giovedì, novembre 30, 2006

le parole per dirlo

Sono giorni cruciali per il futuro del movimento Masorti - quelli che in Italia vengono detti Conservative e che si sforzano di mantenere una continuità con la halakhà, modificandone le prescrizioni quando sono eticamente problematiche. Per esempio: i Masorti reputano permesso guidare l'auto di Shabbat se è per raggiungere la sinagoga, mentre gli ortodossi no, ci vanno a piedi (o fanno finta di andarci a piedi, ma questo è un altro discorso). Un Cohen Masorti può sposare una vedova, un ortodosso no. E così via.
La massima autorità halakhika del movimento, la Commissione sulla legge ebraica, il 6 dicembre affronterà il tema dell'ordinazione di rabbini GLBT che, se accettata, porterà alla caduta della condanna dell'omosessualità e introdurrà i matrimoni tra persone dello stesso sesso.
Della questione si parla da tempo e l'autore di questo blog si rammarica di non aver potuto dare conto dei punti più caldi del dibattito. Qualche esempio: in luglio Arnold Eisen, è diventato rettore del Collegio rabbinico Masorti, il Jewish Theological Seminary (JTS) ed è succeduto a Ismar Schorsch, radicalmente contrario all'ordinazione di rabbini GLBT. Eisen però si è dichiarato favorevole già nel discorso di insediamento, ed è stato prontamente seguìto da un numero di studenti e rabbini, i quali hanno costituito un gruppo di pressione in favore dei diritti dei GLBT. I Masorti canadesi hanno minacciato di lasciare il movimento se non verrà mantenuta in vigore la proibizione. Elliott Dorff, presidente della suddetta commissione, ha proposto una interpretazione dei fatidici versetti del Levitico sugli abomini, sostenendo che proibiva il sesso anale sempre e comunque, anche tra uomo e donna, ma che non vietava a GLBT di diventare rabbini. Anche per questioni procedurali si sta aprendo un fossato tra l'ala liberale del movimento e quella più tradizionalista. La quale, diciamolo, non è rappresentata da una figura molto rassicurante: Joel Roth, già coinvolto in scandali sessuali.
Dagli anni Novanta i Masorti attraversano una grave crisi: il movimento in America è passato da corrente maggioritaria a poco più del 20% dell'Ebraismo americano e più della metà dei ragazzi che ha avuto una educazione Masorti, ha ora lasciato il movimento, raggiungendo principalmente i Reform, che sui diritti GLBT sono molto più liberali. Come tutta l'America urbana, molto più liberali: Dorff ha dichiarato che la gran parte degli ebrei sotto i quarant'anni semplicemente non capiscono dove stia il problema, perché vedono nei GLBT persone normali che compiono scelte legittime.

Avi Ozeri (sin.) e Russell Lord, la prima coppia
gay israeliana regolarmente unita in matrimonio.

Riassumendo. La minoranza che una volta si chiamava pudicamente diversi chiede di poter avere una vita normale, cioé di sposarsi e di poter adottare bambini: un diritto che, tra l'altro lo Stato di Israele riconosce. I Masorti, il movimento che cerca di comporre la tradizione giuridica ebraica con le istanze contemporanee, hanno scoperto che, di fronte a questa nuova realtà, la definizione di abominio, quella della Tradizione ebraica, non va più bene. Sono alla ricerca di un modo per affrontare la questione rimanendo fedeli alla halakhà. Vorrebbero forse continuarne il discorso.
Ma allo stato attuale non hanno nemmeno le parole. Il direttore del campus israeliano che, nella settimana del Gay Pride, dichiara che quella dell'ordinazione dei rabbini GLBT non è una questione rilevante. Studenti rabbini che si tappanao la bocca con il nastro adesivo durante una manifestazione all'ingresso del College... Ricorda una famiglia i cui membri non si parlano più.


martedì, novembre 28, 2006

once they were shepherds

Quello che vedete è un pastore, di quelli che curano le pecore. Poi ha studiato, fatto carriera ed è diventato un diplomatico, che di per sé è una bella success story. Attualmente è console a San Francisco, che non è esattamente una sede periferica, per la diplomazia di Israele. Un percorso di promozione sociale non indifferente per il figlio di una famniglia di pastori e perché Ismail Khaldi è un diplomatico israeliano, e per di più è anche beduino, cioé appartiene alla più antica minoranza del medio oriente, quelli che fregano tutti se si fa la gara a chi c'era prima un giochetto retorico che è la passione degli antisemiti e degli appassionati dello splatter di Al Jazeera - gustatevi qua le storie di pulizia etnica.
I beduini non godono esattamente di buona fama tra gli islamici -lo dice persino Wikipedia. Ma in Israele, per questo gruppo sociale discriminato in tutto il Medio Oriente, si aprono strade che, per dire, in Italia ad un Rom non si aprirebbero mai - e dire che i Rom sono in Abruzzo più o meno dal Quattrocento. Insomma, un'altra delle buone ragioni per essere sionisti.

sommovimenti


-- A Lisbona esiste, da poco, una sinagoga conservative. Si chiama Beit Israel ed è stata fondata da discendenti di cripto-ebrei ("marrani"). Alle loro spalle, un rapporto complesso con l'ortodossia. In breve: una associazione di ebrei ortodossi diventa non-ortodossa. Chissà se i media ebraici italiani ci parleranno di questa storia.
-- In Inghilterra le sinagoghe ortodosse hanno visto calare i propri iscritti di più del 10% negli ultimi cinque anni. Adin Steinsaltz lo ha fatto notare e loro la hanno presa malissimo. Il problema del calo non riguarda Reform e liberali, che ormai costituiscono più del 40% degli ebrei inglesi.
-- In Israele migliaia di haredim si sono riuniti per ascoltare le lezioni dei loro rabbini sull'obbligo della modestia nell'abbigliamento. L'ingresso era vietato alle donne. L'abbigliamento di cui si parlava era quello femminile, ovviamente, giacché -secondo loro- "The basis of Judaism is that the women abide by their husband’s will".

lunedì, novembre 27, 2006

si prega di trattare con rispetto ...


