domenica, giugno 22, 2008

anche gli arabi vestono di lana

Gli abitanti di Gerusalemme tendono a portare vestiti pesanti tutto l'anno; d'inverno, da queste parti, nevica e poche case sono riscaldate. D'estate il sole è a sbrocco, ma il clima è secco e la sera spesso tira vento. Ciò non toglie che quando vi passa vicino qualcuno coperto da cima a piedi sotto il sole di agosto l'effetto olfattivo non è dei più piacevoli. Detto questo, io vorrei davvero sapere perché è solo il vestito degli ebrei ultraortodossi (quelli vestiti di nero) che solleva la curiosità dei turisti, la quale si esprime con la seguente domanda: ma non hanno caldo? Hanno caldo, vien da dire, come preti, frati e suore e/o come quegli arabi a proposito dei quali la domanda climatica non sorge.
Io me la sono fatta una idea del come mai questa domanda climatica sorge solo per gli ebrei; e che è questa. Per il turista italiano gli arabi sono più o meno indigeni, le cui usanze locali non si mettono in discussione, vuoi per paternalismo ("hanno sempre fatto così, non conoscono niente di diverso, sono più poveri di noi e non possono viaggiare"), vuoi per quella forma di buonismo multiculturale che fa accettare anche l'infibulazione "perché chi siamo noi per imporre le nostre leggi". Gli ultraortodossi non sono reputati indigeni perché sono ebrei e gli ebrei sono più o meno dappertutto, mentre gli indigeni stanno nel loro villaggio, legati al loro territorio - come, nella immaginazione dei turisti italiani, sarebbero gli arabi, o palestinesi.
Agli arabi nessuno rivolge questa osservazione, perché sono reputati i padroni di casa; e nessuno litiga col padrone di casa. Degli ebrei si sa poco, quel che si sa di solito non piace molto, sno un po' degli intrusi, e tutte le loro usanze sembrano inspiegabili - ammesso che le si conosca. Il default è: ma come mai ci tenete a fare tutte queste cose, se siete uguali a noi; significativo questo nesso tra il fare e l'essere, implica che gli ebrei non sono, ma fanno. In altre parole fingono, impongono qualcosa di artificiale sulla natura umana.
Quando mi piaceva esprimermi con metafore geometriche e mi chiamavano a tenere incontri sull'antisemitismo, usavo spiegare che "gli ebrei sono dentro e nel contempo anche fuori", nel senso che si fa fatica a farli rientrare nelle classificazioni geografiche o storiche. Partecipano alla storia generale, ma nel contempo hanno anche una storia loro. Stanno in Italia (da un sacco di tempo!) ma nel contempo stanno anche in un sacco di altri posti dove di italiani non ce ne sono. Ora guardo questa condizione in maniera meno asettica, e sono decisamente più scettico verso chi si assume il compito di "mediatore", di quello che spiega, che smussa gli angoli per presentare la parte più decente e presentabile, chiamiamola universalista, dell'Ebraismo, nella speranza di neutralizzare pulsioni antisemite.
Sono scettico perché questo lavoro è, sostanzialmente, un lavoro di misurazione. Mi spiego: ti trovi davanti a una platea di sinistra, e allora non parli dell'ebraismo o degli ebrei o del sionismo. Parli di come gli ebrei possono essere accettabili anche per la sinistra; una faccenda umiliante, che si traduce nella scomunica, nel prendere le distanze da altri ebrei. Nel dire: io sono più ebreo di te perché sono più comunista e il sottinteso è che è l'essere comunisti che conta, non l'essere ebrei. Una posizione settaria quante altre mai. Io vorrei davvero sapere se c'è qualcuno che presenta, chessò, il nazionalismo dei còrsi spiegando che ci sono còrsi cattivi, cioé fascisti e còrsi buoni, cioé compagni. E che rivendica il diritto di rappresentare la Corsica solo a uno dei due, a quelli buoni. E che facendo così si aspetta di ottenere dei risultati.
Ma applicata al mondo delle relazioni tra ebrei e sinistra (un mondo abitato ormai da professionisti della mediazione) la questione è ancora più ridicola. Se infatti non c'è quasi nessuno che si arroga il diritto di spiegare ai còrsi cosa vuole dire essere còrso, il compagno impegnato nella mediazione, che di solito non è mai stato in Israele negli ultimi dieci anni e spesso manco è ebreo, ha bene in chiaro quali sono i caratteri del buon ebreo, e ti rimprovera se non vi aderisci fedelmente, ovvero se non condanni con la dovuta energia gli ebrei cattivi. Che poi sarebbero quelli che sono al governo in Israele, adesso.
