lunedì, febbraio 26, 2007

appartenenze virtuali

Ho trovato ripetitiva e fuori luogo la canea sollevata a mezzo stampa intorno al libro di Ariel Toaff. Ripetitiva perché gli autori delle stroncature, fossero o meno autori degli articoli (azz, quante interviste si sono lette...) in larga parte, appunto, si ripetevano. Tra le segnalazioni che ho incrociato, ho trovato stimolante quella di Gadi Luzzatto Voghera che, dopo aver letto (bravo!) il libro, avanza delle osservazioni interessanti.
Rapidamente. Il veto rabbinico è preoccupante, non ultimo perché viene a rafforzare la convinzione che la storia (e, in ultima analisi, tutta l'esistenza) degli ebrei si giochi solo sulle fonti normative. Libri come quello di Toaff partono da presupposti sacrosanti di cui in Italia si fatica però a rendersi conto. E cioé che la storia degli ebrei non coincide con la storia dell'antisemitismo, non si esaurisce con la resistenza degli ebrei all'antisemitismo, non è una valle di lacrime che porta, dopo la necessaria catastrofe di Auschwitz, alla proclamazione di indipendenza dello Stato di Israele. Anzi, proprio in Israele esiste una intellettualità capace di rileggere in maniera spregiudicata l'intero passato ebraico, di cogliere in maniera storica il formarsi delle pratiche religiose mettendo in luce anche le ibridazioni con il mondo non ebraico.
Toaff evidentemente ci ha provato: con pessimi risultati, dicono. Peccato che lo si dica fuori dal luogo dovuto, ovvero le riviste storiche in cui il libro avrebbe potuto essere smontato e confutato in maniera più approfondita. Sarebbe per esempio stato interessante un confronto con il recente lavoro di Elliott Horowitz, nella cui scia -pare- vuole collocarsi lo stesso Toaff. Il lavoro di Horowitz ha ricevuto mirabolanti recensioni e c'è da augurarsi venga presto tradotto in italiano, arricchendo così la bibliografia su Purim (ho in mente un bel volume di Ioly Zorattini sui Purim locali in Italia).
Intanto c'è chi sostiene che si sia svolta una storia strappalacrime del tipo: il figlio degenere che fa piangere il padre. Devo dire che non trovo molto interessanti le vicende di casa Toaff e nemmeno ci tengo a far credere di essere intimo della famiglia. E anche lo splatter mi interessa poco (cioè: se fossi riuscito a procurarmi il libro in questione...). Quello che non capisco è perché ci sia gente che perde tempo con un libro detestabile e ormai irreperibile e non dedica invece attenzione ad un altro libro, che reputa (probabilmente a ragione) fatto assai meglio: forse perché la famiglia Horowitz è meno interessante della famiglia Toaff?
In altre parole: assumendo che il libro di Toaff sia cacca e quello di Horowitz cioccolato, come è che così tanta gente in rete preferisce pacioccare con gli escrementi? Non certo per interesse verso la storia degli ebrei: è chiaro che il libro di Horowitz è una lettura più interessante - lo attestano le recensioni. Forse il libro di Toaff è più interessante perché se se ne parla male si può far credere ai lettori di essere intimi di casa Toaff (e ostentare pietà filiale) e/o di avere un enorme rispetto per i rabbini ortodossi italiani.

2 commenti:

Rosa ha detto...

mah, leggeremo il libro di horowitz, ovviamente se e quando ne avremo voglia: ti faccio però presente che l'odio anti-cristiano degli ebrei non è una roba ne' ignota, ne' originale, ne'sconvolgente. E' una scoperta per te, forse, per me no: la mia bisnonna diceva sempre "se non fosse per quel memzer, ora saremmo tutti ieudim". Invece: che una casa prestigiosa pubblichi un libello e che venga lanciato a grancassa con un articolo sensazionalista sugli ebrei cannibali è fenomeno che merita la rivolta che c'è stata, e forse è stata ancora troppo tenue. Tutto questo è totalmente indipendente dal nome di Toaff.

נחום ha detto...

Il tema del mio intervento era la storia familiare che è stata imbastita, con tanto di interpretazioni sui complessi irrisolti. Per questo cerco di ricordare che il libro di Toaff si inserisce invece in un filone di studi, come riconosciuto da Luzzatto Voghera, il più giovane tra quelli intervenuti nel dibattito. Vedo che si usano invece i ricordi familiari per attenuare la portata del libro di Horowitz (che si leggerà quando e se ne avrà voglia, beninteso. Come i libri sulle streghe ?). Che dire: l'esibizione di intimità, una volta, si chiamava pornografia.