Chabad sono gente simpatica, ospitale ed entusiasta. A volte un po' troppo entusiasta. Recentemente vi è stata nel loro quartiere generale (Crown Heights, New York) una convention mondiale di shluchim, uno di quegli eventi preparati per proclamare il trionfo mediatico delle mitzwot. E un gruppo di Lubavitch che sostengono che il Rebbe è Mashiach hanno scazzottato con molto entusiasmo un altro gruppo di Lubavitch convinti che il Mashiach è il Rebbe. Qui il resoconto dell'evento. I corpi contundenti sono gli stessi Siddurim che, come è noto, vanno trattati con rispetto: sono le stesse parole che il Rebbe leggeva -o forse, che legge ancora.

domenica, novembre 26, 2006

c'è un mondo là fuori

Jewish History and Culture in Eastern Europe è il titolo di una splendida mostra on line visibile sul sito della University of Pennsylvania.
Tutti quelli che immaginano lo shtetl come uno dei luoghi della Immutabile Tradizione, e/o l’inveramento completo della Torat SheBealPeh, dovrebbero provare a dare un’occhiata ad argomenti come l’influenza della nobiltà polacca sulla definizione del ruolo dei rabbini, sulle donne che volevano indossare gli tzitzit e sulla poesia ebraica. In russo.

ancora sui melodrammi


Ultimo contributo, in ordine di tempo, è quello della mia amica Rosa. Si sta discutendo dell'anziana che si è fatta esplodere qualche giorno fa, Sulla base di una intervista rilasciata a Repubblica dai parenti -che a Gaza ci devono pur vivere, c'è chi si è convinto che si tratti di una incarnazione della sempiterna figura del Combattente e accusa altri di volerla vedere troppo simile alla Vittima.
Questo modo di raccontare, attraverso le categorie della Vittima e del Combattente, ricorda gli spettacoli di ombre cinesi, quando lo spettatore vede due profili che si affrontano su uno schermo bianco. Ma, per rimanere nella metafora, la luce che ne proietta le sagome sullo schermo è filtrata dalla percezione di cosa succede in Medio Oriente da sessanta anni in qua.
Gli affezionati al culto del sangue e delle radici, della comunità organica che viene prima dell'arido individuo - e decide al suo posto, vedono in quel conflitto l'attacco alla civiltà idilliaca e primigenia, portato dalle forze dissolutrici della modernità. Tanto per cambiare queste forze sono ebraiche - il sionismo è, infatti, il movimento risorgimentale del popolo ebraico. E, siccome sono ebraiche, sono onnipotenti, hanno creato tutto loro, anche i propri nemici; c'è infatti chi sostiene che l'antisemitismo gioverebbe alla causa di Israele.
Sotto la retorica terzomondista, è facile vedere lo stesso universo di pensiero dei franchisti spagnoli, dei Codreanu e del nazismo. C'è la stessa nostalgia per quello che Engels chiamava l' "idiotismo della vita rurale", scandita dal tempo della religione, che ti ricordava quanto eri transitorio e quanto fosse eterna quella gerarchia sociale che prevedeva per te il ruolo più basso -e per gli ebrei quello del paria. C'è l'esaltazione del legame tra la Madre e la Terra, c'è anche lo stesso culto dell'azione risolutiva, del gesto eroico e, soprattutto, la stessa mistica della morte. I portatori di questa retorica sono stati sconfitti, ma chi coltiva la mistica della morte si nutre, appunto, di sconfitte.
Il problema è che tutto questo grumo di pulsioni nostalgiche -e ansie narcisistiche ben riconoscibili- viene proiettato su vicende reali, su una guerra vera. Ma la guerra non è il teatro dello scontro tra le incarnazioni del Bene e del Male, tra vecchie contadine e ragazzi pasciuti "di famiglia bene" (e, che caso, ebrei).
Chi scrive è nipote di partigiani e sa benissimo che la Resistenza ha riguardato persone concrete; che ci sono state scelte di campo tardive, ripensamenti, doppiogiochisti, partigiani-spia le cui responsabilità non sono mai state chiarite, camicie nere che il 24 aprile se la sono data a gambe, lasciando i ragazzini a prendersi gli sputi o peggio, bandiere bianche sventolate per cammuffarsi o, per dire, profittatori di borsa nera rivelatisi capaci di gesti eroici. Eroi nel senso moderno: uomini qualunque come Rick di Casablanca che rischiano, senza venirne trasformati, per ristabilire un diritto -quello dei deportati a vivere, per esempio.
Invece gli eroi delle favole sono prìncipi, che il bacio della principessa riporta alla loro vera natura, superiore a quella degli uomini ordinari, e che ristabiliscono una gerarchia. Per le proprie favole identitarie e sacrali, l'estrema destra ha bisogno di eroi: da un po' di tempo crede di averne trovati in Palestina, dove il diritto degli esseri umani a vivere viene sacrificato sull'altare della Nazione Islamica. Di più: credono di aver trovato in questa anziana donna, il cui necrologio è stato scritto da Hamas, la principessa che, baciandoli, rivelerà il prìncipe nascosto in loro. Ma la principessa, è morta, uccisa dalle Forze del Male, dalla Globalizzazione, dai Cattivi, insomma: dal Sionismo. Niente principessa, niente bacio. Però: che sfiga, camerati.

sabato, novembre 25, 2006

conformismi

[prima parte qui]