Sottolineo adesso, perché abbiamo a che fare con un archetipo, potente (e privo di fondamento empirico) come la coppia indigeno-territorio. Ed è l'archetipo secondo cui il passato è sempre meglio del presente. Gli ebrei o gli israeliani di oggi, sono gli ebrei del passato o gli israeliani del kibbutz, che sono ormai decaduti. Questa storia degli ebrei che sono decaduti è un archetipo di origine religiosa, e risale al momento in cui i cristiani hanno rivendicato per loro il ruolo di popolo eletto e dichiarato superati i libri sacri di noi ebrei: li hanno raccolti, intitolati Antico Testamento, che per essere capito aveva bisogno di un Nuovo ed è da allora che si chiedono come mai non ci convertiamo anche noi, e come mai siamo ancora attaccati alla nostra religione particolaristica e superata.
Come ho scritto sopra, di ebrei e di ebraismo si sa davvero poco. Quel che non si sa, il vuoto, viene riempito da archetipi come quello degli ebrei decaduti. Sono archetipi religiosi perché in Italia quasi tutti ricevono una educazione cattolica e/o hanno una maggioranza di coetanei che crescono ricevendo una educazione cattolica ed è tramite il cattolicesimo che imparano che esistono gli ebrei. Chi poi abbandona la pratica religiosa, ovvero la grande maggioranza, si allontana anche da quelle attività di dialogo inter-religioso che spesso aiutano a colmare il vuoto. Per sapere qualcosa con gli ebrei allora surfa su wikipedia, e impara che mitzwot è la traduzione di comandamenti. Poco importa che non esiste una autorità religiosa che vigila sulle mitzwot, che chi trasgredisce una mitzwa non è che compie un peccato, noi diciamo che perde una opportunità, e mica la può recuperare con la confessione/assoluzione ecc. ecc. Poco importa, l'ex cattolico fieramente ateo e comunista adesso ha imparato una parola dal suono esotico e la può spendere, regalando a se stesso e magari a qualcuno del pubblico l'idea che anche lui è un po' dentro; e che questo confine tra dentro l'ebraismo e fuori dall'ebraismo è un confine artificiale. Di quelli che separano i popoli naturalmente fratelli: facciamo che è un muro di separazione. Come quello che opprime i palestinesi. Dopotutto i mass media informano ogni giorno di quel che succede in Medio Oriente, e in chi legge i giornali/guada i notiziari l'illusione di familiarità si rafforza.
I miei compagni americani si sentivano chiedere da amici e parenti come vanno le cose in Israele. Io e mia moglie ci sentivamo spiegare, da gente che qui non c'è mai stata, cosa sta succedendo in Medio Oriente. Straordinari, i compagni italiani: sanno già tutto, lo hanno letto su Il manifesto. E tu che abiti a Gerusalemme, se va bene, hai il diritto di confermare. Appassionanti conversazioni, davvero.
Ci sono molti compagni che non sanno assolutamente nulla sugli ultimi anni di questo Paese, ma grazie alle barzellette di Moni Ovadia se ne sentono intimamente vicini; se e quando provano ad essere (filo)sionisti fanno esattamente come i cristiani impegnati nella polemica anti-ebraica. Dichiarano che non siamo più degni del nostro ruolo e proclamano di conoscere i nostri libri (o la nostra storia) meglio di noi. Poco importa che la nostra storia la facciamo noi; loro ostentano una superiorità morale (o "distacco emotivo") perché nello stesso tempo affermano di avere a cuore la pace molto più di noi. La prova? Noi votiamo partiti che la pace non la vogliono: siamo quindi decaduti, non siamo più il popolo del kibbutz e del socialismo realizzato.
Un allucinato serpente che si morde la coda e che ha l'effetto di rafforzare la autostima di chi ebreo non è, non riesce a capire questo strano popolo che non è indigeno come invece sono gli arabi e che, inspiegabilmente, continua a vestirsi di lana come loro, ma con abiti di foggia diversa. Davvero incompresibile, anzi: irritante. E, diciamolo, ben poco pacifico. Basta vedere cosa votano (ecc. ecc.).

Nessun commento: