre generazioni. Ve-lifneh? E prima? E' una storia lunga. Lituania. E io? Io sono italiano. Haia lanu mazaal. Siamo stati fortunati. Io e lui, voglio dire.
Vabbé, come dico, in qualche modo sono arrivato alla fine. E la fine è, ed è giusto che sia così, le Displaced Persons, la nascita di Israele, il processo di Norimberga e il processo Eichman. Voglio dire che la "cornice narrativa" è rimasta uguale, Israele è presentato come la riscossa del popolo ebraico dopo il tentato sterminio. E sospetto che questo è esattamente quel che fa infuriare molta gente in Italia, anche quelli che stanno dalla parte giusta, quella che perde le elezioni ogni volta. Oppure ancora più a sinistra.
Poi, in un edificio a parte, l'auditorium in cui si tengono altre commemorazioni, ho visto una mostra. Questa. Sono i volti di musulmani balcanici. Albanesi, per la precisione. Ognuno di loro, decenni fa, ha salvato degli esseri umani, degli ebrei. C'erano delle cuffie, si poteva ascoltare una specie di colonna sonora. E così ho sentito la voce di un signore musulmano, che tra l'altro assomigliava in maniera impressionante a quegli "albanesi" che in Italia sono sinonimo di delinquente (gli occhi azzurri, il viso squadrato). E diceva certo che li abbiamo nascosti. A rischio delle nostre vite, certo. E se capita lo faremo ancora. Ecco, io lì ho pensato alle guerre che hanno devastato i Balcani quando io finivo l'Università e iniziavo a pensare a quel bellissimo mestiere che ha a che fare con altre guerre e mi rendevo conto di essere nato e cresciuto in un frammento di spazio e di tempo che è molto fortunato. E' lì che non mi sono più trattenuto.
Poi mia moglie ed io abbiamo cercato nell'elenco dei giusti tra le nazioni un paio di nomi, che qui non posso riportare e abbiamo fantasticato su altri nomi di giusti che non si potranno dire mai. L'elenco dei nomi dei giusti, di quelli che si conoscono, voglio dire, sta scolpito su delle lapidi, che per trovarle devi percorrere un bosco e, come forse saprete, ogni albero piantato in quel bosco ricorda uno dei giusti tra le nazioni e questi alberi, che si spera cresceranno, formano un bosco che uno vorrebbe più fitto.

Questa è una foto scattata dentro quel bosco e questo è un albero che non cresce. Dentro il tronco si è nascosto un ebreo che fuggiva alle marce della morte. Lui ce la ha fatta.

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