Ci sono diversi modi per riconoscere il cibo kasher. Si possono cercare sulle confezioni gli appositi marchi, si può controllare che il negozio di alimentari sia provvisto di certificazione, oppure ricorrere agli elenchi distribuiti dalle Comunità.
Le certificazioni di kasherut costituiscono una delle maggiori fonti di reddito per i rabbini ortodossi, che spesso svolgono un lavoro ammirevole. Trovàtelo voi un qualsiasi libero professionista che si alza ad ore antelucane per visitare un macello o una fabbrica di biscotti. Si trovano invece abbastanza facilmente aziende disposte a pagare i suddetti rabbini per assicurarsi la fetta di mercato degli ebrei ortodossi.
Chi mangia kasher in questo modo si lega ad una precisa comunità, quella degli ebrei ortodossi. I quali, il più delle volte non prevedono di riconoscere lo status di ebrei ai non ortodossi, rifiutano di riconoscere il diritto delle donne a diventare rabbine o a essere contate a minyan e considerano l'omosessualità, più o meno, una malattia. I valori in base a cui si compie la scelta di mangiare kasher sono, in questo caso, piuttosto chiari. Ci si uniforma, appunto, per conformismo.
Ma anche nelle comunità liberali si può scegliere di seguire la kasherut per conformismo. Avviene quando la scelta della kasherut è compiuta sulla base di motivazioni del tipo: anche gli altri fanno così. In questo caso gli "altri" sono le comunità liberali inglesi che, sostenendo la priorità dell'ethics rispetto alla efficiency, raccomandano i prodotti del mercato equo e solidale. Un percorso che lega la kasherut alla dimensione etica: chi mangia kasher e, contemporaneamente, Fair Trade si unisce alla comunità di chi, con gesti concreti e quotidiani, opera per una più equa ripartizione delle risorse. Compie cioé un gesto di Tikkun Olam.
Questi aspetti però mancano nelle indicazioni che provengono dall'Italia. Probabilmente perché il mercato equo e solidale, in Italia, è occupato anche da prodotti provenienti dalla Palestina.

venerdì, novembre 24, 2006

melodrammi

Due bloggers che parlano della stessa notizia, attingendo alle stesse fonti e guardando la stessa fotografia. Questo è MMAX. E questo è Miguel Martinez.
E la notizia è questa: l'ultima (per ora) terrorista suicida è una donna di 57 anni, 9 figli, 40 nipoti. MMAX, sconfortato, scrive che la signora, nella foto, tiene il fucile in mano con delicatezza, che ha lo sguardo perso e confuso, che ha deciso di morire dopo aver vissuto in un luogo terribile e conclude dicendo che, forse non solo in Medio Oriente, nessuno è innocente.
Martinez ha i toni del guerriero. Prende a prestito il linguaggio con cui vengono raccontate i pogrom o le espulsioni degli ebrei nordafricani - profughi mediorientali di cui in Italia si parla poco: fuggiti dalle loro case di Libia e di Algeria, portandosi dietro stracci, giocattoli e una chiave. Lui sa molto bene chi sono gli innocenti. Parla di invasione, si fa portavoce, a nome dell'intero sud del mondo, del desiderio di vendetta contro i soldati sionisti.
Il primo è un attivista di Sinistra per Israele, il secondo del c.d. Campo Antimperialista, bizzarro appuntamento umbro annuale, in cui si incontrano settori dei centri sociali, attivisti dell'integralismo islamico e estremisti di destra.
Io trovo che ci sia una impressionante differenza di stile. Per MMAX la morte della donna è una tragedia: perché ogni morire è terribile. Per Martinez è la logica conseguenza del suo passato. Per MMAX gli esseri umani hanno la possibilità di scegliere, e quelle della donna, come quella dei soldati, sono scelte. Per Martinez la decisione di farsi esplodere è invece ineluttabile: gli uomini, e soprattutto le donne, agiscono guidati da dinamiche storiche che tolgono loro ogni posisbilità di scelta. Dove MMAX vede degli esseri umani, Martinez vede delle forze che si contrappongono: come in un melodramma.
Molto è stato scritto sulle fantasie collettive che hanno accompagnato il nazismo, un sogno di regressione nell'utero-Volk, l'utopia di un mondo esente da conflitti e libero dal divenire storico. Martinez è convinto che più si è determinati a cancellare il Male (cioé lo Stato sionista), più si è certi di stare dalla parte del Bene. Il Bene che lui sogna altro non è che l'utero materno in cui fare ritorno, un mondo finalmente libero dalla presenza pervertitrice delle forze del Male. Un radicalismo che gli viene probabilmente dal suo passato di estremista di destra - come la sua concezione del ruolo degli ebrei nella storia.
Arthur Koestler era uno che vide molto da vicino cosa significavano queste utopie collettive, quando le si provava a trasformare in realtà. Conosceva bene il nazismo e i fascismi quando si arruolò tra i repubblicani spagnoli. Nel suo Dialogo con la morte (tr. it., Mulino, Bologna, 1993) c'è uno scambio di battute con un miliziano franchista: "Io non ho mai avuto paura della morte; ho avuto solo paura del morire", dice Koestler, che era già stato sionista e comunista - e a morire ci era già andato vicino. Ed il franchista, il cui motto era Viva la Muerte! risponde: "Per me, è esattamente il contrario". Due pagine più in là, dopo la descrizione degli orrori della guerra civile spagnola, Koestler annota che morire è una faccenda maledettamente seria, e proprio per questo non bisognerebbe farne un melodramma.

addenda: qui

che si facciano delle frange agli angoli delle loro vesti



thanks to Orthodox Anarchist

mercoledì, novembre 22, 2006

la razione K


Nutrirsi
significa cacciare giù per l'esofago verso lo stomaco della roba che possiamo chiamare cibo - ma anche no.
Mangiare significa qualcosa di più: relazionarsi. Si mangia del cibo; "ho mangiato del nutrimento" credo sia una frase tanto strampalata che non esce nemmeno da Babelfish. Siamo in contatto con chi ha preparato fisicamente il cibo che mangiamo: sia che lo vediamo, sia che non lo vediamo. Con chi ha raccolto il cacao, con chi ha inventato la formula del cioccolato, con chi ha appiccicato l'etichetta della Nutella sul barattolo.
Siamo in relazione anche con chi pesca dal nostro stesso barattolo di Nutella. Con coloro che fisicamente siedono a tavola con noi. E anche se non abbiamo mai sentito parlare di Nanni Moretti, siamo in contatto anche con la setta degli adoratori della Nutella, e con la tribù che conosce il significato della parola Nutella. Attraverso il cibo che mangiamo siamo in contatto con altri esseri umani di cui condividiamo regole e valori.
Mia cugina e le sue amiche, per esempio, sono convinte che la Terra meriti di essere salvata dal riscaldamento globale perché solo su questo pianeta esiste (indovinate) la Nutella. Probabilmente anche qualche ragazzo (maschio) condivide questi valori. E tutti quanti combattono una quotidiana e vittoriosa battaglia contro i genitori, che sperano prima o poi di riuscire ad insegnare ai loro figli adolescenti che la Nutella si mangia utilizzando pane e posate e non, per dire, dita e patatine fritte.
Insomma quando mangiamo ci confrontiamo sempre con un sistema di regole, anche quando non ce ne accorgiamo. Il complesso delle regole alimentari ebraiche si chiama kasherut. E l'aggettivo che indica il cibo conforme a queste regole è kasher - כ ש ר, parola che assomiglia a kesher, legame - .ק ש ר Le due parole si assomigliano nel senso che differiscono per una sola lettera: la כ diventa la ק che crea legami.
Niente avviene a caso nell'ebraico. Non c'è nemmeno una parola per indicare il caso: la parola ebraica che si usa per tradurre caso significa principalmente fortuna. La prima lettera, quella delle regole, vale numericamente 20. La seconda, quella dei legami, vale 100. Ci sono 80 punti di differenza tra le regole e il legame. E anche questo non è un caso. Perché 80 è il valore di ע ו ד , radice delle parole tradizione, testimone, ancòra. E qui c'è una logica: una testimonianza ripetuta, detta ancòra, diventa una tradizione.
Cerchiamo di capire questo caso. Vediamo di esplorare questa fortuna. Il problema è: quando scelgo di mangiare kasher, a chi e come mi sto legando? A coloro che hanno confezionato, raccolto, preparato, impacchettato, spedito e cucinato il cibo che sto mangiando? A quelli che sono seduti al mio stesso tavolo? A coloro che condividono il mio stesso insieme di regole che, come tutte le regole, esprimono dei valori? E quali sono questi valori?
Proviamo a far tornare i conti. Testimoniare con il cibo e pubblicamente il proprio legame con una tradizione, quella ebraica. In una parola: conformismo. Troppo facile.
[II parte]

martedì, novembre 21, 2006

un cordiale shalom


Mi immaginavo un altro genere di reazioni, quando sono stato ammesso al College rabbinico. Nella mia (ormai ex) comunità milanese, invece, è successo di tutto. E niente di bello.
C'era quello che perché dirigeva un quindicinale pensava di essere un "lay minister" - ho cercato e ricercato nella documentazione della WUPJ, non trovo menzione di questo strano titolo. E quindi lui di un rabbino come me aveva paura, nientemeno.
C'era quella che, si è scoperto, aveva fatto la Cattolica e adesso stava studiando per diventare rabbina, per corrispondenza (vero! Esistono dei CEPU rabbinici che ti danno la semicha per corrispondenza). E quindi io avevo dei problemi psicologici.
C'era quello che è già rabbino ortodosso (quindi che ci fa in una sinagoga progressiva?), e non devo mica dimostrarlo a te. C'era quella che siccome eccetera, dicevano, ha più titoli per diventare rabbina. E tu la hai offesa con la presunzione di essere ammesso. Che poi è tutto da dimostrare. E anche questo blog è una cosa molto offensiva. A cominciare dal titolo. E tu pure sei offensivo. Eccetera.
Ogni comunità ha naturalmente il diritto di investire sui candidati rabbini che preferisce, anche se forse c'è una certa differenza tra un ricercatore universitario e, per dire, un insegnante a contratto o una "esperta di gestione di flussi integrati". Ma, accidenti, il primo italiano mai ammesso ad uno dei seminari rabbinici più prestigiosi del mondo dovrebbe essere una buona notizia per tutto il nostro movimento: vuol dire che anche Oltreoceano si stanno convincendo che l'Ebraismo progressivo in Italia è una cosa seria. Invece no. Ho scoperto che un sacco di gente aspirava a fare il rabbino -che è una bellissima cosa- e che per poterlo diventare considerava obbligatorio ricoprire di fango chiunque altro vi aspirasse - che è una bruttissima cosa.
Forse è un altro aspetto del più generale problema di identità. In troppi percepiscono del rabbino innanzitutto l'autorità: qualcuno che sta al di sopra, e non a fianco di altri ebrei. E troppi, per salire in vetta, sono disposti a passare sui cadaveri altrui. Prima o poi scriverò qualcosa su questa idea gerarchica e clericale di Ebraismo (e un bisogno non di democrazia, ma di guida). Ma per ora facciamo che mi sono stufato di sprecare tempo leggendo insulti ed attacchi personali. I commenti sono disabilitati fino a comunicazione contraria e chi ha qualcosa da dire si sfogherà da un'altra parte.

lunedì, novembre 20, 2006

in my country there is problem ...

«La cosa che mi colpisce di più è l’isolamento delle voci ragionevoli, anche rispetto alle grandi comunità ebraiche democratiche. La comunità ebraica americana comincia a dividersi su questo punto, ma ciò non sembra avvenire nel nostro Paese. Penso al dramma di David Grossman: un figlio ucciso in Libano, e lui che afferma che Israele non può più affidarsi in modo esclusivo al mito della potenza militare, all’uso della forza. Ebbene, il fatto che questa coraggiosa asserzione non trovi una eco nel mondo democratico ebraico, ciò non può non porre preoccupanti interrogativi...».
Massimo D'Alema, novembre 2006



In my country there is problem and the problem is
... (Borat, 2006)

un tranquillo week end di


Sabato 18 novembre si sono tenuti due cortei, uno a Roma e l'altro a Milano.
Il corteo della capitale era organizzato dal Forum Palestina chiedeva il blocco di ogni cooperazione tra Italia e Israele. Il corteo nel capoluogo lombardo era organizzato dalla Tavola della Pace e chiedeva il blocco di alcune cooperazioni tra Italia ed Israele.
Durante il corteo di Roma qualcuno ha esposto striscioni che equiparavano sionismo e nazismo e caricature grondanti sangue. Durante il corteo di Milano qualcuno ha esposto caricature grondanti sangue e si sono sprecate sovrapposizioni tra vittime palestinesi e vittime ebree, vale a dire tra sionisti e nazisti.
A Milano una associazione palestinese sfilava dietro lo striscione in cui veniva raffigurato il futuro Stato di Palestina, la cui area geografica coincide con quella dello Stato di Israele. A Roma alcuni sedicenti palestinesi residenti nel Lazio chiedevano la fine di Israele e la sostituzione con uno Stato palestinese.
In breve: nel corteo di Roma si plaudiva a chi vuole che lo Stato di Israele salti per aria, nel corteo di Milano si chiedeva ad Israele di non difendersi più.
A Roma il percorso del corteo toccava anche la sinagoga e l'antico ghetto, a testimonianza di intenti non esattamente sereni nei confronti degli ebrei italiani, dei quali il Ministro degli Esteri ha recentemente messo in dubbio la volontà di vivere in pace. A Milano, come è noto, un antico ghetto non c'è perché solo da poco più di un secolo è permesso agli ebrei vivere da queste parti. Gli organizzatori hanno quindi chiesto agli ebrei di rinunciare non solo alla loro Terra, ma anche allo Shabbat. E naturalmente hanno trovato qualcuno che ha accettato di marciare, appunto, di sabato (anche se qualcuno ci ha ripensato)
Venerdì pomeriggio, l'autore di questo blog stava guidando verso le valli bergamasche e ha pensato a quel che diceva David Ben Gurion. Gli ebrei dovrebbero smettere di preoccuparsi di quel che il mondo pensa di loro.

venerdì, novembre 17, 2006

che tempi, e che idee ...


Nel 1999 i fondatori dell' Associazione per l'Ebraismo Progressivo erano in sette (tra cui io). Poi sono sorte altre due congregazioni e adesso ci sono in Italia vari gruppi. Il trend è in crescita, si sono viste molte facce nuove - o che eravamo abituati a vedere da altre parti. Ognuno porta una sua storia e delle aspettative: per fare andare d'accordo tutti bisogna creare una identità, amalgamare i gusti, le pratiche, le culture.
Niente di nuovo: la Comunità di Milano è stata fondata da ebrei immigrati da tutta Italia -ashkenaziti, sefarditi...- più ungheresi e balcanici. Dall'amalgama sono usciti un rituale, con Siddur ancora in uso, e anche una cultura comune. Un grande contributo, tra l'altro, anche alla storia della sinistra italiana, quando i socialisti si chiamavano Bauer.
L'Ebraismo progressivo, dicevo, in Italia è nato per assicurare un futuro ebraico a figli e nipoti respinti dalle comunità ortodosse, ma ha meno di dieci anni. C'è stato qualche matrimonio, sono anche nati dei bimbi. Ma non ci sono ancora dei nipoti. E un caposaldo dell'Ebraismo è questo: non è ebreo chi ha la madre ebrea, ma chi ha dei nipoti ebrei. In altre parole, noi ebrei progressivi stiamo ancora costruendo una nostra identità.
Io ho l'impressione che parte degli ebrei progressivi italiani stia invece cercando di farsi accettare dalla maggioranza ortodossa. Per ottenere questo scopo, si rinuncia (o si fa sapere di essere disponibili a rinunciare a) elementi essenziali dell'Ebraismo progressivo. C'è per esempio chi accende le candele di Shabbat a orari disumani ma ortodossissimi -con tanti saluti a chi il venerdì pomeriggio lavora, e poi c'è già chi pretende carne kasher, con tanti saluti a chi non se lo può permettere.
Vien da chiedersi come potranno essere ebrei quelli che sono costretti a lavorare anche quando nelle sinagoghe ortodosse (in Italia, sempre più vuote) è stato deciso che inizia Shabbat, per non parlare di coloro che, come il sottoscritto, non smaniano affatto per avere un sigillo di kasherut dentro lo stomaco. E chi è interessato a sapere cosa significa la produzione di carne kasher può conoscere qui le condizioni di lavoro nei macelli.
Questi amici vivono ancora in un Tempo in cui l'unica Idea di Ebraismo possibile è la pratica ortodossa. Ma per il resto degli ebrei, italiani e no (incluso l'autore di questo blog) tempi e idee sono plurali. Viviamo in un tempo composto dai tempi di tutti gli ebrei, viviamo su questa Terra, in cui c'è più di un modo di essere ebrei. Di Uno e di Eterno c'è solo l'Onnipotente

giovedì, novembre 16, 2006

il mito del Vero Ebreo - 2

[ prima parte ]

Anche in Italia sono presenti gruppi ebraici fondamentalisti. Il mercato è favorevole, perché gli ebrei in Italia sono pochi, con il costante terrore di trovarsi sempre di meno e perché in Italia l'Ebraismo si pratica in sinagoga. Nelle case non c'è molta educazione ebraica: e questi gruppi in Italia offrono un modello educativo completo - asili, scuole elementari, campeggi estivi... - indubbiamente qualcosa di più rispetto alle commemorazioni della Shoah, che sono una delle poche occasioni dell'anno in cui uno si sente ebreo.
Infine la moda della cultura yddish, dello shtetl, del klezmer, ha finito per legittimare l'interpretazione dei fondamentalisti, ovvero che l'Ebraismo vero, reale, autentico, stava da qualche parte nella Polonia del Settecento, senza la presenza imbarazzante dello Stato di Israele, con gli ebrei nel ruolo, a loro confacente, delle vittime sempiterne e sognanti.
Nasce così il mito del Vero Ebreo, che più è medievale, patriarcale, oscurantista, più è ebreo. Ebrei assolutamente convinti che l’universo abbia 5767 anni e che i fossili siano stati creati dal Kadosh Barukh Hu, che l’Onnipotente ordina agli ebrei gay di farsi curare, che la psicoanalisi è una minaccia per l’integrità della società e che modernità ed Auschwitz sono due facce di un mostro che si chiama assimilazione. Un modello che mette a tacere i dubbi con il riferimento ad una autorità, che ti libera dalla responsabilità di decidere cosa puoi fare e cosa no (non puoi fare niente, di solito) e da quella, più grave, di riflettere prima di -o contemporaneamente a- queste scelte: in breve, una identità forte.
Questa identità si adatta bene ai gusti di chi è abituato a immaginare gli ebrei come il superEgo spirituale del mondo, i fratelli maggiori che praticano la religione dei Padri. E’ un ritratto cattolico dell'Ebraismo, che è sempre meglio di quando eravamo perfidi, ma che ha poco di “autenticamente ebraico”. La ricerca dell’autenticità porta al kitsch, che viene contrabbandato come Tradizione. Tu non te lo ricordi, ma loro sono arcisicuri: i tuoi nonni avevano due lavandini in casa, uno per la carne e uno per il latte, quindi è il caso che anche tu cominci a trasformare la tua cucina in una cucina autenticamente ebraica. Mentre i tuoi parenti ti trattano più o meno come il matto di casa, i tuoi amici goim notano che stai cambiando e, Barukhashemm quanto ti fa sentire ebreo tutto questo…

mercoledì, novembre 15, 2006

sono affari di famiglia

Apprendo da Hazman veHaiaron che a Roma per Kippur “ci si è incontrati” in una casa privata. È stato condotto un rito di Kippur leggendo da Siddur ortodossi e Reform (non dal Machazor?), arricchito dalle personali riflessioni dell’officiante e da brani di vari autori. In conclusione, si è “confluiti, secondo il programma, nelle sinagoghe di Roma”. L’articolo è pubblicato nella rubrica “Vita dell’ebraismo progressivo in Italia”. Per come ricordo io, noi progressivi italiani eravamo fieri di poter dare la possibilità alle famiglie di riunirsi sotto il talled proprio in questo momento. Di mantenere l’antichissimo uso, che i rabbini ortodossi vogliono definitivamente proibire (affezionati come sono alla segregazione delle donne).
Forse a Roma esiste in Italia un gruppo di ebrei progressivi che ambisce a celebrare in una sinagoga ortodossa il momento più solenne dell’anno ebraico, la berakhà di Kippur. Ma che gruppo è? Ne fanno parte, apprendo dall’articolo, “giovani, in parte ebrei romani, in parte correligionari americani che vivono o soggiornano nella capitale, in parte correligionari e aspiranti proseliti venuti da altre città, in parte ancora amici cristiani a noi vicini”. Davvero interessante, ma a chi corrisponde questo “noi”? E’ un gruppo progressivo o ortodosso? Come è stato stabilito questo “programma” - patchwork, che prevede di concludere Kippur tenendo le donne separate dagli uomini? Con una votazione democratica? Quale è la vita interna di questo gruppo romano che sta sotto la rubrica progressiva ma che frequenta sinagoghe ortodosse? (Pare che anche a Milano Lev Chadash soffra di una certa allergia nei confronti delle procedure democratiche)
L’ultimo congresso dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane ha raccomandato al Consiglio “l’avvio di una indagine conoscitiva che possa portare ad un tavolo di confronto” con le “realtà ebraiche non ortodosse” e Lev Chadash ha plaudito, sostenendo che così l’UCEI “viene incontro alla nostra volontà di esser parte, con le nostre caratteristiche, della compagine unitaria dell’Ebraismo italiano”. Quali sono queste caratteristiche? Concludere Kippur facendo numero nelle sinagoghe ortodosse?
Viene da chiedersi se la “compagine unitaria” di cui si vuole far parte sia tout court l'Ebraismo ortodosso - vale a dire: quei signori che santificano lo Shabbat incendiando i cassonetti contro i diritti dei gay. A ben vedere, a Roma molto sembra lasciato all’iniziativa di una singola persona, certamente benintenzionata e di buone letture: è da un po’ di tempo che pare aver scoperto Mordechai Kaplan. Questi conduce (da solo!) tutto un rito, con elementi progressivi, liberali, ricostruzionisti ed ortodossi e per la conclusione si fa accompagnare da correligionari e aspiranti proseliti in una sinagoga ortodossa, estendendo a loro la “commossa benedizione” riservata i membri della sua famiglia. Più che una havurah, sembra un gruppo dedito al culto del Vero Ebreo: un modello carismatico ha poco a che vedere con la democrazia.

P.S. Una nota a parte andrebbe riservata per questi “aspiranti proseliti”, che chissà a cosa aspirano; e chissà in qual modo si pensa di andare incontro alle loro aspirazioni…

martedì, novembre 14, 2006

"le legherai per segno sul tuo braccio e saranno come frontali tra i tuoi occhi"



proud to be

Il World Gay Pride a Gerusalemme si doveva tenere in agosto, a conclusione di una settimana che ha visto dibattiti su genere e Mishna, seminari sull’inclusione della minoranza GLBT nella vita religiosa, readings di poesia gay in ebraico, il concerto dei Balkan Beat Box e così via (programma completo qui).
Poi è scoppiata la guerra e si è finito per rinviare il corteo a novembre. È andata come sappiamo: il timore di attentati terroristi era alto. Ma questa volta la polizia ha protetto i diritti dei gay anziché minacciarli, il che non mi sembra un cattivo risultato per un Paese del Medio Oriente.
Mano a mano che la data della parata si avvicinava, una minoranza di individui buffamente vestiti e simpatizzanti del regime antisemita iraniano ha montato un certo casino (con tanto di minacce di morte ai sionisti) questa volta non contro Israele, ma contro il diritto dei gay a tenere la annuale sfilata. Il tutto in nome dei valori religiosi, che i gay metterebbero a rischio, non si capisce bene perché. Alti esponenti delle varianti integraliste del cristianesimo come dell’Islam hanno cercato di fare pressione sul governo di Israele perché la manifestazione fosse annullata.
In sintesi: il Gay Pride ha motivato intolleranti e fondamentalisti di ogni risma -peraltro in costante in conflitto tra loro- prima ad unirsi e poi a mostrare al mondo intero che non sono nemmeno capaci di fermare un gruppo di froci.
Siamo abituati ad immaginare una Tel Aviv laica e spensierata, contrapposta ad una Gerusalemme devota e castigata. Siccome gay e lesbiche vivono anche nelle località devote e castigate, è positivo che i GLBT gerosolimitani si siano sentiti meno soli, quest’anno. Ma davvero straordinari sono stati gli interventi di cittadini di Gerusalemme (giornalisti, ma non solo) sulla stampa israeliana, in questi giorni. Quando imparerò a maneggiare meglio questo coso che si chiama blog prometto rassegne stampa più esaurienti.
Intanto beccatevi questi, tutti da Yediot Aharonot:
Avram Hein: "Sono etero, sposato, religioso, di destra. Marcerò a fianco dei gay perché Dio mi ordina di amare ogni creatura".
Laura Goldman: "Occorre dichiarare lo stato di emergenza e la polizia deve circondare i quartieri degli haredim. Per tenerceli dentro".
Gil Naveh. "È l’anniversario della Kristallnacht. I miei nonni sono arrivati qui dalla Germania perché qui non sarebbero stati più perseguitati. Sfilerò perché nessuno deve essere perseguitato, a Gerusalemme: nemmeno i tifosi di calcio (che fanno casino ogni Shabbat)".
C’è davvero molto di cui essere fieri nell’essere sionisti.



Nelel foto: immagini del World Gay Pride

lunedì, novembre 13, 2006

fu lì che tutto cominciò...


Nell’ottobre 2002 la Associazione per l’Ebraismo Progressivo si presentò ufficialmente all’ebraismo italiano. Essendoci impossibile accedere ad altri organi (e ci abbiamo provato) abbiamo scelto di spedire una lettera ad Ha Keillah, con cui sentivamo una forte affinità. Ci piaceva la loro linea, secondo la quale l’Ebraismo non si esaurisce nella dimensione religiosa o nella halakhà. Inoltre Ha Keillah aveva in passato pubblicato i primi appelli al pluralismo, in favore di una presenza non ortodossa nell’Ebraismo italiano. Pensavamo, insomma, al “beginning of a beautiful friendship”. La lettera la ho scritta io, la riscriverei ancora ed infatti eccola qui
La risposta della redazione è un raro esempio di provincialismo e di ottusità: il movimento Reform non distingue tra parola e spirito, ma anzi sostiene proprio il diritto di ciascun ebreo di misurarsi e di crescere assieme all’Ebraismo stesso, ed è per molti l’unico modo di essere contati a minyan; la lettera non menzionava alcuna divisione tra ebrei “religiosi” e “laici” e così via. Con una punta di spocchia, l’anonimo redattore ci invitava, senza troppe perifrasi, a entrare nell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, “perché il popolo ebraico è uno”, invitando, se proprio lo volevamo, a “Studiare le strutture del potere, suscitare il consenso (…). Ma dal di dentro”.
Beninteso: era ed è nel pieno diritto della redazione di Ha Keillah sostenere il dovere morale per tutti gli ebrei italiani di riconoscersi nell’insegnamento dei rabbini ortodossi - per i quali, recentemente, l’antifascismo pare aver perso valore. Quello che continua a stupirmi anche adesso è che la stoccata dell’anonimo sia stata presa sul serio. Qualcuno scoprì che il principale obiettivo di Lev Chadash era farsi ammettere all'interno dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane.
Eravamo nel 2002. L’Ebraismo progressivo in Italia era un fenomeno recente e si andava formando una propria identità: c’era stata poco prima la scissione del gruppo
Beth Shalom
, -che fondò la propria Congregazione giusto in quel periodo- si tenevano serrate discussioni su questioni come il livello di kasherut da osservare, su patri- e matri-linearità, su quali melodie seguire per cantare, e a quali apuntamenti internazionali era meglio essere presenti. La suggestione ortodossa era molto forte, soprattutto per chi sentiva di compiere un tradimento dando vita in Italia a una sinagoga sottratta alla tutela dei rabbini italiani. Queste discussioni non sono terminate, però le Congregazioni italiane (Lev Chadash inclusa) hanno sviluppato una propria linea di condotta. Esiste, nei fatti, un minhag progressivo italiano, adottato da tutte le Congregazioni, ciascuna con le sue varianti locali. Ma nel 2002 tutto questo era appena agli inizi. E ancora si stava discutendo su quale fosse il modo migliore per rapportarsi con l'UCEI e con lo Stato italiano.
Per conto mio, ribadisco che la scelta migliore era (ed è) quella di consolidarsi, crescere, mettere radici e confidare che si trovi un accordo, se le istituzioni dell'ebraismo italiano saranno guidate da persone intelligenti. Non importa se ci vorranno anni, o forse decenni. Abbiamo ragioni sufficientemente forti per durare. Ma questo è un discorso politico. Altri invece si pongono i problemi di identità.
Una parte degli ebrei progressivi italiani ha infatti iniziato infatti a bussare in tutti i modi alle porte dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, nel tentativo non di farsi ammettere (che per l’UCEI sarebbe come minimo un dovere, se dovesse
tener fede al proprio statuto
) ma di farsi riconoscere come ebrei. Capita quindi che le candele del venerdì sera siano accese alla stessa ora in cui le accendono gli ortodossi, capita che si accenni alla possibilità di ri-introdurre la separazione tra uomini e donne durante il culto, capita anche che si celebri il secondo giorno di festa.
L'obiettivo è quello di realizzare una sinagoga in cui si mimano il più possibile le pratiche ortodosse, magari per placare i bisogni di identità (con cui, peraltro, fa i conti ogni ebreo) e sperando di ottenere il placet dei rabbini o perlomeno della dirigenza delle Comunità. Nei sogni di chi inizia Shabbat a metà pomeriggio ("proprio come fanno gli ortodossi") c'è un rabbino che ti assicura il certificato di ebraicità e un presidente di Comunità che ti ammette nella sua cerchia perché colpito dallo zelo con cui segui le mitzwot. Sono sogni irrealistici, data la svolta in senso integralista che sta pervadendo le Comunità: ma il contatto con la realtà è accuratamente evitato e ci si dice che se non si viene accettati è perché si è ancora troppo poco ortodossi. E allora iniziamo Shabbat un po' prima, e mettiamo l'obbligo di portare solo cibo kasher, e mettiamo il timer nella sinagoga per non accendere inavvertitamente la luce di Shabbat. Un percorso fatto di frustrazioni, lungo il quale si perdono le ragioni dell'Ebraismo progressivo.

domenica, novembre 12, 2006

il mito del Vero Ebreo - 1

I fondamentalisti sono convinti che esistano testi sacri, dettati da Dio in persona, in cui rintracciano tutte le verità politiche, sociali e religiose. Propongono a tutta la società la loro interpretazione dei libri sacri e hanno una grande forza di mobilitazione, che si fonda sull'identità di gruppo (vd il Dizionario delle religioni Einaudi). Queste caratteristiche si ritrovano in pieno anche in movimenti ebraici, più o meno derivanti dall'Ebraismo tradizionale est-europeo. La loro proposta è molto semplice: noi siamo il vero Ebraismo e per essere un vero ebreo ti basta aderire all'Ebraismo che pratichiamo noi. Sono gruppi che possono contare su leader molto motivati, per cui "aderire" significa anche soddisfare dei bisogni: c'è chi ha trovato la moglie o il marito, chi un sistema di assistenza o semplicemente qualcuno che ascolta.
I problemi sorgono quando uno considera che tipo di Ebraismo viene proposto: nel loro modello di famiglia la donna è prima di tutto (oppure solo) moglie e madre. E così ci si libera di due secoli di femminismo, in cui le donne ebree non hanno avuto esattamente un ruolo marginale. Come ogni fondamentalismo, anche i fondamentalisti ebrei considerano il secolarismo un nemico da abbattere - chi non è ebreo come loro è un assimilato, ovvero non è ebreo chi non pratica il 100% dei precetti secondo la loro interpretazione. E nella loro interpretazione il Rebbe, il capo carismatico, ha l'ultima parola - non mancano casi di culto della personalità o addirittura di messianismo.

[ seconda parte ]

sabato, novembre 11, 2006

a proposito di comunità inclusive

Secondo una ricerca recente, nell'area di Boston gli ebrei sono più o meno 210.000. Dieci anni fa erano meno 177.000. E' cresciuta, come in tutto il mondo, la percentuale di matrimoni misti (che sono attualmente metà della popolazione), ma è cresciuto anche il numero di famiglie ebraiche (da 86.000 a 105.000). Inoltre: più del 60 % dei figli di matrimonio misto riceve una educazione ebraica, grazie agli sforzi delle sinagoghe Reform e Massorti, e si identifica come ebreo.
Vale la pena di ricordare che, nello stesso arco di tempo, gli ebrei italiani sono calati da 30.000 a 24.000: miracoli dell'ortodossia.

mercoledì, novembre 08, 2006

civvì ovvero curriculum vitae

Dunque ecco un breve profilo dell'autore di questo blog. Se non vi interessa saltate pure al post successivo.
Sono laureato con lode in Filosofia, Dottore di ricerca in Storia della società europea, attualmente assegnista ("ricercatore") - tutto all'Università degli studi di Milano. Sto lavorando alla pubblicazione della tesi di dottorato, che riguarda i rapporti tra poteri cristiani e minoranza ebraica durante la Controriforma. Sono anche stato membro del comitato scientifico della mailing list H-Antisemitism.
Nel 2000 ero tra i fondatori dell'Associazione per l'Ebraismo Progressivo, che pochi mesi dopo è diventata Lev Chadash, la prima Congregazione progressiva della storia ebraica italiana. Ho svolto diversi incarichi all'interno dell'Associazione prima e della sinagoga poi: ho coordinato la realizzazione di Siddur e Machazor, con traduzione in lingua italiana (tanto per cambiare: i primi non ortodossi nella storia dell'Ebraismo italiano), ho organizzato e diretto la newsletter con il commento della parashà della settimana, ho insegnato a ragazzi e ragazze del corso di Bar e Bat mitzwa - la prima volta in Italia in cui una ragazza è salita a Sefer- e ho seguito per anni la vita religiosa della comunità. Attualmente io e mia moglie siamo membri della Congregazione ebraica riformata Shir Hadash di Firenze, dove più o meno faccio le stesse cose.
L'Ebraismo progressivo è la corrente maggioritaria nella Diaspora, ma in Europa è minoranza e in Italia è un fenomeno piuttosto recente. Ho la fortuna di partecipare agli esordi di un movimento moderno all'interno della comunità ebraica più antica del mondo e, soprattutto, quella di conoscere persone straordinarie e di valore all'interno di tutte le Congregazioni italiane.
Tutto questo mi piace talmente tanto che ho deciso di trasformarlo in un mestiere. Cioé ho deciso di studiare per diventare rabbino.
Io e Sara ci siamo sposati nel 2004. Nella storia ebraica italiana il nostro è stato (indovina) il primo matrimonio progressivo con valore religioso e civile.
Tutti questi sono termini astrusi ? Vabbé, prima o poi farò un glossario, ci metto i disegnini e magari anche le fotografie. Eccone una, per esempio.


Questo sono io, nel maggio 2007, con rav Robert Rothman e rav Joel Oseran, vicepresidente della World Union for Progressive Judaism.